DUCCI, Virgilio
Figlio di Niccolò di Domenico, nacque a Città di Castello il 27 ott. 1623; il padre, di cui le fonti non specificano la professione, doveva essere di condizione discretamente agiata, tale comunque da consentire al D. di formarsi come pittore a Bologna presso lo studio di Francesco Albani, divenendone, secondo il Lanzi (1808), uno degli allievi migliori tra i non bolognesi. Concluso il periodo di apprendistato, la cui durata secondo il Mancini (1832, II, p. 170) fu di diversi anni, il D. ritornò a Città di Castello, dove rimase e svolse la sua intera attività di cui, tuttavia, non si conosce con esattezza la successione cronologica. Non si ha notizia della data di morte: il Mancini (II, p. 173) ipotizza, considerando la non abbondante produzione del pittore, che il D. morisse in giovane età, ma tale ipotesi è tutta da confermare.
Tra le prime opere eseguite dal D. al ritorno da Bologna dovette essere un quadro ad olio, il cui soggetto non è specificato, commissionatogli dalla famiglia Petrucci di Città di Castello per la cappella di S. Felice nella chiesa di S. Antonio da Padova del convento dei cappuccini "in luogo nuovo" (ibid., I, p. 172; II, p. 170); ma la chiesa è stata demolita e le opere disperse. Sono perdute anche le opere che il Mancini (I, p. 89; II, p. 170) ricorda nella chiesa di S.Giovanni Decollato: sia le quattro lunette ad olio su tela raffiguranti episodi della Vita di S. Giovanni, commissionate al D. dalla Confraternita della Compagnia di S.Giovanni Decollato, sia il quadro raffigurante la Decollazione del santo, che però il Mancini contrariamente alla tradizione (Certini, 172628; Andreocci, 1829, p. 37) non assegna al Ducci. La lunetta ad olio posta originariamente nella chiesa di S. Cecilia, poi spostata nel convento adiacente ' la quale raffigurava un episodio della Vita di s. Elisabetta, era già perduta all'epoca del Mancini (1832, I, p. 89; II, p. 170, n. 1).
Ben poco resta dunque a testimoniare dell'attività del D. nella sua città natale. Nella chiesa di S. Sebastiano, ora sconsacrata e adibita ad altro uso, come altre chiese di questa zona della città compresa tra via del Popolo e viale Cavour, si conservano ancora le lunette ad olio su tela facenti parte della decorazione originale dell'edificio, opera di vari artisti tifernati. Per il Mancini (1832, I, p. 193; II, p. 171) la Confraternita di S. Sebastiano commissionò al D. il solo lunettone sopra la cappella di S. Francesco di Paola (ora murata) raffigurante la Nascita del santo; per l'Andreocci (1829, p. 55) è di sua mano anche la lunetta sopra la cappella antistante che rappresenta il Martirio del santo.
La Caduta di s. Paolo (olio su tela), sulla sinistra dell'altar maggiore della chiesa di S. Francesco (Mancini, 1832, I, p. 143; II, p. 171; Andreocci, 1841)., è un quadro di tono più elevato, che per le qualità formali deve essere quasi contemporaneo alla realizzazione più nota e ragguardevole del D.: le due tele ad olio raffiguranti Tobia e Tobiolo con l'angelo e il Miracolo di Tobiolo, nel duomo di Città di Castello (Ss. Florido e Amanzio).
Le due tele sono poste ai lati della cappella dell'Angelo custode fatta decorare ad artisti tifernati dalla marchesa Girolama Bandini, moglie di Chiappino Vitelli (Mancini, 1832, I, p. 20; G. Magherini Graziani, L'arte a Città di Castello, Città di Castello 1842, I, p. 40, n. 2). Questi due quadri, che sono ricordati ed apprezzati da una discreta letteratura (F. Titi, Ammaestramento utile ... di pittura, scoltura ... nelle chiese di Roma..., Roma 1686, p. 444; Orlandi, 1704; Lanzi, 1808; Ticozzi, 1818), sono con buona probabilità posteriori al 1645, anno in cui si cominciò la facciata del duomo (I. Lazzari, Serie de' vescovi e breve notizia di Città di Castello [1693], Bologna 1975, p. 253).
Filippo Titi, anch'egli tifernate, ricorda il D. come suo "maestro" di qualche "principio del disegno" (M. Lattanzi, Per Filippo Titi: la vita e l'opera, in F. Titi, Studio di pittura, scoltura ... nelle chiese di Roma [1674-1763], Roma 1987, p. XX).
Nelle sue opere di migliore qualità, quali la Caduta di s. Paolo e le Storie di Tobia, il D. si dimostra artista capace e di tecnica ragguardevole. Nelle tele del duomo risulta più evidente la formazione alla scuola bolognese dell'Albani, che il D. tempera con riferimenti iconografici, per alcune figure nello sfondo, all'opera di Raffaello nelle Logge Vaticane (Mancini, 1832, II, p. 172, n. 1), conosciuta probabilmente mediante stampe. Nella Caduta di s. Paolo, in cui alcune figure sono tratte dal repertorio michelangiolesco, sembra affiorare una conoscenza. di alcune opere romane dell'inizio del secolo, di Pietro da Cortona e del Cavalier d'Arpino, a lui note forse più per mezzo di disegni o stampe che per un assai improbabile soggiorno a Roma.
Fonti e Bibl.: Città di Castello, Archivi storici della diocesi, ms. 1: A. Certini, Origine delle chiese e monisteri di Città di Castello [1726-28], ff. n.n.; P. A. Orlandi, Abecedario pittorico, Bologna 1704, p. 364; L. Lanzi, Storia pittorica della Italia (1808), a cura di M. Capucci, I, Firenze 1968, p. 367; S. Ticozzi, Dizionario dei pittori dal rinnovamento delle belle arti fino al 1800, Milano 1818, p. 168; G. Andreocci. Breve ragguaglio ... di belle arti ..., in Città di Castello, Arezzo 1829, pp. 37, 55; G. Mancini, Istruzione storico pittorica per visitare le chiese e i palazzi di Città di Castello, colle memorie di alcuni artefici del disegno ..., Perugia 1832, I, pp. 21, 82, 89 s., 143, 172, 193, 260; II, pp. 169-173; G. Andreocci, Due giorni in Città di Castello per osservare i monumenti di arte, Arezzo 1841, p. 16; U. Thieme-F. Becker, Künstlerlexikon …, X, p. 25.