VINO (XXXV, p. 388)
La produzione mondiale del vino, che aveva raggiunto la media di 201.800.000 ettolitri annui nel 1934-1938 - con un massimo di 218.210.000 ettolitri nel 1935 - ha registrato, a seguito della guerra, una forte riduzione, scendendo alla media di 146 milioni nel 1940-45 (minimo in quest'ultimo anno: 138 milioni), e a 142 milioni nel 1946, saliti a 154 nel 1947. Questa diminuzione dipende soprattutto dall'esser stata l'Europa - dove si accentrano sempre oltre i tre quarti della produzione vinicola mondiale - il continente che ha subìto i più gravi danni ai vigneti e alle attrezzature enologiche. Dovranno passare molti anni prima che la produzione europea, dai 115 milioni di ettolitri del 1940-45, possa raggiungere e sorpassare i 182 milioni del 1935.
Solo la Spagna, il Portogallo e la Svizzera, rimasti al difuori del conflitto, poterono incrementare le loro produzioni, nonché, per quanto riguarda i primi due paesi, guadagnare altri sbocchi alla propria esportazione. Algeria, Tunisia e Marocco, per le medesime cause agenti in Europa, videro anch'esse decurtarsi le produzioni rispettive. Prosperò invece la viticoltura nelle Americhe, specialmente in Argentina, Chile (che ha anche potuto esportare in Europa) e negli Stati Uniti, dove la California sopperisce al consumo più che raddoppiato dal 1934.
La tendenza al miglioramento ha continuato ad affermarsi nel 1948. Tra i maggiori stati vinicoli del mondo, alla Francia spetta sempre il primo posto come quantità di vino prodotto (42.722.448 ettolitri). Seguono l'Italia con 35.583.720 ettolitri) e la Spagna. Al quarto posto l'Algeria con l'ottima produzione di 12.654.200 ettolitri; quinto il Portogallo, poi l'Argentina e l'Unione Sovietica (8 milioni di ettolitri), gli Stati Uniti (4.536.000 ettolitri), il Chile.
In Italia (confronta le tab. 2 e 3) i più forti aumenti, in percentuale, rispetto all'anno 1947 spettano al Piemonte (57%), passato al secondo posto già tenuto dalla Campania, alla Liguria (41%), alla Lombardia (36%), alla Calabria (34%), alla Valle d'Aosta (19%) e alla Toscana (17%); le diminuzioni più sensibili, alla Basilicata (29%), all'Abruzzo e Molise (19%), alla Sardegna (13%) e alla Campania (9%).
In complesso la produzione vinicola italiana dal 1940 può calcolarsi in media di 35 milioni di ettolitri all'anno, 5 milioni in meno della media di anteguerra. A questa grave contrazione hanno concorso sia le eccezionali condizioni dello stato di guerra, con l'insufficiente disponibilità di anticrittogamici, di fertilizzanti e mano d'opera, e le devastazioni causate direttamente dalle vicende belliche (più di 56 milioni di viti distrutte), sia le non meno eccezionali avversità meteorologiche, con la siccità del 1945 e annate precedenti. La fillossera, dal 1940 al 1947, ha distrutto 94.000 ettari di vigne in coltura specializzata e 304.000 ettari di vigne in coltura consociata; nell'estate 1948 le superfici attaccate erano, rispettivamente, di 110.000 e 928.000 ettari. D'altra parte, le nuove piantagioni fatte dal 1940 coprono 150.000 ettari di coltura specializzata e 278.000 ettari di coltura mista. Ma per la risoluzione del problema della viticoltura italiana non basta la ricostituzione dei vigneti. Bisogna altresì che tutti i rami della viti-vinicoltura, produzione, industrie, commercio vengano organizzati in modo che il vino italiano costi meno e sia prodotto in tipi costanti affinché possa imporsi in grandi masse sia sul mercato interno, divenendo di più largo consumo, sia su quello internazionale, dove viene a trovarsi in concorrenza con rinomati vini francesi, portoghesi, spagnoli già ben conosciuti ed apprezzati dai compratori. A tal fine dal I Congresso vitivinicolo nazionale (Siena-Roma, 1946) è stata riconosciuta la necessità di adottare i moderni sistemi tecnici atti a dare un maggior prodotto sulla stessa unità di terra e più redditizia resa dell'uva nella vinificazione; migliorare l'attrezzatura degli stabilimenti enologici, delle cantine sociali e cooperative; valorizzare l'istruzione pratica enologica; istituire, a somiglianza di quelli esistenti presso altre nazioni, un "Istituto del vino e della vite"; chiedere la revisione della politica fiscale sul vino, attualmente eccessivamente gravosa, e una riforma della legislazione che fissando, analogamente a quanto già da molto tempo ha fatto la Francia, precise e severe norme per la produzione e il commercio dei vini tipici e speciali, ne garantisca le qualità e il nome. Esigenza, questa ultima, riconosciuta anche nel corso delle trattative per l'unione doganale italo-francese.
Bibl.: P. G. Garoglio, Trattato di enologia, 2 voll., Firenze 1941-44; V. Montanari, V. Rivera, ecc., in Congresso nazionale vitivinicolo, Siena-Roma 1946, Roma 1947; A. Marescalchi, in Nuova Ant., 1947, 1948; Bollettino del Office international du vin, 1948.