FUNI, Virgilio Socrate (Achille)
Nacque a Ferrara il 26 febbr. 1890 da Giuseppe e da Elvira Bertolini. Il padre era di idee socialiste, tra i fondatori della Camera del lavoro di Ferrara, e possedeva vivaci interessi culturali, rivolti soprattutto al mondo classico, che trasmise al figlio. Terminate le elementari, il F. si iscrisse alla civica scuola di belle arti "Dosso Dossi". Affiancò presto agli studi ufficiali la frequentazione dell'atelier di N. Laurenti, dove conobbe R. Melli, G. De Vincenzi e L. Caravita, coi quali espose nel dicembre 1904 presso lo studio del fotografo Settimio Buzzoni. Nel maggio del 1905 partecipò alla Mostra collettiva del teatro dei Filarmonici di Ferrara.
Inizialmente il F. fu fortemente suggestionato dagli affreschi rinascimentali di palazzo Schifanoia e dalle altre opere di arte classica presenti in città, come le antichità del Civico Museo lapidario; anche le sue letture, sollecitate dal padre e facilitate dall'accesso alla ricca biblioteca di uno zio, si orientarono verso la conoscenza dei classici latini e della letteratura italiana.
Nel 1906 si trasferì a Milano con la famiglia prendendo inizialmente alloggio al n. 1 di via dei Mille, presso la casa ove abitava N. Laurenti e della quale la madre ebbe la custodia come portinaia (il padre, invece, si impiegò come operaio in una pellicceria); il F. si iscrisse all'Accademia di Brera, con l'amico ferrarese R. Marzola. Nel 1907-08 frequentava la scuola di nudo, dove ebbe come insegnanti V. Bignami, E. Butti, F. Confalonieri e C. Tallone, del quale ebbe la possibilità di seguire, tra il 1908 e il 1910, i corsi speciali di pittura, riservati ai migliori allievi; con lui erano stati scelti A. Carpi, A. Bonzagni, D. Frisia. Conobbe in questi anni altri giovani che in seguito furono protagonisti della scena artistica, quali A. Bucci, C. Erba, C. Carrà, A. Sant'Elia e M. Chiattone. Nel 1909 il suo quadro L'aratura, esposto alla Permanente nell'ambito del concorso per i premi dell'Accademia di Brera, ricevette l'attenzione di U. Boccioni, che ne scrisse in un articolo sulla mostra. A partire dal 1910 adottò il nome di Achille.
Si avvicinò presto agli ambienti del nascente futurismo e nel 1912 fu tra quanti esposero al caffè Cova nella mostra degli artisti rifiutati dalla Permanente, presentandovi il dipinto La danzatrice. Le istanze innovative del movimento d'avanguardia incrinarono le certezze della sua solida formazione classica e accademica, anche se le opere che eseguì negli anni Dieci dimostrano comunque la ricerca di una solidità costruttiva che nasce dalla sintesi tra richiami cubisti e temi futuristi.
Le opere di questi anni oggi note - paesaggi urbani come Corso Monforte (1911) o Notturno (1914) - manifestano l'urgenza di un rinnovamento in chiave moderna che porta a una deformazione del reale per effetto della velocità; invece altri lavori come Ragazza sul balcone (1912) o Autoritratto futurista (1913) - opere tutte in collezioni private - denotano un rigore strutturale, pur nella rottura degli schemi tradizionali, con accenni cubisti mediati dalle opere degli amici futuristi Carrà e Boccioni.
All'inizio del 1914 fu tra i fondatori di Nuove Tendenze; gli artisti del gruppo, sostenuto dal critico U. Nebbia, si muovevano nel clima futurista fornendone una versione moderata. L'unica esposizione che allestirono ebbe luogo tra il maggio e il giugno del 1914 presso la Famiglia artistica milanese, con la partecipazione di A. Bisi Fabbri, L. Dudreville, A. Fidora, M. Nizzoli, G. Possamai, Erba, Chiattone e Sant'Elia.
Il F. vi presentò nove dipinti che dimostrano il suo aggiornamento sulle nuove proposte di sintesi grafico-espressiva dei futuristi, e segnatamente di Boccioni. Anche nel testo teorico da lui pubblicato nel catalogo si individuavano precisi riferimenti alle intenzioni dei futuristi nella rappresentazione plastica del movimento nei dipinti e nelle sculture, con osservazioni dialetticamente vicine alle idee espresse da Boccioni nel volume Dinamismo plastico. Anche altri dipinti del 1914, quale ad esempio l'Uomo che scende dal tram (Milano, Civico Museo d'arte contemporanea), tendono a una composizione plastica unitaria, nella quale lo spazio è assorbito dai marcati segni di contorno, in un'unica espansione cromatica.
L'esperienza di Nuove Tendenze si concluse in breve tempo, a causa della defezione di Sant'Elia, che passò ufficialmente tra i futuristi, e di altre difficoltà nei rapporti fra i componenti del gruppo, oltre che per lo scoppio della guerra. Come i futuristi, il F. partì volontario nel Battaglione lombardo Volontari ciclisti, ritrovandosi, nel periodo di addestramento a Gallarate, con F.T. Marinetti, Sant'Elia, Bucci, Boccioni e altri (con alcuni di loro decorò il teatro di Gallarate per una delle iniziative prese dagli artisti volontari al fine di coinvolgere la popolazione). Dopo aver partecipato alle azioni belliche affidate al battaglione divenne ufficiale dei bersaglieri ed ebbe diverse destinazioni, a Pesaro, a Caposile e quindi al fronte.
Nei mesi di guerra realizzò numerosi disegni, che illustrano la vita militare senza rinunciare a una sintesi plastica con accenni primitivisti e cubisti; con questi disegni - in parte raccolti, con altri da lui eseguiti negli anni Dieci e Venti, nel Civico Gabinetto dei disegni del Castello Sforzesco di Milano - partecipò alle mostre organizzate sul tema bellico dalla Famiglia artistica nel novembre del 1915 (Esposizione di artisti sotto le armi) e nel dicembre 1915 - gennaio 1916 (Mostra di impressioni di guerra).
Rientrato a Milano a guerra terminata, riprese i contatti con l'ambiente futurista e dell'arte d'avanguardia, vivendo i dubbi e le perplessità del momento. Alla Grande esposizione nazionale futurista tenutasi a Milano nel 1919 presentò dieci dipinti, tra cui L'uomo che scende dal tram, Il ciclista (riprodotto in catalogo, dove è segnalato di proprietà di U. Notari) e altri di proprietà di Marinetti e di M. Sarfatti; le opere appaiono ancora improntate ai modi sintetici e dinamici della sua produzione precedente il conflitto. Nel dicembre del 1919 con Russolo e Marinetti firmò una circolare nella quale i tre si rivolgevano ad altri artisti per individuare i possibili sviluppi pittorici attuali e poter elaborare un nuovo manifesto. L'11 genn. 1920 i tre firmatari, più M. Sironi, sottoscrissero il manifesto "futurista" intitolato Contro tutti i ritorni in pittura - redatto da Russolo l'anno precedente e pubblicato nel catalogo della mostra futurista inaugurata nell'aprile del 1919 al Winter Club di Torino - nel quale, in contrasto con il recupero di forme e modi primitivi e classici proposto da Carrà e, in forma diversa, da Severini, si sosteneva la necessità di proseguire gli assunti del futurismo in direzione plastica e costruttiva. Sempre nel 1919 il F. partecipò, spinto anche dall'amicizia con il ferrarese I. Balbo, alla riunione fondativa del fascismo, che ebbe luogo a Milano in piazza S. Sepolcro.
Nel periodo dell'immediato dopoguerra il F. si era inserito negli ambienti dei salotti di Sarfatti e di Notari, che ritrasse nel 1921 in un dipinto (collezione privata) di ispirazione rinascimentale e di caratterizzazione contemporanea. In questi ambiti conobbe anche l'industriale P. Preda, che nel 1920 lo ospitò, insieme con A. Martini, per alcuni mesi in una casa di Rovenna, sul lago di Como, in cambio di opere da loro realizzate nel periodo. I due artisti ebbero modo di approfondire la loro ricerca in comune e di ritrovare motivazioni e stimoli al fare dopo le incertezze del dopoguerra.
Tra il 1920 e il 1923 il F. modificò decisamente il suo modo di dipingere: passò dalle reminiscenze futuriste verso modi di nuova solidità plastica, in una fissità sintetica che traduce il nuovo intimismo in una lucida trasposizione dei riferimenti al passato in modi affini alla maniera della nuova oggettività tedesca. Ne sono testimonianza opere come Il bel cadavere (Milano, Galleria d'arte moderna, collezione Boschi), del 1919, o, del 1921, Maternità, Mia madre, Ritratto della sorella (Ferrara, Galleria d'arte moderna).
Il F. prese parte alla Exposition internationale d'art moderne, inauguratasi nel dicembre del 1920 a Ginevra, alla Prima Biennale romana (1921) e alla Biennale di Venezia (1922), dove espose La terra e Maternità; gravitando nell'orbita della milanese Bottega di poesia, espose inoltre in occasione della prima Mostra d'arte, del gennaio 1922, e quindi nella Mostra di pittura e scultura contemporanea, del novembre successivo.
Come il F., anche altri artisti dell'area milanese si orientavano in quel periodo verso una figurazione che riscoprisse valori del passato in un nuovo equilibrio compositivo, ormai lontano dalle istanze dell'avanguardia, preparando la poetica e la costituzione del gruppo Il Novecento. Questo movimento sorse in seguito alle riunioni che si svolsero presso la galleria Pesaro di Milano, alla presenza del gallerista L. Pesaro, della Sarfatti, che cercava di sfruttare anche la nuova situazione politica e la sua amicizia con Mussolini per affermare una nuova tendenza artistica che potesse avere valore nazionale, e degli artisti Bucci, Dudreville, Malerba, P. Marussig, U. Oppi, Sironi e dello stesso Funi. Messa a punto la strategia di un'azione concertata dal punto di vista delle opportunità espositive più che sul piano della poetica, il gruppo si presentò con la mostra Sette pittori del Novecento italiano, inaugurata il 26 marzo 1923 alla galleria Pesaro, alla presenza di Mussolini. L'affermazione del gruppo si specificò meglio con la partecipazione alla Biennale di Venezia del 1924 in una sala unitaria dedicata ai "Sei pittori del Novecento" (Oppi aveva accettato di esporre da solo in una sala personale, su invito sollecitato da U. Ojetti, creando i primi dissapori nel gruppo): il F. presentò quattro opere, tra cui L'architetto Chiattone e Una persona e due età, doppio ritratto della sorella Margherita e della madre, quadro che si inscrive in quell'atmosfera di realismo magico che tocca la più lirica produzione dell'arte italiana nell'ambito del ritorno all'ordine.
Nei mesi successivi il F., insieme con Marussig, collaborò strettamente con la Sarfatti nell'intento di allargare il raggruppamento al di là dell'ambiente milanese e senza tener conto della composizione originale, che era in crisi per la volontà di abbandonare Novecento manifestata da Dudreville e per l'intenzione di non dar seguito agli accordi con L. Pesaro. Nel nuovo comitato direttivo di Novecento si trovarono il F., Marussig, Sironi e i nuovi A. Salietti, A. Tosi e A. Wildt, oltre al gallerista Gaspare Gussoni, in sostituzione del Pesaro. Gli altri novecentisti della prima ora mantennero comunque rapporti con il nuovo comitato direttivo, aderendo tra i primi alle nuove iniziative che si concretizzarono nell'organizzazione della prima Mostra del Novecento italiano, inaugurata il 14 febbr. 1926 nel palazzo della Permanente di Milano alla presenza di Mussolini. La mostra raccolse opere di più di centodieci artisti su centottanta invitati; il F. presentò Bautta veneziana, L'Annunciazione e Lettura domenicale (Roma, Galleria nazionale d'arte moderna), che andarono tutte vendute.
Tra il 1926 e il 1930 il F. prese parte a tutte le più importanti iniziative di Novecento: ad esempio alla Biennale di Venezia (1926, 1928); alle esposizioni del Carnegie Institute di Pittsburgh; a quelle al Musée Rath di Ginevra, alla Kunsthaus di Zurigo e allo Stedelijk Museum di Amsterdam (1927); a Milano, alle mostre organizzate dalle gallerie Milano, dirette da Gussoni e Scopinich, e alla II Mostra del Novecento italiano (1929).
Nel 1925 la Sarfatti, nella monografia sul F. edita da Hoepli, considerava l'artista erede della tradizione classica e rinascimentale ferrarese e riteneva che i caratteri di essenzialità e di grandezza del comporre che il F. dimostrava avrebbero potuto tradursi in efficaci soluzioni ad affresco, prefigurando la fortuna della sua successiva attività di decoratore murale. Proseguendo infatti in una produzione che introduceva temi classici anche all'interno dei paesaggi o delle composizioni moderne o mitologiche, soggetti frequenti di questi anni accanto alle bagnanti e ai nudi femminili, il F. si approssimò a soluzioni nuove, che poté svolgere a partire dal 1930 con le frequenti richieste di realizzazioni ad affresco in occasione delle grandi esposizioni, come la Triennale di Monza del 1930 e la Triennale di Milano del 1933, o di decorazioni di chiese e palazzi pubblici.
A Monza nel 1930, per invito di Sironi, che si stava attivando teoricamente e praticamente in una ripresa dell'impegno estetico capace di tradursi in forme anche monumentali, il F. dipinse affreschi dedicati ai personaggi dell'Eneide nella sala del Vestibolo; l'anno seguente gli furono commissionati affreschi sulla Vicenda di s. Giorgio per le lunette laterali e il catino absidale della chiesa milanese di S. Giorgio in Palazzo; nel 1932 partecipò a Roma alla Mostra della rivoluzione fascista eseguendo, in collaborazione con D. Rambelli e M. Marini, le decorazioni per la sala "C". Quindi, dopo avere brevemente soggiornato a Parigi alla fine del 1931 e aver partecipato alla Biennale di Venezia del 1932 con un'antologica di ventisette opere, tra le quali La donna coi pesci (o La figlia del pescatore), Adone morente e Publio Orazio uccide la sorella (Berlino, Staatliche Museen), il F. prese parte al programma decorativo per il nuovo palazzo della Triennale di Milano. Questi lavori furono approntati per l'edizione del 1933 della manifestazione, che segnò l'affermazione della tendenza al muralismo, sostenuta poi dal Manifesto della pittura murale di Sironi, sottoscritto da Carrà, M. Campigli e dal F., e pubblicato su La Colonna (n. 1, dicembre 1933).
Nel palazzo della Triennale il F. rappresentò I giochi atletici italiani che si ispiravano a soggetti classici nell'esaltazione di una fisicità trasposta in visione mitica, in sintonia con il clima culturale e politico; anche questo affresco, come gli altri realizzati per l'occasione, fu cancellato al termine dell'Esposizione. Non è stato rimosso, invece, il mosaico del pavimento nella sala centrale, realizzato dal F. in collaborazione con E. Fini.
Altri interventi ad affresco gli furono richiesti per la chiesa del Cristo Re a Roma (1934) e quindi per la sala della Consulta nel palazzo comunale di Ferrara, dove da qualche anno aveva intrecciato fecondi rapporti con la cerchia di I. Balbo. A Ferrara il F. dipinse un ciclo, portato a termine nel 1937, comprendente Il mito di Ferrara, articolato in una serie di scene ispirate all'Orlando furioso e alla Gerusalemme liberata, e ad altri episodi di origine mitologica e classica (Mito di Fetonte, Storia di Ugo e Parisina, Caduta dei giganti). Fra 1936 e 1937 eseguì altri dipinti murali per l'atrio d'ingresso del palazzo della RAS a Trieste e per la sede della Banca nazionale del lavoro a Roma, edificata da M. Piacentini. Si recò quindi in Libia, su invito di Balbo, dove decorò la chiesa di S. Francesco a Tripoli, con episodi della vita del santo e altri soggetti francescani, e una parete del palazzo del governatore, nel quale immortalò l'Arrivo di Mussolini a Tripoli, avvenuto nel marzo 1937.
Numerose furono anche negli anni Trenta le occasioni espositive dove presentò prevalentemente dipinti da cavalletto in cui i temi classici erano frequenti; oltre a partecipare a molte esposizioni ufficiali, quali le rassegne sindacali, la Biennale di Venezia (1930, 1932, 1940, 1944) e la Quadriennale di Roma (1931, 1939), tenne personali nel capoluogo lombardo presso la galleria Milano e la galleria Il Milione.
Il F. intanto, che già negli anni Venti aveva dimostrato interesse per la didattica impartendo lezioni private a Milano o nei soggiorni a Forte dei Marmi, e quindi avviando una scuola d'arte in un appartamento di via Vivaio, insieme con Marussig e T. Bortolotti, il 16 ott. 1939 ricevette l'incarico di insegnante di figura disegnata presso il liceo artistico dell'Accademia di Brera, e in seguito ottenne che venisse istituita per lui una cattedra di affresco presso l'Accademia stessa, su sua esplicita richiesta al ministro Bottai.
Nei primi anni Quaranta fu impegnato ancora per alcune importanti decorazioni parietali quali la realizzazione a Milano di uno degli affreschi per il palazzo di Giustizia e del mosaico per il soffitto della sala riunioni della sede della Cassa di risparmio delle provincie lombarde di via Verdi, oltre agli affreschi per la sala della facoltà di medicina e chirurgia dell'università di Padova; restano invece solo i cartoni preparatori dei dipinti che aveva avuto l'incarico di dipingere nel palazzo dei Congressi a Roma in vista dell'Esposizione universale del 1942; interrotti rimasero anche i lavori per la cappella Quilici a Bruntino di Bergamo.
Divenuto direttore dell'Accademia di Brera nell'ottobre del 1944, nel momento in cui gli eventi bellici provocarono una sospensione dell'attività didattica, si trasferì con la sorella Margherita a Rovetta, nel Bergamasco, dove si ritrovò con Tosi, lasciando la casa di Milano all'amico R. De Grada, che vi ospitò riunioni di partigiani nei mesi della lotta di liberazione. Nel 1945, rassegnate le dimissioni da direttore dell'Accademia di Brera, anche per le indagini in corso sulle compromissioni politiche dell'istituzione, accettò l'incarico di professore di pittura e quindi di direttore dell'Accademia Carrara di Bergamo. Nel 1947 fu reintegrato nella cattedra di affresco anche nell'Accademia di Brera, proseguendo l'attività didattica fino al 1961; dal 1957 fu nuovamente nominato direttore della Braidense, succedendo ad A. Carpi.
In questi anni fu molto attivo nell'ambito dell'istituzione scolastica, partecipando a numerose commissioni giudicatrici di concorsi e dedicandosi con passione alla formazione delle nuove generazioni artistiche; dimostrò sempre grande apertura nei confronti delle direzioni artistiche prese dai suoi allievi, a volte molto distanti dalle sue. Realizzò inoltre molte imprese decorative, come quelle milanesi per l'atrio del teatro Manzoni (1946), per la Casa Reise (1948), per le sedi del Banco di Roma (1951) e per la Banca generale dei crediti (1959); e quelle bergamasche, tra gli anni Quaranta e Cinquanta, per il cinema S. Marco, per la Banca popolare di Bergamo e per la sala consiliare del Municipio. Numerose furono anche le commissioni ecclesiastiche.
La sua pittura nel dopoguerra proseguì sulla falsariga delle conquiste di un misurato classicismo, venato di accenti lirici e metafisici, e frequenti furono le occasioni espositive. Numerose le personali in gallerie private, soprattutto a Milano, dove fu seguito dagli anni Cinquanta dai galleristi Pagani e, poi, Colombo che gli fu particolarmente vicino negli ultimi anni; venne invitato alla Biennale di Venezia (1952, 1960); la sua opera fu accolta in molte importanti rassegne storiche sull'arte italiana della prima metà del secolo.
Negli ultimi anni visse con la sorella Margherita a Milano, abitando a piazza della Repubblica, con studio in via Cavalieri, in costante contatto con gli amici di vecchia data, che incontrava anche nel villino di Forte dei Marmi, località da lui frequentata assiduamente a partire dagli anni Venti.
Morì il 26 luglio 1972 ad Appiano Gentile.
Fonti e Bibl.: U. Boccioni, Il pittore d'avanguardia A. F., in Gli Avvenimenti, 9 apr. 1916; C. Carrà, A. F., in L'Ambrosiano, 28 luglio 1925; M. Sarfatti, A. F., Milano 1925; E. Persico, Una mostra di A. F., in Belvedere, gennaio 1930; G. Nicodemi, A. F., in Emporium, LXXVIII (1933), pp. 2-19; N. Quilici, Il mito di Ferrara negli affreschi di A. F., Milano 1939; G. De Chirico, A. F., Milano 1940; P. Torriano, 12 opere di A. F., Milano 1944; O. Vergani, A. F., Milano 1949; A. F. (catal.), a cura di R. De Grada, Milano 1973; R. De Grada, A. F., Milano 1974; A. F., (catal.), testi di Z. Birolli e A. Negri, Ferrara 1976; R. Bossaglia, Il Novecento italiano. Storia, documenti, iconografia, con appendici di C. Gian Ferrari - M. Lorandi, Milano 1979, ad Indicem; Nuove Tendenze. Milano e l'altro futurismo (catal.), a cura di P. Thea, Milano 1980, pp. 122 s. e passim; Gli Anni Trenta. Arte e cultura in Italia (catal.), Milano 1982, pp. 511 s. e passim; M. Lorandi, in Il Novecento italiano 1923-1933 (catal.), a cura di R. Bossaglia, Milano 1983, pp. 319-326; L. Scardino, A. F. e il "Mito di Ferrara", Ferrara 1985; S. Weber, A. F. e la pittura murale fra le due guerre, Firenze 1987; A. F. dal futurismo alla maniera grande (catal.), a cura di R. De Grada, Milano 1987; La scuola di F. (catal.), Mendrisio 1988; A. F., itinerari di un affrescatore 1930-1943, a cura di C. Cazzaniga - F. Dangor - V. Mazzarella - I. Sacco, Roma 1988; A. F. (catal.), Milano 1992; M. Malinverno, Il motivo del classico nella pittura ad affresco di A. F., tesi di laurea, Università cattolica del Sacro Cuore, Milano a.a. 1992-93; N. Colombo, A. F. Catalogo ragionato, Milano 1996.