virgolette
La virgoletta è un segno di ➔ punteggiatura usato sempre in coppia per contrassegnare una o più parole come una citazione, un discorso diretto o una traduzione, oppure per connotare un’espressione di uso speciale o traslato. La virgoletta può essere singola (‹‘ ’›), detta anche apice o virgoletta inglese; alta (‹“ ”›), detta anche virgoletta doppia o italiana; o bassa (‹« »›), detta anche virgoletta francese, caporale o sergente.
L’introduzione della virgoletta in un testo a stampa a caratteri latini viene fatta risalire al 1502, per l’edizione del Dicta et facta [Facta et dicta] memorabilia di Valerio Massimo, dove è usata per segnalare nel testo i passi ritenuti degni di rilievo (cfr. Castellani 1995: 44-47; 1996: 108); come marca di citazione compare invece nel ms. S del Cesano di Claudio Tolomei (1525-1529) e nell’editio princeps del Castellano di ➔ Gian Giorgio Trissino (1528) (cfr. Castellani 1995: 44-47). Nei testi citati la virgoletta ha sempre forma di coppia di virgole posta lateralmente al margine sinistro del testo ad altezza di rigo, e deriva probabilmente dal segno detto diplé (‹>›), già usato per segnalare i passi riportati dalle Sacre Scritture (cfr. Buzzoni 2008: 451), mentre la virgoletta interna al testo è attestata solo a partire dal XVII secolo (cfr. Castellani 1995: 45).
Nell’uso contemporaneo, la virgoletta può avere funzioni di marca di citazione, di distanziamento, oppure metalinguistica.
La virgoletta citazionale è usata per contrassegnare una parola o un discorso altrui. Quando in un testo citato compare una seconda citazione, oppure un’altra espressione che richiede l’uso del segno, è consuetudine fare ricorso a tipi diversi di virgoletta, solitamente bassa per la prima citazione e alta per gli altri usi:
(1) Lo Iaconello, sempre nel corso del 1482, presterà la propria consulenza al Rottweil per l’edizione della Cronicha de Sancto Isidoro mentore; egli appartiene, dunque, alla schiera dei correttori tipografici, da identificare con «i maestri di scuola, gli ecclesiastici, i docenti universitari di basso rango, insomma tutti gli “intellettuali” che fin dall’inizio hanno collaborato con i tipografi» (Claudio Giovanardi, Il bilinguismo italiano-latino del Medioevo e del Rinascimento, in Storia della lingua italiana, a cura di L. Serianni & P. Trifone, Torino, Einaudi, 1994, 3 voll., vol. 2°, p. 452)
Sempre con uso citazionale la virgoletta può segnalare un ➔ discorso diretto, delimitando le parole da attribuire a un parlante diverso, la cui identità è in genere rivelata nella frase citante (cfr. Mortara Garavelli 1985; Calaresu 2004):
(2) “Potrebbe essere”, osservò dubbioso Severino. “D’altra parte se tutto è accaduto due notti fa, avrebbe potuto esserci dell’acqua intorno alla vasca, che poi si è asciugata. Così non possiamo escludere che sia stato annegato a viva forza”.
“No,” disse Guglielmo. “Hai mai visto un assassinato che, prima di farsi annegare, si toglie gli abiti?” Severino scosse la testa, come se quell’argomento non avesse più gran valore. Da qualche istante stava esaminando le mani del cadavere: “Ecco una cosa curiosa ...” disse (Umberto Eco, Il nome della rosa, Milano, Bompiani, 19882, p. 264)
Talvolta le virgolette di citazione possono riportare un discorso non effettivamente pronunciato ma solamente supposto o immaginato (Mortara Garavelli 2003: 35):
(3) Li vede perplessi e sente il loro imbarazzo nell’eludere, cautamente, l’unica domanda che vorrebbero fargli: «Cosa di tanto grave ti sta succedendo, Leo?». E continua a mentire, a divagare, a comunicare, per tranquillizzarli, indirizzi ai quali non abiterà mai (Pier Vittorio Tondelli, Camere separate, Milano, Bompiani, 1989, p. 766)
Ha funzione di distanziamento la coppia di virgolette (doppie o, come in quest’opera, singole) usata per contrassegnare un’espressione non ritenuta appropriata perché di uso settoriale, gergale o dialettale, e di cui è richiesta un’interpretazione ironica, allusiva o in generale di tipo traslato:
(4) Nel 1986 le manifestazioni studentesche di massa costringono il governo del gollista Chirac a ritirare la legge sulla selezione per l’ingresso all’università. Nel 1991 è sufficiente qualche dimostrazione per convincere il socialista Jospin a lasciar cadere la «sua» riforma universitaria (Antonio Caprarica, Com’è dolce Parigi ... o no!?, Milano, Sperling & Kupfer, 2007, p. 58)
È stato notato come di questo tipo di virgoletta, nella lingua scritta contemporanea, si faccia spesso abuso, con il rischio di trasmettere un’impressione di scarsa competenza (Serianni 2003: 57).
Con funzione metalinguistica la virgoletta è usata nelle definizioni, per segnalare termini stranieri, o nelle traduzioni di espressioni riportate in lingua originale:
(5) Oggi, quell’oasi stretta tra l’immensa steppa e la catena dei Tien Shan (“Monti azzurri”) è diventata una grande città a scacchiera disegnata da vialoni alberati e blocchi di condominii grigi e trasandati dove vivono quasi un milione e mezzo di persone («Corriere della sera» 7 settembre 1997)
oppure anche per segnalare che un vocabolo non deve essere inteso in senso proprio bensì come categoria grammaticale:
(6) L’aggettivo «breve» è breve; l’aggettivo «italiano» è italiano; l’aggettivo «aggettivale» è aggettivale; l’aggettivo «polisillabico» è polisillabico. Ognuno di questi aggettivi è, nella terminologia di Grelling, autologico. Altri aggettivi sono eterologici; così «lungo», che non è un aggettivo lungo; «tedesco», che non è un aggettivo tedesco; «monosillabico», che non è monosillabico. Il paradosso di Grelling nasce dalla domanda: l’aggettivo «eterologico» è autologico o eterologico? (Eugenio Spedicato, Facezie truculente. Il delitto perfetto nella narrativa di Dürrenmatt, Roma, Donzelli, 1999, p. 10)
Benché il tipo di virgoletta possa variare in relazione alle convenzioni tipografiche dell’editore o alla scelta dell’autore – fermo restando il vincolo di coerenza all’interno dello stesso testo –, si può registrare una propensione all’uso della virgoletta bassa per le citazioni e i discorsi diretti, di quella alta per il distanziamento e di quella singola per gli usi metalinguistici (cfr. Dardano & Trifone 1983: 698). In tutti i casi l’uso della virgoletta concorre con il corsivo (soprattutto per le citazioni brevi e per segnalare parole straniere o dialettali) e talvolta anche con la lineetta, in particolare nel caso delle citazioni interne (cfr. Serianni 1988: 77). Corsivo e virgoletta concorrono anche per segnalare i titoli di un giornale, di una rivista, di un’opera letteraria o simili (come «La Repubblica», «Nuovi argomenti», «I promessi sposi» ecc.).
Nella lingua parlata, ma anche in alcune varietà di scrittura, la virgoletta può anche comparire in formule come tra virgolette, detto tra virgolette o messo tra virgolette (cfr. Cignetti 2008). A queste formulazioni si accompagna spesso il gesto (di origine statunitense; ➔ gesti) di indicare le virgolette con indici e medi ripetutamente ripiegati.
Buzzoni, Marina (2008), La punteggiatura nei testi di lingua inglese, in Storia della punteggiatura in Europa, a cura di B. Mortara Garavelli, Roma - Bari, Laterza, pp. 441-491.
Calaresu, Emilia (2004), Testuali parole. La dimensione pragmatica e testuale del discorso riportato, Milano, Franco Angeli.
Castellani, Arrigo (1995), Sulla formazione del sistema paragrafematico moderno, «Studi linguistici italiani» 21, pp. 3-47.
Castellani, Arrigo (1996), Le virgolette di Aldo Manuzio, «Studi linguistici italiani» 22, pp. 106-109.
Cignetti, Luca (2008), “Dire” la punteggiatura. Sul fenomeno della verbalizzazione dei segni interpuntivi nell’italiano scritto e parlato, in Prospettive nello studio del lessico italiano. Atti del IX congresso della Società Internazionale di Linguistica e Filologia Italiana (Firenze, 14-17 giugno 2006), a cura di E. Cresti, Firenze, Firenze University Press, 2 voll., vol. 2º, pp. 289-295.
Dardano, Maurizio & Trifone, Pietro (1983), Grammatica italiana. Con nozioni di linguistica, Bologna, Zanichelli (14a ed. 1995).
Mortara Garavelli, Bice (1985), La parola d’altri. Prospettive di analisi del discorso, Palermo, Sellerio.
Mortara Garavelli, Bice (2003), Prontuario di punteggiatura, Roma - Bari, Laterza (10a ed. 2007).
Serianni, Luca (1988), Grammatica italiana. Italiano comune e lingua letteraria. Suoni, forme, costrutti, con la collaborazione di A. Castelvecchi, Torino, UTET (2a ed. 1991).
Serianni, Luca (2003), Italiani scritti, Bologna, il Mulino.