SCHÖNBECK, Virgilio
(Virgilio Giotti). – Nacque a Trieste il 15 gennaio 1885, primogenito di Richard (1852-1915), nativo di Kolín in Boemia, arrivato a Trieste nel 1878 per lavorare all’arsenale del Lloyd, e di Emilia Ghiotto (Trieste 1857-1941), da cui avrebbe tratto ispirazione per il suo nome d’arte, utilizzato sempre fin dal primo libro. Nel 1933 mutò il cognome in Belli.
Molto dotato per il disegno, frequentò la scuola d’arte dell’Istituto Reale Scuola industriale, dove, tra il 1899 e 1900 ebbe come compagno il pittore Guido Marussig. Adolescente aspirante pittore, fu anche appassionato di teatro, leggero e tragico, e scrisse almeno una commedia poi da lui distrutta. Conobbe presto il filosofo Giorgio Fano, con cui condivise la ribellione nei confronti del mondo scolastico, quindi Umberto Poli (Saba), di cui fu amico per lunghi anni. Con entrambi frequentò il caffè Rossetti, ritrovo di intellettuali, più tardi il caffè del Municipio.
A vent’anni tentò i primi esperimenti poetici in dialetto triestino con una personale traduzione del sonetto XXVI della Vita nuova (Saluda cusì ben la mi putela) e con La canzon de la foia portada dal vento, dall’Imitazione leopardiana.
Nel 1907, per evitare il servizio militare nell’esercito austroungarico, si trasferì a Firenze abitando per un periodo con Fano. Qui frequentò artisti, in particolare Gino Carlo Sensani, incisore e scenografo, e conobbe Federigo Tozzi e Dino Campana, ma non si integrò con l’ambiente vociano. Per vivere fece diversi lavori, tra cui il venditore di oggetti dell’artigianato toscano fra l’Italia e la Svizzera. Lontano da Trieste, il dialetto diventò per Giotti la lingua della poesia. Dal 1909 iniziò a comporre le liriche dialettali che confluirono nel Piccolo canzoniere in dialetto triestino (Firenze 1914), stampato a sue spese presso l’editore Ferrante Gonnelli.
Canzoniere di amori giovanili e di viaggi, di ritratti femminili (tra cui la massaia Siora Teresa ad apertura di libro, Lina e Adele Wölfler) e di tavoli di osterie, di sogni e desideri di casa. E come Intermezzo le grandi scene di I veci che ‘speta la morte, dove tra paesi e città riaffiora la Trieste del porto e dei botteghini di città vecchia, e dove egli stesso appare, distratto lettore del giornale in attesa della ragazza.
Nel 1909 lo raggiunsero a Firenze i genitori e le tre sorelle: Silvia, Maria ed Evelina. Nel 1911 conobbe in casa dell’amica Lisa Markovich, Nina Schekotoff, studentessa moscovita, nobile, in Italia per perfezionare gli studi, che divenne presto sua compagna di vita (moglie dal 1936) e da cui ebbe tre figli: Natalia, detta Tanda (nata nel 1913), Paolo (nato nel 1915) e Franco (nato nel 1919), realizzando quella famiglia, centro di vita e di poesia, che compensò i numerosi lutti degli anni fiorentini: il padre morì infatti nel 1915, e successivamente le sorelle Silvia ed Evelina. La rivoluzione d’ottobre annullò la rendita di Nina, e la famiglia visse in dignitosa povertà.
Nel maggio del 1919 fece ritorno a Trieste: aprì una piccola rivendita di giornali e libri popolari, e trovò casa nel quartiere di Rozzol. Instaurò una frequentazione quotidiana e una collaborazione artistica con Saba: per lui disegnò il logo della Libreria Antica e Moderna, curò e illustrò la plaquette di Cose leggere e vaganti e il progetto grafico di dieci libretti in poche copie, anticipo selezionato del Canzoniere del 1921. Saba a sua volta pubblicò presso la sua libreria le poesie in lingua Il mio cuore e la mia casa, composte negli anni fiorentini, classicheggianti e dedicate alla vita familiare. Fu amico di Biagio Marin e del pittore Vittorio Bolaffio. Il decennio dal 1920 al 1929 fu forse quello più sereno della vita di Giotti: ebbe un lavoro alla Lega nazionale come ispettore degli asili in Istria e nel Carso, educò personalmente i figli, disegnò, come già in Toscana, maturò le poesie di Caprizzi canzonete e stòrie (scene cittadine, amabili ritratti di ragazze, storie di umili e di quotidianità), che nel 1928 Giani Stuparich propose alle Edizioni di Solaria, grazie a mille lire raccolte appositamente dagli amici. Roberto (Bobi) Bazlen lo segnalò a Eugenio Montale che recensì il libro nella Fiera letteraria del 2 dicembre 1928, sottolineandone, con la perfezione formale, «una personalità di paesista, di elegiaco e di osservatore», che spesso dimostra la necessità del dialetto. Evidenziò, inoltre, la lezione di Salvatore Di Giacomo espressa in tutto il suo valore.
Nel 1929 la sorella Maria, ch’era andata in moglie a Giorgio Fano, si uccise insieme al figlio gravemente malato. Di fronte alle tragedie, Giotti si mantenne uomo della misura, pacato e sobrio, e non condivise la passione per la psicoanalisi, che coinvolgeva Saba. Anzi, nel corso degli anni Trenta i rapporti tra i due si allentarono, fino a evitare di incontrarsi. Rimasero invece sempre solidi con Pier Antonio Quarantotti Gambini.
Alla soppressione della Lega nazionale, Giotti trovò un impiego al Comune di Trieste, quindi presso l’ospedale Maggiore, dove lavorò fino alla fine della vita.
Pubblicò poesie in varie riviste: da Solaria a Circoli, da L’Italia letteraria a Lirica, fino a Letteratura. Nel 1932, sempre a Firenze, presso le Edizioni di Solaria, apparve la raccolta di poesie in lingua Liriche e Idilli. Nella prima metà degli anni Trenta compose le liriche di Colori, tra cui figurano alcune delle sue poesie più intense: da Con Bolàffio alla sezione Album de primavera. Molto importante anche la sezione La morte, con i presentimenti che affiorano in El pergoleto e La casa. Al lavoro poetico intervallò il racconto in prosa, tra percorsi triestini, ricordi infantili, ritratti di persone e animali, che pubblicò solo in parte in riviste.
Frattanto, durante il Ventennio, la figlia Tanda sposò l’antifascista Emilio Quarantotto e, dopo la nascita della figlia Vittorina, detta Rina, lo segui al confino alle Tremiti e a Chiaromonte in Lucania. Anche il figlio Paolo fu accusato di propaganda antifascista e inviato al confino alle Tremiti. Per Giotti lo sgretolamento dell’unità familiare, costruita con grande impegno costituì un colpo molto duro, che incise sulla poesia: nei Novi colori un segno evidente di assenze e ritorni.
Sul finire del 1937 Pietro Pancrazi, nell’articolo Giotti poeta triestino (Corriere della sera del 22 dicembre 1937), lo collocò tra i grandi del secolo definendo la sua poesia in dialetto «écriture d’artiste». Letteratura nell’ottobre del 1938 pubblicò 4 Poesie 1936 e, nel fascicolo di settembre del 1940, il poemetto El Velier, dedicato a Stuparich.
Nel 1941 morì la madre Emilia, oggetto di intensi ritratti, sia in forma lirica sia disegnati; nelle Edizioni di Letteratura apparve la raccolta Colori. Nell’autunno la figlia Tanda rientrò dal confino, portando il piccolo Fulvio: a testimonianza dell’indimenticabile incontro spicca la Terza fantasia (Papà e fia); le prime due furono dedicate ai figli maschi.
Giotti si adoperò perché il figlio Paolo potesse partire per il fronte russo come interprete, cosa che avvenne nel febbraio del 1942; Franco, militare a Pantelleria, lo seguì in dicembre. Entrambi furono catturati nel dicembre stesso (Paolo durante la rotta del Don), e morirono nel gennaio del 1943. Giotti, che aveva continuato a sperare, ebbe notizia solo della morte di Paolo, nel gennaio del 1946. Iniziò, così a stendere un diario, sobrio e lucido, che apparve postumo con il titolo Appunti inutili (con introduzione di G. Stuparich, Trieste 1959).
Nel 1943 per la casa editrice Le Tre Venezie, nella collana L’Arcobaleno diretta da Diego Valeri, apparvero, con il titolo definitivo Colori, tutte le poesie in dialetto comprese le inedite, tra cui la fondamentale El paradiso, rappresentativa di quella che Claudio Magris, insieme con Marin, ha definito «la santità» degli affetti familiari di Giotti. Nel 1947 gli amici Emilio Dolfi e Manlio Malabotta stamparono il libretto Sera che, ampliato nel 1948 con una parte terza (le poesie del morire vivendo: A la sorte, La porta serada, e delle visite angeliche: Con Rina), fu pubblicato da Franco Antonicelli per le edizioni De Silva di Torino. Su Il Ponte del novembre 1948 il saggio di Mario Fubini (Poesia di Giotti) fornì a Giotti il riconoscimento di maggiore tra i poeti in dialetto, confermato e accresciuto negli anni successivi da Pier Paolo Pasolini, sia nell’antologia Poesia dialettale del Novecento del 1952, sia nel 1956 in una memorabile conferenza al Circolo della cultura e della arti di Trieste, pubblicata poi in Paragone.
Nel 1953 apparve la selezionata produzione di Versi editi nelle triestine Edizioni dello Zibaldone dell’amica Anita Pittoni. Nel 1957 gli fu assegnato il premio dell’Accademia dei Lincei. L’editore Ricciardi pubblicò Colori, di cui Giotti corresse le bozze senza poter vedere il libro stampato.
Morì a Trieste il 21 settembre 1957.
Opere. Tra le opere o le edizioni non citate nel testo: Colori (Milano 1957 e 1972). Con lo stesso titolo e un’appendice di poesie in dialetto sparse, si leggono ora nell’edizione critica e commentata, a cura di A. Modena: Colori, Torino 1997. Inoltre: Colori, altre poesie, prose, a cura di R. Derossi - E. Guagnini - B. Maier, Trieste 1986; Piccolo canzoniere in dialetto triestino, a cura di G. Devoto, con prefazione di G. Baroni e traduzione di L. Fenga, Genova 2005.
Epistolari: Lettere familiari, a cura di R. Derossi, in Archeografo triestino, s. 4, XLVI (1986), 2, pp. 5-16; poi, con aggiunte, in P. Belli Giotti - F. Belli Giotti, Lettere al padre. Dialogo con i figli durante la campagna di Russia, a cura di A. De Simone, con introduzione di C. Segre e postfazione di C. Magris, Trieste 2005; Lettere di Virgilio Giotti alla figlia, a cura di R. Derossi, in Metodi e ricerche, n.s., VI (1987), 1, pp. 5-16; “Al tuo cuore di poeta”. Lettere inedite ad Angelo Barile (1941-1957), a cura di D. Picamus, con prefazione di P. Gibellini, Trieste 2009.
Fonti e Bibl.: I manoscritti delle opere di Virgilio Giotti sono conservati presso il Centro Manoscritti dell’Università di Pavia. Manoscritti, disegni, libri postillati sono altresì conservati a Trieste, presso la nipote Vittorina Quarantotto Vianello.
R. Esposito, Virgilio Giotti, Napoli 1982; A. Modena, Virgilio Giotti, Pordenone 1992 (con immagini); F. Brevini, Virgilio Giotti, in Letteratura italiana, Le Opere, IV, Il Novecento, 2, La ricerca letteraria, diretta da A. Asor Rosa, Torino 1996, pp. 429- 448; M. Caselli, La voce bianca. Su Virgilio Giotti, Udine 2003; «Si pesa dopo morto». Atti del Convegno di studi per il cinquantenario della scomparsa di Umberto Saba e Virgilio Giotti, Trieste... 2007, a cura di G. Baroni, in Rivista di letteratura italiana, XXVI (2008), 1 (con saggi di F. Brevini, P. Baioni, C. Grisancich et al.); Leopardi a Trieste con Virgilio Giotti, a cura di A. De Simone, Novara 2016.