NARDUCCI, Virgilio
(Zeno Romano). – Nato a Roma il 24 settembre 1860 dal barone Luigi e da Virginia Castellani, approdò ancor giovane in Russia, dopo aver espletato gli obblighi militari a Genova.
Nel decennio successivo all’attentato in cui perí lo zar Alessandro II (1881) l’emigrazione italiana nell’Impero russo s’era intensificata, attratta dalle possibilità economiche e imprenditoriali. Nacquero una Società italiana di beneficenza e persino un ‘club dei cani randagi’ per immigrati italiani.
La decisione di fermarsi in Russia fu presa anche da Narducci che, unitosi in matrimonio con una russa a Romànovo (governatorato di Jaroslàv’), risiedette in prevalenza a San Pietroburgo, dove fu segretario della Camera di commercio italo-russa, collaboratore della Ambasciata italiana come traduttore e segretario degli addetti militari.
Membro attivo della colonia italiana (Petracchi, 1993, p. 211), coltivò nel contempo i suoi interessi letterari, e già nel 1888 apparve un’edizione bilingue di una sua raccolta di versi, Fogli d’album, in cui impiegò per la prima volta lo pseudonimo col quale rimase per lo più noto in Russia: Zeno Romano (ma gratificato, al tempo stesso, anche dal soprannome di «Pazzìa»); l’anno successivo pubblicò in una piccola tiratura litografica un dramma storico composto direttamente in russo, Marusja Čuraj (1625-53), sulla figlia del cosacco Gordej, leggendaria figura del canto popolare ucraino. Tuttavia il suo maggiore impegno in questo campo fu dedicato alla traduzione in italiano d’un copione teatrale per l’attore Ernesto Rossi (Il cavaliere avaro di Aleksandr Puškin, 1896), di libretti d’opera (La dama di picche di Modest Čajkovskij, 1896; la Rusalka di Aleksandr Dargomyžskij, 1896; Eugenio Oneghin [da Puškin] di Pëtr Čajkovskij e Konstantin Šilovskij, 1897), e di una raccolta di poesia russa contemporanea (Poeti russi. Poesie e frammenti, s.l. 1899 [Tolstych, 1997, p. 112]), che faceva seguito a quelle di Domenico Ciampoli (Melodie russe, 1881; Canti russi, 1895).
La frequentazione dell’ambiente musicale lo mise in relazione con Michail Ivanov, dignitoso musicista di secondo piano e buon critico musicale (nonché inviato del quotidiano Novoe Vremja in Italia), cognato del musicista Giovanni Sgambati; dopo la Rivoluzione d’ottobre Ivanov si stabilí a Roma e quando scomparve fu sepolto nel cimitero acattolico di Testaccio. Egli svolse un’importante funzione di tramite nelle relazioni culturali italo-russe e a lui si deve tra l’altro la prima traduzione russa di D’Annunzio nel 1893 (L’innocente: cfr. C.G. De Michelis, D’Annunzio nella cultura russa, in D’Annunzio nelle culture dei Paesi slavi, Venezia 1979, pp. 14 s.). Nei ripetuti soggiorni romani, Ivanov scrisse numerose corrispondenze per il suo giornale (tra le quali una di carattere politico, del 1909, venne trasmessa al nostro ministero degli Esteri), che raccolse poi nel volume Očerki sovremennoj ital’janskoj literatury («Saggi di letteratura italiana contemporanea», dedicati alla regina Elena, Sankt-Peterburg 1902). Il libro di Ivanov era completato da un capitolo di Narducci (Sovremennaja ital’janskaja poezija: «Poesia italiana contemporanea»), a firma Zeno Romano, in cui il maggior rilievo è dato a Giosue Carducci, «il poeta di maggior talento dell’Italia odierna» (del quale sono allegate in traduzione alcune liriche, tra cui, naturalmente, Il bove); ma vi vengono presentati, più o meno ampiamente, anche Giovanni Pascoli, Giovanni Corradi, Severino Ferrari, Guido Mazzoni, Olindo Guerrini, Mario Rapisardi, D’Annunzio, Enrico Panzacchi, Arrigo Boito e Luigi Illica, offrendo così alla Russia colta un primo quadro complessivo della poesia italiana di secondo Ottocento.
Nel marzo 1918, quando smobilitò l’Ambasciata italiana di Pietrogrado (che dal 1911 aveva sede nel palazzo Liewen), Narducci rimase in città per provvedere – insieme con il console e il cancelliere – alla distruzione dell’archivio. Riuscì poi fortunosamente a riparare in Italia, giungendo a Roma, privo di tutto, il 7 novembre 1918. Comincia di qui la seconda parte della vita di Narducci che venne assunto, come «avventizio», presso l’ufficio stampa del ministero degli Esteri. Fece ritorno nella Russia ormai sovietica una sola volta, a Leningrado, nel settembre-ottobre 1924. La sua conoscenza del russo e la non dismessa vocazione letteraria lo misero in contatto con Ettore Lo Gatto che, con il varo della rivista Russia (ottobre 1920), aveva dato vita alla moderna russistica italiana.
Nella sua attività divulgativa, costantemente affiancata a quella accademica, Lo Gatto ebbe la premura di offrire al pubblico solo traduzioni dirette, da affidare dunque a persone che avessero già padronanza della lingua. Narducci intraprese cosí una serie di versioni, tutte legate – in un modo o nell’altro – al progetto logattiano: dapprima per la rivista (Il cavaliere di bronzo di Puškin e In primavera e Venerdì di Gleb Uspenskij, 1923), poi in volumetti editi a cura dell’Istituto per l’Europa orientale: di Michail Lermontov (Mzyri ed altri poemetti, Napoli 1922), di Semën Nadson (Poesie, Roma 1923), di Aleksej Apuchtin (Prose e poesie, Napoli 1923), di Vasilij Žukovskij (Poesie e prose, Roma 1926; con introduzione di Lo Gatto, ibid. 1930 e 1935), di Fëdor Tjutčev (Poesie, ibid. 1929) e di Nikolaj Nekrasov (Donne russe e altre poesie, ibid. 1930). Si tratta di accurate versioni letterali, «attente alla resa semantica degli originali russi […], spesso distinte da un carattere scolastico-divulgativo» (Garzonio, 2003); in alcuni casi (Žukovskij, Apuchtin, Nadson) esse rimangono a tutt’oggi le uniche raccolte significative apparse in italiano di quei poeti.
Nel complesso, ha scritto Lo Gatto presentando le sue traduzioni (Prefazione a M. Lermontov, Mzyri ed altri poemetti, 2a ed., Roma 1925, pp. XI s.), «il lungo soggiorno in Russia e il contatto quotidiano col vero popolo russo, buono e romantico, sentimentale ed innamorato della sua terra, insieme all’ardente appassionato amore, hanno fatto del Narducci uno dei più perfetti conoscitori stranieri della lingua e della letteratura russa. È più che giustificato l’augurio che, ora che è tornato in Italia, egli possa fare tra noi per la letteratura russa quell’opera di apostolato che ha fatto per la nostra letteratura in Russia».
Dunque, fu grazie soprattutto alla sua opera di traduttore se Narducci si può annoverare a pieno titolo fra i pionieri della letteratura russa in Italia.
Nulla si sa degli ultimi anni della sua vita. Morì, con ogni probabilità a Roma, al principio di luglio 1944.
Dai registri del cimitero capitolino del Verano risulta che fu sepolto in terra il 5 luglio di quell’anno; successivamente, non essendo state reclamate, le sue spoglie vennero destinate all’ossario comune.
Fonti e Bibl.: Roma, Arch. storico del Ministero Affari esteri, Arch. del Personale, s. 8, P 1, b. 148; Firenze, Gabinetto Vieusseux, Arch. contemporaneo Alessandro Bonsanti, Fondo Ernesto Rossi; R. Pirone, Ricordi di Russia 1902-1920, Milano 1966, p. 67; G. Petracchi, Da San Pietroburgo a Mosca, Roma 1993; G. Tolstych, Ital’janskaja chudožestvennaja literatura (Letteratura d’arte italiana), in Archivio russo-italiano, I, Trento 1997, p. 112; S. Garzonio, La poesia russa nelle traduzioni italiane del 900, inToronto Slavic Quarterly (2003): http://www.utoronto.ca/tsq/17/garzonio17.shtml.