VESPIGNANI, Virginio
– Nacque a Roma il 12 febbraio 1808, ultimo di cinque figli, dal conte Giovan Francesco, e da Maria Teresa Sarnani.
La famiglia era originaria di Imola; il fratello Giuseppe Maria (1800-1865), «uomo dottissimo», fu vescovo di Orvieto (G. Stopiti s.d., cit. in Barucci, 2006, p. 32).
Compì gli studi di filosofia e matematica presso il Collegio romano e quindi nel liceo di S. Apollinare. Nel 1823, appena quindicenne, poté assecondare l’inclinazione per il disegno dapprima sotto la guida di Giovanni Battista Silvestri, architetto fiorentino, e in seguito con il fanese Francesco Maria Lanci. Nel 1825, allorché Lanci lasciò l’Italia, Virginio fu affidato a Luigi Poletti, con il quale avrebbe instaurato un duraturo rapporto di amicizia e di collaborazione; a partire dal medesimo anno frequentò i corsi di architettura teorica e pratica dell’Accademia nazionale di S. Luca.
La seconda metà degli anni Venti lo vide impegnato, secondo una prassi assai comune per l’epoca, nell’attività di incisione. Per Luigi Rossini, con il quale aveva preso parte ad alcune campagne di scavo, di cui si ha notizia dagli Annali dell’Instituto di corrispondenza archeologica, riportò su lastra alcune tavole de I Sette colli di Roma antica e moderna (Roma 1828-29) e Le antichità di Pompei (Roma 1831).
Nel 1830, l’archeologo irlandese Edward Dodwell invitò Vespignani ad assisterlo nella campagna condotta nel Cicolano, nel corso della quale «per mezzo della camera-lucida disegnò le mura e gli altri avanzi di antichità» (Gell, 1831, p. 44, cit. in Ciranna, 2001, p. 86).
Fu l’inizio di un’intensa collaborazione interrotta nel 1831, alla morte dell’archeologo. Il consistente corpus di disegni – oltre cento tavole di restituzione grafica – è conservato in Londra presso il Sir John Soane’s Museum.
L’interesse per l’archeologia portò Vespignani a prendere parte a ulteriori campagne di rilievo, di cui si ha notizia dai resoconti pubblicati dall’Instituto di corrispondenza archeologica e dalla Pontificia Accademia romana di archeologia. La sua presenza è documentata, in quegli anni, nella Campagna romana, presso le terme di Ostia e nel territorio di Corneto (odierna Tarquinia). Nel 1834 elaborò la restituzione grafica degli scavi effettuati presso il lago del Fucino; l’anno successivo, sotto la guida di Poletti, rilevò le tombe etrusche di Cerveteri.
Della collaborazione quale giovane di studio prestata a Poletti a partire dal 1825, in generale «poco documentata», è prova la tavola disegnata e incisa da Vespignani con il palazzo Ceccopieri in via di Monte Catino, prima opera romana dell’architetto modenese (Giornale di belle arti, I (1830), p. 43, tav. XX, in Barucci, 2006, p. 203).
Alla seconda metà degli anni Trenta risalgono gli esordi dell’attività professionale. Le prime opere furono eseguite per una committenza privata: antecedenti al 1839 sarebbero, secondo quanto riportato da Francesco Gasparoni, «una fabbrichetta di costa a’ Ss. Vincenzio e Anastasio a Fontana di Trevi» (A.F.G.A., 1839, p. 91), riconducibile all’edificio di via del Lavatore 48-49, il restauro di due edifici in Albano, il palazzo in via dei Cestari realizzato per il marchese Alessandro Muti Papazzurri Savorelli, marito di sua cugina Caterina, e la casa di Domenico dall’Olio (oggi palazzo Antonelli) in via di Monserrato.
Qui l’articolazione interna, derivante dalla fusione del cinquecentesco palazzetto Capponi con un edificio adiacente, denota una suggestiva sequenza spaziale che dall’androne conduce al portico e quindi alla corte e al giardino. Il prospetto sulla via di Monserrato conferisce unità stilistica ai due edifici preesistenti: il linguaggio neo-cinquecentesco, caro a Gasparoni, si rifà alle linee e agli apparati del palazzo Sciarra di Carbognano, opera di Flaminio Ponzio, riproposto nel trattato di Paul-Marie Letarouilly, dal quale Vespignani riprese il coronamento in forte aggetto e le cornici delle finestre, sorrette da modiglioni, che divennero «elementi distintivi» della sua architettura (Barucci, 2006, p. 207).
La ridefinizione dei fronti stradali veniva attuata dagli architetti dell’epoca secondo un codice figurativo ispirato ai modelli dell’architettura rinascimentale proposti dalla manualistica contemporanea, in specie da quello che ne è stato definito il repertorio architettonico più completo, gli Édifices de Rome moderne di Letarouilly, alla cui elaborazione aveva preso parte lo stesso Vespignani (Barucci, 2006, p. 200): è il caso dei successivi interventi di palazzo Nepoti in via dei Mercanti (1860, oggi demolito) e di palazzo Berardi (oggi Guglielmi) in via del Gesù (1868), nel quale ultimo l’alterazione dell’impianto cinquecentesco di Giacomo della Porta viene resa leggibile, in prospetto, mediante la modifica dell’ampiezza delle bucature dei piani superiori, che conferisce all’impaginato nuova simmetria e ‘regolarità’.
Nel 1838 Vespignani fu nominato architetto del Popolo romano e, di lì a poco (1840), architetto camerale.
Nella prima metà degli anni Quaranta lavorò, in qualità di perito stimatore, al servizio del Tribunale civile dell’amministrazione camerale. Ancora per i Muti Papazzurri Savorelli, curò (1845-46) la sistemazione del seicentesco palazzetto al Gianicolo, già di Girolamo Farnese, e dei fabbricati annessi, operando il restauro e il generale riattamento del complesso al fine di collocarvi la residenza per la villeggiatura della famiglia e gli impianti per la produzione della cera, alimentati da un bottino rifornito dall’Acqua Paola. Per la medesima committenza realizzò la cappella della Madonna dell’Archetto in via di S. Marcello (1850-51).
Dal 1849 al 1871 fu impegnato nella realizzazione del nuovo cimitero di Campo Verano.
La soluzione progettuale definitiva prevedeva uno schema impostato secondo un asse parallelo alla basilica di S. Lorenzo fuori le Mura, alle estremità del quale erano rispettivamente l’ingresso con il quadriportico e la cappella. All’impianto generale in forma di scacchiera si contrappone l’altura del Pincetto, concepita come un giardino pittoresco; dalla cappella di S. Maria della Misericordia (1859), connotata da un portico colonnato, trasse ispirazione Raffaele Ingami, collaboratore di Vespignani, per il primitivo progetto della chiesa di S. Gioacchino ai Prati (1892).
L’ingresso del cimitero, delimitato dai torrioni tronco-piramidali, fu eseguito da Agostino Mercandetti, architetto municipale subentrato a Vespignani dopo le dimissioni rassegnate dall’incarico di direttore artistico dell’opera (1871).
Dal 1850, al ritorno di papa Pio IX dall’esilio in Gaeta, Vespignani ebbe un ruolo determinante nella renovatio Urbis da lui intrapresa: in qualità di architetto camerale e, dal 1870, di architetto governativo, curò gli interventi di manutenzione dell’intera cinta muraria e il rifacimento delle porte S. Pancrazio (1851-54), Pia (1852-68) e Salaria (1871-73; in seguito demolita), alle quali diede una più complessa configurazione e una rinnovata valenza monumentale. Numerose furono le opere destinate alla ‘pratica utilità’ (Barucci, 2006, p. 104), documentate e illustrate nelle incisioni di Paolo Cacchiatelli e Gregorio Cleter (Le scienze e le arti sotto il pontificato di Pio IX, Roma 1863-1870): tra di esse si rammentano il restauro della torre orientale del Campidoglio e l’allestimento dell’osservatorio, le Scuole notturne in Borgo Pio e, nel giardino annesso a queste ultime, la cappella intitolata a S. Pio V (1853), il nuovo braccio del monastero del Buon Pastore alla Lungara (1854), destinato a carcere femminile, il chiostro dei Cappuccini nel complesso dell’ospedale di S. Spirito in Sassia (1856-57), il lavatoio e la fontana in piazza S. Clemente (1863-64).
Grande attenzione fu riservata dal governo pontificio alle istituzioni culturali. Nel 1850 Vespignani curò la sistemazione del Bosco Parrasio al Gianicolo, sede dell’Accademia dell’Arcadia; per l’Archiginnasio romano eseguì, tra il 1856 e il 1869, una serie di interventi di adeguamento nel palazzo della Sapienza, tra i quali il rinnovo dei gabinetti scientifici, il teatro anatomico e il museo archeologico.
Dal 1864 l’architetto studiò la nuova sistemazione dell’area di piazza di Monte Cavallo e di via della Dataria, opera funzionale alla realizzazione di un’arteria di comunicazione sia con la zona di Termini, sia con le future zone di espansione.
Al fine di mitigare la forte pendenza del clivo e consentire un più agevole transito alle carrozze, Vespignani portò alla medesima quota il piano della piazza, realizzando una lunga parete di contenimento e ponendo, a superamento del dislivello, una rampa che valse la demolizione del portico in angolo di Ferdinando Fuga.
Nella seconda metà degli anni Cinquanta pose mano alla sistemazione dell’orto botanico alla Lungara, realizzando le nuove serre in ferro e vetro.
L’architettura sacra conobbe analogamente numerosi lavori di risanamento e ‘abbellimento’. Vespignani fu tra i maggiori artefici di un tale rinnovamento figurativo (Barucci, 2006, p. 143). Tra i principali interventi si rammentano quelli in S. Carlo ai Catinari (1857-61), S. Marcello al Corso (1861-67), S. Lorenzo in Damaso (1868-82). La policromia dei nuovi apparati decorativi prese il posto del candore degli stucchi borrominiani in S. Ivo alla Sapienza (1858-60); il medesimo approccio configurò i lavori nella basilica Liberiana (1861-64) e in S. Pietro in Vincoli (1876-78).
La campagna di ‘restauro’ interessò anche le basiliche paleocristiane: esemplari in tal senso gli interventi in S. Maria in Trastevere (1864-74) e in S. Lorenzo fuori le Mura (1862-65), nella quale Vespignani operò il rigoroso ripristino di una teorica facies originaria, rimuovendo ogni addizione successiva.
Nel 1869 subentrò al defunto Poletti come architetto direttore del cantiere di S. Paolo fuori le Mura: il progetto per il quadriportico (1872) «aggiorna quello di Luigi Poletti, con un allontanamento dal purismo iniziale e l’opzione di un più aggiornato lessico cinquecentesco, secondo i canoni dell’epoca» (p. 176).
Nell’ambito delle attività per la Reverenda Camera apostolica operò sull’intero territorio dello Stato pontificio: di rilevante importanza il restauro delle mura castellane di Nettuno, nel quale mise a frutto le conoscenze acquisite in materia di antichi apparecchi murari, operando integrazioni mimetiche del nuovo con l’antico (ante 1870; Barucci, 2006, p. 286); la sistemazione, portata a termine nel 1859, del palazzo apostolico di Anzio, già residenza del cardinale Alessandro Albani, acquistato da Pio IX nel 1852. Per la municipalità di Viterbo, Vespignani fornì nel 1869 i progetti del nuovo ingresso al Prato Giardino e del nuovo cimitero di S. Lazzaro (1872).
Numerosi furono gli incarichi conferiti in ragione delle personali relazioni con i notabili del Viterbese, che diedero luogo a una produzione architettonica connotata da una maggiore libertà espressiva rispetto alle opere romane, stilisticamente «più trattenute» (Barucci, 2006, p. 283). Tra questi sono i progetti per i nuovi teatri di Viterbo (1844-55, oggi teatro dell’Unione) e Orvieto (1853-63, l’odierno Mancinelli); il caffè Schenardi a Viterbo (1855); i palazzi Bruschi-Falgari a Corneto (1855) e Bracci in Orvieto (1875-81, oggi hotel Royal); le chiese di S. Maria in Capranica (1864-86) e S. Maria dei Servi in Orvieto (1855-75).
Vespignani fu promotore dell’immagine pubblica del pontefice anche attraverso la realizzazione di allestimenti temporanei quali mostre e macchine pirotecniche. Particolare rilevanza ebbero il circo onorario eretto a ponte Milvio nel 1857 e, dal 1860, subentrando a Poletti, la realizzazione delle ‘girandole’ installate al Pincio e al Gianicolo nelle ricorrenze della Pasqua e del 29 giugno.
Il prestigio raggiunto portò Vespignani a ricoprire ruoli preminenti in numerose istituzioni. Fu membro della Congregazione dei Virtuosi del Pantheon dal 1841 e, dal 1856, accademico di merito dell’Accademia di S. Luca, che presiedette negli anni 1870 e 1876-77; alla morte di Poletti (1869) gli fu affidata la cattedra di architettura pratica, che mantenne fino al 1876, allorché l’Accademia fu esautorata dall’insegnamento delle discipline artistiche.
Negli anni Settanta, caduto il governo pontificio, l’attività di Vespignani non conobbe rallentamenti. Fu membro della commissione istituita il 30 settembre 1870 per l’ingrandimento e l’abbellimento di Roma, presieduta da Pietro Camporese il Giovane, e svolse un intenso operato in qualità di membro della Commissione archeologica comunale.
Tra le sue ultime opere sono la chiesa di S. Tommaso di Canterbury in via di Monserrato (1865-88), il piccolo teatro Rossini in via di S. Chiara (1873), il padiglione ottagono in legno e ferro adiacente ai Musei Capitolini (1876), il conservatorio intitolato a Vincenzo Bugeja in Malta (1873-80), la ristrutturazione dell’antica Dogana di terra in piazza di Pietra (1879-84).
Morì a Roma il 3 dicembre 1882.
Dal matrimonio con Geltrude Venturoli, sposata nel 1841, era nato Francesco Maria Augusto (v. la voce in questo Dizionario), ingegnere e architetto. Tra i discendenti figura l’artista Lorenzo (Renzo) Vespignani (v. la voce in questo Dizionario), accademico della classe di pittura e presidente dell’Accademia nazionale di S. Luca per il biennio 1999-2000.
La gran parte della documentazione (carte e disegni) di Vespignani, pervenuta a Rodolfo Lanciani a mezzo della sorella Carlotta, moglie di Francesco Maria Augusto, è confluita nel fondo Lanciani conservato presso la biblioteca dell’Istituto nazionale di archeologia e storia dell’arte a Roma.
Fonti e Bibl.: Si rimanda integralmente al testo più recente e completo, la monografia di C. Barucci, V. V. Architetto tra Stato Pontificio e Regno d’Italia, Roma 2006, con bibliografia e regesto delle fonti; per approfondimenti storico-critici su singoli settori di attività, W. Gell, Intorno le ultime scoperte del sig. Dodwell. Al cav. Bunsen. Traduzione, in Bullettino dell’Instituto di Corrispondenza archeologica per l’anno 1831, marzo 1831, n. 3, pp. 43-48; A.F.G.A. (pseudonimo di F. Gasparoni), La fabbrica del signor Domenico dall’Olio in via di Monserrato, murata sui disegni e colla direzione dell’architetto signor Conte V. V., in La Pallade. Giornale di belle arti, I, 4 aprile 1839, n. 12, pp. 89-92; Diario di Roma, 29 aprile 1843, n. 34, p. 4; 20 maggio 1843, n. 40, p. 4; Supplimento al n. 48 del Diario di Roma, 17 giugno 1843, p. 1; G. Stopiti, V. conte V., Roma s.d. [1878]; S. Ciranna, V. V. architetto restauratore, in La cultura del restauro. Teorie e fondatori, a cura di S. Casiello, Venezia 1996, pp. 49-71, 376-379; Ead., Disegni su ‘L’architettura antica d’Italia’ del giovane V. V., in Palladio, n.s., XIV (2001), 27, pp. 79-102; G.P. Consoli - S. Pasquali, Roma: l’architettura della capitale, in Storia dell’architettura italiana. L’Ottocento, a cura di A. Restucci, I, Milano 2005, pp. 245, 250-252, 268, 271; Le 280 lettere di V. V. per la costruzione del Teatro dell’Unione di Viterbo, a cura di E. Bentivoglio, Roma 2017; V. a Viterbo : il Teatro dell’Unione e le opere progettate nel Viterbese dall’architetto V. V., a cura di S. Valtieri, Roma 2017.