virgola
La virgola (dal lat. virgula(m) «piccola verga») è un segno di interpunzione, costituito da una linea curva con la testa al livello basso della riga, che ha una varietà di funzioni. Indica una pausa breve, vale a dire una sospensione o interruzione più debole di quelle segnalate dal ➔ punto e virgola e dal ➔ punto (in ordine crescente di forza; ➔ punteggiatura).
La virgola ha tuttavia anche una funzione forte, perché può cambiare radicalmente il senso degli enunciati (Mortara Garavelli 2003: 75-76): ad es. quando la sua presenza è discriminante per distinguere i ruoli sintattici all’interno della frase (Franco porta i documenti rispetto a Franco, porta i documenti).
Delle tre théseis (o positurae), i tre tipi di punto che, rispettivamente in greco antico e in latino, servivano a indicare diverse ➔ parti del discorso ponendosi ad altezze diverse sulla riga, l’antesignana della virgola può essere individuata nella prima positura (in greco hypostigmḗ e in latino subdistinctio), che serviva a segnare la sezione minore del discorso detta comma (non a caso i termini inglese e spagnolo per indicare la virgola sono, rispettivamente, comma e coma).
Fra il VII e l’VIII secolo, «con l’introduzione della scrittura a caratteri minuscoli, fa la sua prima apparizione la virgola, nella forma di un apice sovrastante un punto [.ˈ], per raffigurare la subdistinctio, che fu detta distinctio suspensiva» (Novati 1909: 85 segg.). Nell’autografo Hamiltoniano del Decameron di Boccaccio, la virgula (seguita da un’iniziale di parola che può essere sia minuscola sia maiuscola) è «rappresentata attraverso la consueta barra obliqua ‹/› e innovativamente attraverso la variante bassa di foggia moderna ‹,›» (Coluccia 2008: 89). Domenico Maria Manni (Lezioni di lingua toscana, 1737) farà dipendere l’evoluzione dell’aspetto grafico, da linea dritta a curva, dall’atto stesso dello scrivere: «dapprima della figura di una verghetta […]. Ad essa però coll’andar del tempo si tolse la natia rigidezza, e si abbassò, e s’incurvò, portata dal voltare, che nello scrivere fa il nostro polso» (cit. in Fornara 2008: 171).
Con l’avvento della stampa, la diffusione della virgola di forma moderna riceve un impulso decisivo con l’edizione veneziana del De Aetna (1496) di ➔ Pietro Bembo da parte di Aldo Manuzio, in un nuovo tondo romano stampato dall’incisore di caratteri Francesco Griffo (Coluccia 2008: 94), e poi, sempre grazie alla collaborazione tra Bembo, Manuzio e Griffo, con le edizioni di Petrarca del 1501 e di Dante del 1502.
A parte eccezioni, come quella di Aldo Manuzio il giovane (Orthographiae ratio, 1561), che attribuisce alla virgola una funzione distintiva dal punto di vista grammaticale e semantico (cfr. Maraschio 2008: 127), in generale la trattatistica cinquecentesca fa ricorso a una definizione che sfrutta essenzialmente il ruolo orale della punteggiatura, tendendo a identificare la virgola con un segnale per fermarsi e riprendere fiato durante la lettura.
In seguito al progressivo modificarsi del sistema interpuntivo, dalla metà del Settecento si ebbe, tra gli altri fenomeni, «una crescente riduzione dell’uso della virgola che in precedenza occorreva obbligatoriamente prima di ogni congiunzione e di ogni subordinata (compresa la frase relativa di tipo limitativo)», tant’è vero che Orazio Lombardelli (Arte del puntare gli scritti, 1585) ne aveva reso sistematico l’uso «automaticamente a separare persino congiunzioni e avverbi composti col che: Di maniera che, Perciò che, Posto che, Anzi che» e, molto spesso, «costituenti di frase strettamente coesi come soggetto e predicato o predicato e complementi diretti o indiretti» (Maraschio 1993: 144; Maraschio 2008: 135).
Già nel secondo Seicento, d’altronde, Daniello Bartoli, nel suo trattato Dell’ortografia italiana (1670), aveva espresso insofferenza nei confronti di un uso eccessivo della virgola, salvo poi uniformarsi anch’egli, nella pratica, alla consuetudine dei contemporanei (cfr. Schiaffini 1935).
Nell’Ottocento, infatti, la virgola fu ancora «soggetta a usi oscillanti e stilisticamente diversi», in quanto «molte delle norme che attualmente ne regolano l’impiego erano ancora in via di assestamento» (Antonelli 2008: 187): accanto ai «giordaneggianti, i quali ne fanno così a miccino, da aver paura di consumarla», permangono gli eccessi in senso opposto di coloro che «seguitano a sprecarla, empiendo di virgole le pagine dei loro scritti, e riducendo come in tanti minuzzoli il discorso» (Rigutini 1885: 43-44).
Un esempio di interpunzione analitica è costituito dai Promessi sposi di ➔ Alessandro Manzoni che, nel passaggio dalla prima alla seconda edizione, aggiunge virgole perfino in sovrabbondanza, come non manca di mettere in rilievo ➔ Niccolò Tommaseo:
siccome egli ha una maniera di recitare sua, chiara e semplice, come per insegnarci che non è grandezza vera senza semplicità, e che l’enfiare le gote è segno di gonfiezza o nell’idea o nel sentimento; così punteggiando abonda nelle virgole, per distinguere nettamente ogni parte del concetto e trasfonderlo distinto ai lettori nell’animo e nella mente. Quel ch’altri non consegue con un formicolare di ammirativi e di esclamativi o di puntolini (cit. in Schiaffini 1935).
Al contrario, ➔ Gabriele D’Annunzio, nelle Faville del maglio, esprime tutta la propria insofferenza nei confronti di questo segno interpuntivo: «Costrutto molto virgolato è costrutto molto bacato. Alle troppe virgole si riconosce che la locuzione è marcescente» (D’Annunzio 2005: 1288-1290).
L’assenza di virgole in casi in cui le si attenderebbe fu sfruttata a fini espressivi nella scrittura letteraria novecentesca, come non mancò di rilevare Bruno Migliorini a proposito del «vezzo carducciano che ebbe assai largo seguito […] di sopprimere la virgola nelle serie enumerative», del tipo «[Leopardi] abituato a contemplare un esempio di arte lucido eguale sereno» (Migliorini 1994: 629). Ritroviamo l’espediente nella prosa vociana, dannunziana («le palpebre di lei gonfie rosse arse»: Trionfo della morte), in tanta poesia del Novecento («e grave grave grave m’incuora»: Giovanni Pascoli, “L’ora di Barga”), e nella narrativa contemporanea («Aveva ali zampe coda unghie speroni penne piume pinne aculei becco denti gozzo corna cresta bargigli e una stella in fronte»: Italo Calvino, Ti con zero), anche in quella più recente («prenderlo per il colletto sbatterlo contro la parete di roccia dargli una ginocchiata bassa strapparlo in avanti per un braccio farlo ruzzolare fino in mare»: Andrea De Carlo, Leielui).
Più ci si avvicina alla contemporaneità più le scelte interpuntive, perlomeno quelle degli scrittori, diventano una questione di stile o addirittura di poetica (come nel caso dei futuristi, che volevano abolire la punteggiatura per rendere meglio il senso di vertigine, di velocità). Nella narrativa contemporanea, nel quadro di una più generale semplificazione della sintassi e di una conseguente tendenza alla facilità interpuntoria, si registra un indebolimento delle giunture tra frasi e tra periodi, ottenuto tramite la sostituzione dei segni d’interpunzione forti (punto, punto e virgola, due punti) con la virgola.
La virgola è il segno d’interpunzione «di uso più largo, vario e articolato» (Serianni 1988: 61), «più carico di valori e di funzioni», e, in quanto tale, è anche quello che presenta più dubbi e incertezze sulla sua «polivalenza», sulla «legittimità di abitudini invalse ma non da tutti condivise» (Mortara Garavelli 2003: 74-75).
Dal punto di vista strutturale, si possono avere due fondamentali tipi di segno, a seconda della funzione principale espletata (la bipartizione è proposta da Simone 1991; ulteriori classificazioni ad essa accostabili, parzialmente sovrapponibili e complementari, si trovano in Serianni 1988; Catach 19962; Mortara Garavelli 2003), che vanno integrati con un terzo tipo, di ordine testuale (per il quale si segue Ferrari 2004).
Il primo tipo è definito virgola seriale: serve a indicare un elenco o una serie, oppure una coordinazione tra elementi dello stesso ‘peso’ sintattico (Simone 1991). Catach la definisce efficacemente «virgule plus», in quanto associa segmenti dello stesso ordine (soggetti, verbi, complementi, frasi), indicando così un «minimo comune denominatore» tra i segmenti stessi (Catach 19962: 64-65). La si incontra dunque «nelle enumerazioni e nelle coordinazioni asindetiche (cioè in presenza di singoli elementi o di proposizioni in sequenza, senza congiunzioni di collegamento)», come nei seguenti passi manzoniani (da Serianni 1988: 61; Serianni 2003: 46):
(1) Bravi, don Rodrigo, Renzo, viottole, rupi, fughe, inseguimenti, grida, schioppettate (Alessandro Manzoni, I promessi sposi)
(2) [Don Abbondio] vide confusamente, poi vide chiaro, si spaventò, si stupì, s’infuriò, pensò, prese una risoluzione (ivi)
Nelle serie sindetiche con membri separati da una congiunzione coordinativa (e, né, o, ma, ecc.) la virgola in genere manca, specie se si tratta di elementi all’interno della stessa frase (sono arrivato sano e salvo; io non posso né pentirmene né correggermi; devi decidere se andare o restare; sono giovani ma esperti), ma la si adopera quando si voglia mettere in evidenza l’elemento coordinato:
(3) il pensiero che don Rodrigo […] tornerebbe glorioso e trionfante, e arrabbiato (Manzoni, I promessi sposi)
Quando invece il collegamento non riguarda lessemi o sintagmi ma frasi coordinate, occorre distinguere due casi (cfr. Serianni 2003: 46-47):
(a) la struttura delle frasi è la stessa, in quanto le frasi condividono il soggetto grammaticale, e quindi non è richiesta la presenza di virgole seriali:
(4) mangiava una mela e aspettava il tramonto del sole
(b) le frasi richiedono la presenza di virgole seriali in quanto sono avvertite dallo scrivente distanti grammaticalmente o tematicamente, sia perché sono diversi i rispettivi soggetti grammaticali:
(5) mangiava una mela, e io non riuscivo a smettere di guardarla
sia perché due coordinate, pur condividendo il soggetto, possono esprimere due prospettive distanti tra loro, ad es. una semplice esposizione di un dato considerato obiettivo a fronte di notazioni soggettive dello scrivente:
(6) credeva in lui, e si sbagliava.
La cosiddetta virgola che apre e/o chiude ha differenti funzioni:
(a) «inquadra un sintagma incassato», in cui essa è «un generico segnale di dipendenza» (Simone 1991: 226-227). È detta da Catach «virgule moins», in quanto permette di estrarre, di spostare o di inserire in un punto della catena sintattica un segmento che non si situa sullo stesso piano del resto della frase (Catach 19962: 66):
(7) controlla tu stesso, se lo ritieni opportuno, i dati
(b) Indica un’identità di referente: se contrassegna un ➔ sintagma nominale, come un’➔apposizione, «la virgola è un segnale di coreferenza (indica che ciò che sta a sinistra e ciò che sta a destra di essa sono coreferenti)» (Simone 1991: 226):
(8) si prosegue dunque la rue Saint-Honoré, altra importante arteria commerciale, fino alla place Vendôme, la piazza dei gioiellieri
(c) Isola il tema «per metterlo in evidenza rispetto al rema» (Simone 1991: 227; ➔ tematica, struttura): è un sottotipo di virgola testuale che non si limita a isolare il tema-soggetto negli enunciati in cui è «dislocato in fine di frase, o comunque dopo il verbo e in posizione e con intonazione parentetica» (Mortara Garavelli 2003: 87):
(9) Non lo sapevo nemmeno, di avere una mamma (Tiziano Scarpa, Stabat Mater)
Ma lo si trova anche in frasi non marcate:
(10) Lui, mi chiese che cosa facevo e se avevo molto usato la chitarra in quei mesi (Cesare Pavese, Il compagno)
Le virgole correlative possono essere realizzate entrambe, oppure una delle due può essere virtuale, a seconda della posizione (all’inizio o alla fine di enunciato) dell’unità da esse marcata (Simone 1991: 222).
Un’altra importante funzione della virgola che apre o chiude è quella espletata nell’ambito delle frasi relative, il cui statuto (nella scrittura) è determinato proprio dalla presenza o dall’assenza di una virgola (➔ relative, frasi): se non è preceduta da una virgola si parla di relativa restrittiva (o limitativa o determinativa o specificativa o attributiva), in quanto serve a completare l’individuazione, la specificazione dell’elemento a cui si riferisce:
(11) Maria ha lavato le lenzuola che erano state usate [= «solo quelle che erano state usate»]
Quando invece è preceduta da una virgola, la relativa diventa non restrittiva, cioè esplicativa (o appositiva o aggiuntiva), in quanto ciò che essa contiene serve ad aggiungere una descrizione a un oggetto già individuato, di cui comunque non cambiano né l’entità né l’estensione:
(12) Maria ha lavato le lenzuola, che erano state usate [= «tutte le lenzuola, in quanto tutte usate»].
Quella che viene definita virgola testuale, a seconda delle modalità in cui opera nel capoverso, si declina in tre tipi principali.
(a) La «virgola comunicativa», che funge da «condizione interpuntiva minimale» perché si crei un confine di «unità comunicativa», normalmente precedendo «connettivi pragmatici anaforici» (ad es., in enunciati del tipo dovresti riposarti, perché mi sembri pallida, il perché è di giustificazione illocutiva: presuppone un te lo dico perché) (Ferrari 2004: 108-109).
(b) La «virgola informativa», che concorre a creare le «unità informative, che organizzano al loro interno il contenuto delle unità testuali di rango immediatamente superiore, le unità comunicative», in quanto, «col variare della sua distribuzione e della denotazione del costituente che essa permette di isolare, varia la natura del valore informativo veicolato». Emarginando un costituente sintattico a destra della frase, la virgola sdoppia il contenuto semantico unitario in due unità ‘informativamente pertinenti’ che si collocano sullo stesso piano (Ferrari 2004: 111), come mostra il seguente esempio d’autore:
(13) Rideva, con gli occhi, fin dal primo momento che era salito; con gli occhi acuti, vivi (Elio Vittorini, Conversazione in Sicilia)
dove basta una semplice virgola (in «rideva, con gli occhi») a marcare lo scarto semantico rispetto al significato base di ridere.
(c) La «virgola tematica», un tipo specifico di «virgola informativa», «il cui compito sta nel chiudere il costituente che funge da tema/topic». Questa marginalizzazione del tema per mezzo della virgola permette di spiegare sia la consuetudine di chiudere per mezzo di una virgola i costituenti avverbiali che hanno valore di introduttori del tema (quanto a …, in relazione a …, ecc.), sia quel fenomeno dilagante nella scrittura contemporanea – e non solo in quella informale o inesperta – che consiste nel separare con una virgola il soggetto (avente caratteristicamente la funzione di tema/topic) dal predicato verbale. Si tratta, comunque, di uno sfruttamento informativo della virgola che non può essere generalizzato, dal momento che nella scrittura medio-alta è ancora fortemente attiva la restrizione prevista dalla norma sintattico-grammaticale che vieta la collocazione del segno tra soggetto e predicato (Ferrari 2004: 115). Tuttavia, la prosa dell’Ottocento e poi quella contemporanea presentano una ricca casistica di simili impieghi di virgola (con valore tematico) che separa il gruppo del soggetto rispetto al gruppo del verbo; se ne trovano esempi nei Promessi sposi:
(14) Voi, mi fate del bene, a venir qui (Manzoni, I promessi sposi, XXX)
(15) E quella riva lì, è bergamasca? (ivi, XVI)
(16) Però, di tante belle parole Renzo, non ne credette una (ivi, XV)
Questo tipo di virgola si incontra spesso, fino ad arrivare all’uso frequente che ne fa Calvino, tanto nella prosa narrativa quanto in quella saggistica:
(17) Il contrario, esiste (Italo Calvino, Ti con zero)
(18) Un tema niente affatto leggero come la sofferenza d’amore, viene dissolto da Cavalcanti in entità impalpabili (Calvino, Lezioni americane)
passando per il tipico stilema pirandelliano (➔ Pirandello) che prevede, perlopiù, la dislocazione del soggetto in fine di frase (cfr. Antonelli 2008: 191-192; Mortara Garavelli 2003: 87-89):
(19) Si sente così stanca e triste, la signora Leuca (Luigi Pirandello, Pena di vivere)
Ma le ragioni della presenza della virgola a segnare un confine «tra soggetto e verbo, o meglio, tra il verbo e uno dei suoi argomenti» non sono solo di ordine testuale; ve ne sono almeno altre due: «la volontà di rimediare alla distanza del soggetto dal predicato (o di quest’ultimo dal suo oggetto, diretto o indiretto)» e «la sovraestensione dei valori intonativi attribuiti ai segni e in particolare alle virgole» (Mortara Garavelli 2003: 85-86).
Un particolare tipo di virgola testuale, differente dai tre precedentemente indicati, è invece quello che segnala un’ellissi: di solito l’elemento ellittico è un predicato verbale che viene espresso una sola volta, all’inizio, perché condiviso da due sintagmi frasali tra loro coordinati o giustapposti:
(20) Conversiamo: noi, di produzione; le signore, di consumo (Calvino, Ti con zero)
O ancora, in:
(21) leggeva, probabilmente un libro così interessante da impedirgli di sentire ciò che dicevamo
la virgola «non divide due costituenti di una stessa proposizione: divide due proposizioni, la seconda delle quali ellittica del predicato, [che] non viene ripetuto perché sarebbe identico a quello della prima proposizione» (Mortara Garavelli 2003: 91).
In altri casi, invece, esso è semplicemente sottinteso perché facilmente ricostruibile per via inferenziale:
(22) – Ma allora, questo tanfo? (Scarpa, Stabat Mater)
Si tratta di un funzionamento per eccellenza ‘testuale’, dal momento che il «valore testuale» di un’entità linguistica è quello che «chiama in causa l’implicito», in quanto comporta «legami di tipo semantico o pragmatico con qualcosa che non è stato esplicitato ma si può inferire da quanto è stato o sarà detto», comporta cioè «connessioni la cui portata eccede l’ambito delle relazioni sintattiche perché investe la sfera dei legami che assicurano il sussistere del testo come unità coerente» (Mortara Garavelli 2003: 61-62).
Nel linguaggio giornalistico si è diffuso da qualche tempo un uso peculiare della virgola: questa è adoperata all’inizio del titolo per anticipare il tema globale cui il resto del titolo e l’intero articolo si riferiscono:
(23) Telecom, compromesso su [...] presidente («La Repubblica» 13 marzo 2011)
(24) Giustizia, la rivolta dei magistrati («La Repubblica» 12 marzo 2011).
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