ROSARI (Rosario), Virgilio
ROSARI (Rosario), Virgilio. – Nacque a Spoleto nel 1499, terzogenito di Pierantonio, notaio. La famiglia era pienamente compresa nella nobiltà municipale: il consanguineo Gaspare occupò nel 1526 la carica (bimestrale) di uno dei sei priori del Comune.
Virgilio conseguì la laurea in utroque iure e intraprese la carriera ecclesiastica: fu nominato rettore della chiesa parrocchiale di S. Maria Rotonda a Napoli. Non fu mai invece canonico di S. Maria ad Martyres di Roma, come erroneamente riportato dalle più antiche biografie. A Napoli operò come collettore delle entrate del cardinale Gian Piero Carafa, nominato arcivescovo nel febbraio del 1549. Si trasferì a Roma al seguito dello stesso Carafa in occasione del conclave aperto il 29 novembre 1549 alla morte di Paolo III. Dal successore Giulio III fu creato vescovo di Ischia il 27 agosto 1554. Quindi, salito al soglio pontificio il cardinale Carafa il 23 maggio 1555 (con il nome di Paolo IV), fu nominato vicario di Roma. Il breve di nomina, datato 6 luglio 1555, ricordava non solo la sua competenza in campo giuridico, ma anche l’antica frequentazione con il neoeletto papa.
Rosari stese nel 1556 una relazione (indirizzata forse a Pietro de Petris, vescovo di Lucera poi provicario), riepilogando i tratti salienti del suo ufficio, all’interno del quale operavano il suo suffraganeo (il vescovo di Bobbio Borso de’ Merli), il luogotenente criminale Gerolamo Mauro e inoltre un maestro di cerimonie (messer Giovan Francesco), il primicerio della Compagnia dei sacerdoti (don Tommaso), un notaio, esecutori e sbirri (Memoria per la cura delle cose spirituali pertinenti al Vicariato, in Archivio segreto Vaticano, Arm. I-XVIII, 6544, cc. 5r-6v).
Rosari individuava nella sua carica tre compiti principali: ispezionare parrocchie, monasteri e istituzioni caritative o assistenziali (anche in risposta a querele o esposti); procedere alle ordinazioni sacerdotali; mantenere l’ordine pubblico nelle chiese, anche mediante il controllo sui movimenti dei preti cosiddetti «vagabondi» e degli «sfratati» (c. 5r). Quanto al primo punto, Rosari si era inizialmente concentrato, più che sulle singole parrocchie (delle quali solo poche avevano ricevuto effettivamente una visita), sui monasteri femminili, uno dei quali, quello presso S. Giovanni Calibita, sull’isola Tiberina – era direttamente dipendente dal vicario. Riguardo poi alle ordinazioni sacerdotali, si era riservato l’esame conclusivo di ogni candidatura agli ordini sacri, non intendendo «lasciar la porta così facile d’entrarvi ad ogni mal aviato, o povero, o ignorante» (c. 5v). Il fronte del disciplinamento del clero appariva quello più spinoso: Rosari aveva emesso monitori per evitare che i preti non incardinati nel sistema parrocchiale romano celebrassero messa senza sua licenza. Tuttavia, nonostante ne avesse concesse un buon numero, egli doveva rilevare che andavano «de gran furbi intorno, et mal in ordine con vituperio della chierica» (c. 6r). Era altresì necessario, a suo giudizio, fronteggiare il problema delle messe celebrate dai sacrestani: in questo, faceva affidamento sull’aiuto della Compagnia de’ sacerdoti, sodalizio istituito da Pio II nel 1459 per il soccorso ai presbiteri in condizioni disagiate. Quanto al controllo dell’ordine pubblico, oltre a rinnovare i bandi contro la bestemmia, Rosari tentò di contrastare l’accattonaggio all’interno degli edifici religiosi e di liberare i luoghi circostanti il Vaticano da alcuni gruppi di sospetti delinquenti. Disciplinò persino il mercato in Campo dei Fiori e la vendita ambulante di ortaggi da parte di contadine «perché – si affermava in una relazione coeva – la maggior parte di loro sono vistose e di belle carni, onde ne sono nati fornicationi adulterij e stupri» (Memoria de disordini. In lib. divers. ubi de Vicario Urbis, ibid., c. 210r).
Il 15 marzo 1557, in occasione della terza promozione cardinalizia di papa Carafa, Rosari ricevette la berretta rossa e il titolo di S. Simeone Profeta. I suoi primi impegni furono all’interno del S. Uffizio: all’inizio del successivo giugno, entrò nella commissione incaricata di istruire il processo contro il cardinale Giovanni Morone; dal luglio successivo, il suo nome appare stabilmente nell’organico della congregazione inquisitoriale. Alla fine dello stesso anno partecipò anche alla commissione istituita da Paolo IV per la revisione della gerarchia ecclesiastica nei Paesi Bassi e alla giunta cardinalizia che assisteva il pontefice nelle udienze pubbliche mensili da lui stesso istituite. Quindi, con il decreto concistoriale del 28 novembre 1558, il papa stabilì che l’ufficio di vicario in spiritualibus dovesse essere tenuto da un porporato: Rosari fu confermato in carica e divenne il primo nella cronotassi dei cardinali vicari di età moderna. Le sue facoltà furono potenziate: oltre a mantenere giurisdizione sul clero parrocchiale e sui monasteri maschili e femminili di Roma (anche con procedure speciali), ebbe infatti autorità di visitare le carceri, di soprintendere alla consacrazione di chiese e di altari, sempre «cum facultate reformandi quidquid necessarium fuerit» (Brambilla, 2005, p. 218). Non mancava di procedere con estremo rigore: avversò persino le pratiche dell’Oratorio di Filippo Neri.
L’allontanamento da tutti gli incarichi di governo dei nipoti del papa, il cardinale Carlo, Giovanni e Diomede Carafa (di cui, secondo alcune fonti, Rosari fu uno degli artefici), ne causò la chiamata a più alte responsabilità. Il 31 gennaio, infatti, entrò nel S. Consiglio – il nuovo organo al quale era demandata l’amministrazione dello Stato della Chiesa – insieme al cardinale Bernardino Scotti e al nobile romano Camillo Orsini. Il motuproprio Cum Nos ingravescente del 3 febbraio 1559 conferì a Rosario e ai citati altri membri una delega anche formale di poteri. Nella nuova veste Rosari firmò tutti i provvedimenti e tutte le lettere ai governatori congiuntamente al cardinale Bernardino Scotti. Mancano quindi fonti che possano dare corpo alle impressioni di quei contemporanei che, come l’agente farnesiano Ascanio Celsi, vedevano in Rosari «quello che domina et possiede l’animo del papa» (Ancel, 1907). Morì per un improvviso malore a Roma il 22 maggio 1559.
Fu sepolto in S. Maria sopra Minerva, dove il nipote Flavio fece porre una lapide. Un suo ritratto è conservato nelle collezioni della Fondazione Cassa di risparmio di Perugia. Nel Museo Bottacin di Padova è conservato un suo sigillo del vicariato. La sua famiglia confluì nel lignaggio romano degli Spada dopo che, nel 1659, Carlo Francesco (nipote del tesoriere generale della Camera apostolica, Paolo) sposò Ippolita Rosari.
Fonti e Bibl.: Archivio segreto Vaticano, Arm. I-XVIII, 6544; Arm. XLII, 6, c. 126rv; N.A. Cuggiò, Della giurisdittione e prerogative del vicario di Roma, a cura di D. Rocciolo, Roma 2004, ad ind.; La corrispondenza di Bernardo Navagero, ambasciatore veneziano a Roma (1555-1558), a cura di D. Santarelli, I-II, Roma 2011, ad indicem.
L. Cardella, Memorie storiche de’ cardinali della santa Romana Chiesa, IV, Roma 1793, pp. 356 s.; G. Moroni, Dizionario di erudizione storico-ecclesiastica, LIX, Venezia 1852, p. 158; A. Moschetti, Il Museo Civico di Padova. Cenni storici e illustrativi..., Padova 1903, p. 158; R. Ancel, La disgrâce et le procès des Carafa, in Revue benedectine, XXIV (1907), p. 495 nota 4; O. Buonocore, La Diocesi d’Ischia dall’origine ad oggi, Napoli 1948, pp. 31-33; N. Del Re, Il vicegerente del Vicariato di Roma, Roma 1976, ad ind.; Id., Il Cardinal Vicario V. R. “nemico” di san Filippo Neri, in Strenna dei romanisti, LII (1991), pp. 155-166; Fondazione Cassa di risparmio di Perugia: le sedi e la collezione, a cura di F.F. Mancini, Milano 2003, p. 90; A.M. Brambilla, Origine ed evoluzione dell’ufficio del Card. Vicario di Roma fino all’anno 1558, a cura di F.M. Lovison, in Barnabiti Studi, XXII (2005), pp. 197-345 (in partic. pp. 218, 226, 336 s.); G. Brunelli, Il Sacro Consiglio di Paolo IV, Roma 2011, ad indicem.