LILLI, Virgilio
Nacque a Cosenza il 7 febbr. 1907 da Tito, ingegnere romano, e da Pia Garatti, di famiglia veneta. I genitori, entrambi di idee anarcosocialiste, diedero ai figli un'educazione totalmente laica. A pochi mesi dalla nascita del L. la famiglia, per motivi di lavoro del padre, si trasferì nelle Marche e in seguito in Emilia; il L. trascorse così gli anni dell'infanzia e dell'adolescenza tra Fermo, Pesaro e Bologna.
Precocemente si manifestò nel L. una vena creativa che lo spinse a cimentarsi con il disegno, la musica, la fotografia e la poesia, destinati a diventare i suoi interessi dominanti.
Conseguita a soli 15 anni la maturità classica, nel 1922 si iscrisse alla facoltà di ingegneria dell'Università di Bologna, che abbandonò al quarto anno, con l'intenzione di dedicarsi a tempo pieno al giornalismo in cui aveva esordito ventenne, sul quotidiano Il Resto del carlino, come critico teatrale; per accontentare il padre, tuttavia, nel 1928 si laureò in giurisprudenza presso l'Università di Milano. Prestato il servizio militare a Spoleto come allievo ufficiale d'artiglieria, nel 1929 raggiunse la famiglia a Roma; qui iniziò la sua collaborazione a La Tribuna, che durò sino al 1932, quando fu licenziato.
Causa del provvedimento fu un articolo in qualche modo poco rispettoso nei confronti di Lyda Borelli, già celebre attrice del muto, all'epoca consorte di Vittorio Cini, influentissimo industriale e politico, il quale chiese, e ottenne, l'allontanamento del L. dal giornale.
Con l'aiuto di S. D'Amico, venne allora assunto dalla casa di produzione americana Metro Goldwyn Mayer, con l'incarico di adattare e tradurre i dialoghi dei film; negli anni seguenti il L. continuò a interessarsi saltuariamente di cinema curando anche qualche sceneggiatura (in particolare, Frutto acerbo, 1934, di C.L. Bragaglia; Inviati speciali, 1943, e il documentario I tabù, 1963, ambedue di R. Marcellini).
A Roma, nel corso degli anni, la formazione letteraria del L. maturò e si arricchì soprattutto attraverso la frequentazione della cerchia degli artisti e scrittori "rondisti" che gravitavano intorno a V. Cardarelli e, più tardi, nel secondo dopoguerra, con quella del folto gruppo di intellettuali legati a Il Mondo di M. Pannunzio. Tale background culturale si riverbera nel personalissimo stile giornalistico del L., che trascende l'immediatezza e la superficialità della "cronaca" e ne fa, secondo una definizione di L. Barzini jr., uno "scrittore per giornale"; la specificità della sua prosa - ricca di riferimenti letterari, con particolare riguardo a M. Bontempelli e J.R. Dos Passos - è frutto di uno sguardo attento e disincantato sul mondo, dove, però, il verismo della descrizione è addolcito da una sorta di moderno, e a tratti ironico, crepuscolarismo.
Nel 1932, ex aequo con E. Vittorini, il L. vinse il premio, promosso dal settimanale L'Italia letteraria, per il miglior diario di viaggio redatto nel corso di una crociera di dieci giorni in Sardegna offerta dal giornale, il quale poi pubblicò anche il servizio (gennaio 1933).
Riedito postumo in volume (Sassari 1999), Viaggio in Sardegna non fu mai rimaneggiato dall'autore, e conserva così intatto il fascino dell'improvvisazione, tipico del reportage giornalistico; in questa circostanza l'esperienza del L. pittore e fotografo si somma a quella dello scrittore, che coglie gli aspetti più suggestivi dell'isola come attraverso una serie di brevi ma intensi flashes.
Nel 1934 il L. rientrò a tempo pieno nel giornalismo, e dalla "porta principale", chiamato al Corriere della sera, all'epoca diretto da Aldo Borelli; dapprima come collaboratore della "terza pagina" e critico musicale, quindi, dal 1935, come inviato speciale e corrispondente di guerra.
Tra il 1935 e il 1939 il L. fu corrispondente in Etiopia, al seguito della spedizione italiana, e in Spagna, dove seguì alcune fasi della guerra civile; nel 1938 pubblicò, sul mensile del Corriere, La Lettura, un'intervista esclusiva con il leader fascista romeno C.Z. Codreanu poco prima che questi venisse arrestato e ucciso; fu quindi a Monaco, in occasione del convegno, e ancora in Olanda, Danimarca, Grecia e Russia, entrando a far parte, insieme con Barzini jr., O. Vergani, E. Corradi, C. Malaparte, del gruppo degli inviati di punta del Corriere, cioè dell'élite che in quegli anni rappresentava il punto di forza del maggior quotidiano italiano.
Dopo il 25 luglio 1943 il L. venne licenziato dal nuovo direttore del Corriere, E. Janni, in quanto considerato compromesso con il passato regime.
In realtà egli, pur avendo seguito la linea politica imposta alla stampa dalla dittatura sia in Etiopia, sia in Spagna, aveva costantemente evitato nelle sue corrispondenze ogni retorica trionfalistica e di fatto mantenuto una posizione fondamentalmente agnostica nei confronti del fascismo.
Dopo l'8 settembre, nonostante le pressioni del direttore E. Amicucci (Janni era espatriato in Svizzera), il L. si rifiutò di seguire la redazione romana del Corriere nella sua trasferta al Nord e non volle aderire alla Repubblica di Salò. Nel tormentato periodo compreso tra la caduta del fascismo e la Liberazione il L. visse in clandestinità a Roma, sotto il nome di V. Berti, pittore; venne anche arrestato, insieme con P. Monelli, nel corso di una retata e rinchiuso a Regina Coeli per due settimane. Nel 1945, sempre a Roma, fondò, con F. Naldi, e diresse Il Giornale della sera, un quotidiano che ebbe un notevole successo giungendo a 70.000 copie di tiratura, e il settimanale La Domenica del popolo. Nel 1947 divenne redattore capo a Il Tempo, e l'anno successivo nuovamente inviato speciale sia per Il Tempo sia per La Stampa. Rientrato al Corriere della sera nel 1952, anno in cui ne assumeva la direzione M. Missiroli, vi collaborò fino alla morte riprendendo, fino agli anni Sessanta, il suo ruolo di inviato. Sia nel Corriere sia in riviste letterarie e quotidiani, il L. pubblicò anche racconti e articoli di critica d'arte e di costume, saggi ed elzeviri. Di idee liberali, non si interessò in modo costante alle vicende della politica interna, anche se, in epoche diverse, partecipò in prima persona alle battaglie civili per i referendum sulla monarchia e sul divorzio.
Tra il 1948 e il 1949 il L. si era recato in Siam, in Giappone, in Corea e in Cina: fu il primo giornalista occidentale a entrare a Hiroshima dopo l'esplosione atomica e, nel corso della guerra civile cinese, seguì l'esercito nazionalista di Chiang Kai-shek durante la ritirata; tale esperienza gli ispirò poi un libro, Dentro la Cina rossa (Milano 1961), in cui rende testimonianza di un paese sconvolto dalla guerra e sradicato dalle sue più antiche tradizioni culturali. In seguito si recò in Vietnam, a Saigon, e seguì la guerra di liberazione dal dominio coloniale francese.
Fra giornalismo e narrativa sono i due primi libri del L.: Racconti di una guerra (ibid. 1941), raccolta di articoli sulla guerra civile spagnola; e Prima linea (ibid. 1944), che si ispira a episodi legati a eventi bellici verificatisi dal 1935 allo scoppio della seconda guerra mondiale.
In ambedue la cronaca viene trascesa e illuminata da umana pietas per i combattenti, accomunati, al di là degli opposti schieramenti cui appartennero, dalla partecipazione a quell'evento terribile che è la guerra.
Nel successivo decennio il L. pubblicò due libri di viaggio: Penna vagabonda (Torino 1953) e Buon viaggio, penna! (ibid. 1957). Vero e proprio romanzo, di chiara matrice autobiografica, è invece Una donna s'allontana (Milano 1959), che ottenne i premi Villa San Giovanni e Duomo: in esso il L. rievoca la figura della sua prima moglie, Maria Carolina Antinori, sposata nel 1933 e morta nel 1944. Il L. pubblicò altri due romanzi: …e la neve si sciolse (Bergamo 1970) e Romanzo interno (Milano 1976). Tra i saggi ricordiamo: Un calendario del secolo (ibid. 1964), Microsaggi (ibid. 1968), Viaggio al centro della testa (ibid. 1970), Il termometro del cervello (ibid. 1972) e La quinta stagione (ibid. 1974), nei quali, con particolare acume e spirito d'osservazione, restituisce un quadro puntuale della società italiana. Il L. scrisse anche per il teatro: Inchiesta su un adulterio (in Teatro-scenario, 1954) e Il figlio di laboratorio (in Il Dramma, 1963), due pièces che furono rappresentate con un certo successo; la seconda soprattutto (ripresa dalla compagnia Il mosaico nel 1987) affronta con intensa partecipazione e una certa preveggenza il tema dell'inseminazione artificiale, che sarebbe venuto più tardi agli onori della cronaca.
Dagli anni Sessanta, sospesa l'attività di inviato speciale, il L. poté dedicarsi maggiormente alla pittura, che fu la grande passione della sua vita.
Giovanissimo aveva frequentato per due anni l'Accademia di belle arti di Bologna, dove conobbe G. Morandi; trasferitosi a Roma, colse l'opportunità di frequentare, tra gli altri, G. De Chirico, F. Trombadori e M. Mafai. Espose presso varie gallerie e partecipò a numerose mostre collettive; dal 1969 al 1975 collaborò sistematicamente con la rivista d'arte Il Poliedro e pubblicò due saggi legati alla pittura: Mal di pittura (Milano 1963) e Giorgione (ibid. 1968). Nel 1998 (20-30 aprile) sono state tenute in Roma, presso la sede della Società Dante Alighieri, una tavola rotonda e un'importante retrospettiva postuma che raccoglieva la sua produzione dal 1928 al 1975; in una nota, riportata sulla brochure della mostra, D. Buzzati sintetizza felicemente le caratteristiche dello stile del L. pittore, nel quale si ritrovano la vivacità e la fantasia proprie del giornalista. Nelle sue tele l'istintivo gusto del colore e l'essenzialità del disegno attraggono per un'immediatezza lontana da ogni accademia e restituiscono, tra modulazione classica e una divagazione onirica che si avvicina al surrealismo, i suoi soggetti preferiti: nature morte, interni, ritratti.
Il L. morì a Zurigo il 16 genn. 1976.
Il L. fece parte della giuria del premio Campiello dal 1962, anno della fondazione, sino alla morte; fu, inoltre, presidente dell'Ordine dei giornalisti (1972-76). Dal primo matrimonio ebbe i figli Laura e Alberto; nel 1951 si era risposato con Maria Sofia Braun von Stumm, che gli dette una figlia, Marina.
Delle opere del L., oltre a quelle già citate, si ricordano ancora: Gazzettino (Milano 1947) e Il terzo Giappone (ibid. 1968).
Fonti e Bibl.: In occasione della morte, L'Ordine dei giornalisti, IX (1976) ha dedicato al L. l'intero n. 1-2; ugualmente Il Poliedro, 1976, in un supplemento letterario n.n., ha pubblicato ricordi di: A. Gatto, Testimonianza per V. L., p. VIII; R.M. de Angelis, Mal di pittura, pp. IX s.; M. Calabrese, Il mio amico V. L., pp. 3 s.; e V.G. Rossi, La pattuglia eroica del giornalismo italiano, p. 8. Vedi ancora: E. Radius, Cinquanta anni di giornalismo, Milano 1969, pp. 153-156; V. Guzzi, in V. L.: opere pittoriche, Roma 1979, pp. 5-9; L. Lilli, Introduzione a V. Lilli, Racconti di una guerra, Palermo 1988, pp. 11-16; L. Sciascia, ibid., pp. 175-181; I. Man, L., il generale dei messaggi in bottiglia, in La Stampa, 16 genn. 1996; E. Marcucci, Giornalisti grandi firme, a cura di G. Afeltra, Roma 1998, pp. 269-273; A. Levi, V. L., la letteratura in trincea, in Corriere della sera, 19 apr. 1998; S. Gerbi, Perseguitato da fascisti e antifascisti, ibid.; G. Contini, Di dolcezze blande di nere tristezze, Prefazione a V. Lilli, Viaggio in Sardegna, Sassari 1999, pp. 7-16; L. Malerba, L'isola del mito come la raccontò L., in La Repubblica, 15 dic. 1999; G. Russo, La Sardegna di V. L., in Nuova Antologia, n. 2219, luglio-settembre 2001, pp. 41-50.