MARTINI, Virginia
– Nacque a Siena verso il 1510 da Giovanni Battista, giureconsulto originario di Casole (Casole d’Elsa); il nome della madre è ignoto.
Una fonte tarda attribuisce alla M. un primo matrimonio con il conte Annibale Pannocchieschi da cui ebbe l’unica figlia, Beatrice (cfr. Gigli). Con maggior sicurezza è documentato il secondo matrimonio, contratto nel 1534 o nel 1535 con Matteo Salvi, appartenente a una influente famiglia senese a capo della fazione del «monte» del Popolo.
Non si hanno notizie certe sull’educazione della M., tranne che sviluppò presto la sua inclinazione per la poesia e divenne in breve tempo una delle più conosciute e apprezzate poetesse cittadine, fama che condivise con Laudomia Forteguerri e Aurelia Petrucci. Il suo tirocinio poetico si svolse con tutta probabilità intorno ai trattenimenti letterari promossi dal fervido ambiente dell’Accademia degli Intronati e in particolare da Alessandro Piccolomini. Una delle sue prime composizioni poetiche fu proprio una risposta in rima a un sonetto che Piccolomini aveva scritto nel 1540 in occasione di un pellegrinaggio letterario sulla tomba di Francesco Petrarca, sonetto a cui replicarono, in un compiaciuto gioco accademico, alcune gentildonne senesi (cfr. Cerreta, 1960, p. 241).
La vena poetica della M. non rimase confinata all’interno di un anodino petrarchismo e già nel giugno 1546 i magistrati senesi indagarono sulla circolazione di un epigramma satirico che aveva per oggetto la morte del capitano del Popolo Francesco Savini e di alcune stanze anonime che si scagliavano contro il malgoverno della città, tutti versi che la voce pubblica assegnava alla penna della Martini.
Molto più gravi e circostanziate furono le ipotesi di reato formulate nell’agosto dello stesso anno dall’organo dei Dieci conservatori per la libertà: la M., Orlando Malavolti e Giulio Bargagli furono accusati di intrattenere rapporti epistolari con i fuoriusciti del «monte» dei Nove radunati intorno alla corte imperiale. Tra le missive intercettate figurava anche una lettera indirizzata dalla M. a Buoncompagno Agazzari, cui erano acclusi due sonetti rivolti rispettivamente a Carlo V e ad Antoine Perrenot de Granvelle. Bargagli si diede per tempo alla latitanza, Malavolti fu incarcerato e ripetutamente interrogato, mentre la M. fu interrogata e in seguito tenuta in custodia presso il monastero di S. Lorenzo. Malavolti e la M. si sottrassero alle gravi conseguenze di una condanna per «delitto di Stato» solo grazie all’intervento diretto di Ferrante Gonzaga, appena nominato da Carlo V governatore di Milano. L’intercessione della diplomazia imperiale, preoccupata di fare riammettere al governo cittadino la fazione esiliata dei Noveschi, ottenne per la M. una pena molto lieve: il confino per un anno nei possedimenti familiari di Casole.
Proprio negli anni più difficili per la Repubblica la poesia della M. raggiunse una discreta diffusione e visibilità anche al di fuori dei limiti municipali. Il Libro quarto delle rime di diversi eccellentissimi autori nella lingua volgare (Bologna, A. Giaccarello, 1551, pp. 190-192) include un suo sonetto e una sua canzone, cui seguono una canzone di risposta e un madrigale di Pietro Bembo (pp. 192-195), entrambi rivolti alla M. celata sotto il senhal di Cinzia. Uno scambio poetico con un interlocutore così illustre dovette costituire il miglior biglietto da visita per una rimatrice ancora poco conosciuta, ma l’autenticità di queste due rime bembiane è quanto meno dubbia. A soli due anni di distanza Il sesto libro delle rime di diversi eccellenti autori (Venezia, Al segno del pozzo, 1553, cc. 109v-111v) accolse 14 stanze continuate d’argomento amoroso della M., ognuna delle quali conclusa preziosamente da un verso del sonetto petrarchesco Pace non trovo, e non ho da far guerra.
La consacrazione nell’Olimpo del petrarchismo al femminile giunse con le Rime diverse d’alcune nobilissime et virtuosissime donne (Lucca, V. Busdraghi, 1559, pp. 162-205), curate da L. Domenichi, che presentano una silloge di testi della M. composta da 3 canzoni, 37 sonetti, 1 madrigale e 4 poemetti di stanze continuate per un totale di 36 ottave, la più ampia raccolta del volume. Questo florilegio esemplifica i vari aspetti della sua lirica, che tocca temi diversi ma rimane fedele alla koiné espressiva petrarchista. La maggior parte delle composizioni è di carattere amoroso e tratteggia momenti di un rapporto sentimentale prevalentemente infelice con un amato celato sotto il senhal di Sole, riecheggiando talvolta alcune convenzioni arcadiche. Le relazioni intellettuali e sociali intrattenute dalla M. sono testimoniate dalle rime di corrispondenza, d’argomento amoroso o encomiastico, indirizzate al conte Annibale d’Elci, a Lattanzio Benucci e all’accademico Intronato Antonio Barozzi, nonché da una lunga canzone in cui piange la morte di Orazio Farnese e da un sonetto consolatorio inviato al fratello di questo, il cardinale Alessandro.
Il versante più interessante della produzione della M. è costituito dalle rime civili, che rispecchiano la situazione politica comunale tra la fine degli anni Quaranta e lo scoppio della guerra di Siena (1552-59). Insieme con altri cittadini che erano stati vicini all’imperatore, la M. appoggiò l’insurrezione antispagnola del 1552.
Il cambiamento di fronte trova un’eco precisa nelle composizioni politiche comprese nella silloge curata da Domenichi: una solenne canzone indirizzata a Caterina de’ Medici – in cui la M. prega la regina di Francia di strappare i propri figli dai «rapaci artigli / de l’empio ed infedele / augel» (p. 199), ovvero l’aquila imperiale –, un sonetto dello stesso tenore alla medesima e un altro rivolto a Enrico II di Francia (destinatario di ulteriori tre sonetti trasmessi da altre fonti, cfr. Lisini, pp. 35 s.).
Le sorti della Repubblica senese erano comunque segnate: nell’aprile 1555 la città cedette all’assalto degli Imperiali e la disfatta costrinse la M. a fuggire a Roma. Ai primi anni dell’esilio potrebbero essere ricondotte alcune rime indirizzate ai cardinali della fazione filofrancese Vitellozzo Vitelli, Antonio Trivulzio e Ranuccio Farnese. Otto sonetti e una canzone già compresi nelle Rime diverse d’alcune nobilissime et virtuosissime donne vennero riproposti in apertura delle Rime di diversi autori eccellentissimi. Libro nono (Cremona, V. Conti, 1560, pp. 1-7), mentre un nuovo sonetto comparve nelle Rime di diversi nobilissimi et eccellentissimi autori. In morte della signora Irene delle Signore di Spilimbergo (Venezia, D. e G.B. Guerra, 1561, p. 167).
Dopo il trattato di Cateau-Cambrésis (3 apr. 1559), Siena entrò a far parte del Ducato di Toscana e nell’agosto la M. scrisse una supplica a Cosimo I de’ Medici per riottenere i beni che le erano stati confiscati. Con ogni probabilità la supplica rimase inascoltata e la M. si risolse definitivamente a vivere lontana da Siena, dal momento che sempre da Roma fu spedita la lettera datata 17 nov. 1571 che introduce la stampa di due sonetti, uno della M. e uno della figlia Beatrice, indirizzati a Celio Magno in lode della sua celebre canzone sulla battaglia di Lepanto (Lettera et sonetti della sig. Virginia Salvi et della sig. Beatrice sua figliuola a m. Celio Magno, ibid. 1571). La permanenza a Roma è attestata anche dalla partecipazione della M. al volume collettaneo Per donne romane promosso da M. Manfredi (Bologna, A. Benacci, 1575, pp. 59 s., 95, 165 s.).
Non si hanno ulteriori notizie che facciano luce sugli ultimi anni di vita della Martini. La data e il luogo della sua morte rimangono sconosciuti.
Alcune rime della M. non comprese nelle raccolte citate si leggono, frammiste con altre edite, nel manoscritto Pal. 256 della Biblioteca nazionale di Firenze, cc. 112-113, 191-198, e in A.F. Doni, Dialogo della musica, a cura di G.F. Malipiero, Milano 1965, pp. 209-211. Edizioni antologiche, in Rime di cinquanta illustri poetesse di nuovo date in luce da Antonio Bulifon, Napoli 1695, pp. 153-193; Poesie italiane inedite di dugento autori, a cura di F. Trucchi, IV, Prato 1847, pp. 16 s.; Parnaso italiano, XII, Venezia 1851, pp. 1594-1602.
Fonti e Bibl.: L. Domenichi, La nobiltà delle donne, Vinetia 1549, p. 249; G. Betussi, Le imagini del tempio della signora donna Giovanna Aragona, Firenze 1556, pp. 36 s.; G. Gigli, Diario sanese, I, Lucca 1723, pp. 391 s.; A. Lisini, Le poetesse senesi degli ultimi anni della Repubblica di Siena, in Miscellanea storica senese, V (1898), 3-4, pp. 35-38; M. Rossi, Le opere letterarie di Alessandro Piccolomini, in Bull. senese di storia patria, XVIII (1911), pp. 24, 50; A. Lusini, Virginia Salvi e un processo politico del secolo XVI, in La Diana. Rass. d’arte e vita senese, V (1930), pp. 130-154; F. Cerreta, La Tombaide: alcune rime inedite sur un pellegrinaggio petrarchesco ad Arquà, in Italica, XXXV (1958), 3, pp. 162-166; Id., Alessandro Piccolomini. Letterato e filosofo senese del Cinquecento, Siena 1960, pp. 32 s., 241; G. Rabitti, Vittoria Colonna, Bembo e Firenze: un caso di ricezione e qualche postilla, in Studi e problemi di critica testuale, 1992, vol. 44, pp. 153-155; M.F. Piejus, Les poetesses siennoises entre le jeu et l’écriture, in Les femmes écrivains en Italie au Moyen Âge et à la Renaissance. Actes du Colloque… 1992, Aix-en-Provence 1994, pp. 315-332; K. Eisenbichler, Poetesse senesi a metà Cinquecento: tra politica e passione, in Studi rinascimentali, I (2003), pp. 95-102.