vincere [III singol. imperf. ind. vincea e vincia: cfr. Parodi, Lingua 254, 358; partic. pass. vincuto, in Fiore CCXIII 6, e venta, in Rime LXXI 2; v. Barbi-Maggini e Parodi, Lingua 175]
Verbo di notevole frequenza, sia nel costrutto transitivo (più frequente, specie al passivo) sia nell'uso assoluto. Ricorre in complesso 107 volte (3 nella Vita Nuova, 7 nelle Rime, 16 nel Convivio, 78 nella Commedia - di cui 39 nel Paradiso -, e 3 nel Fiore). La forma più usata è il participio passato, seguita dalla III singolare del presente indicativo e del passato remoto e dall'infinito; occorre notare anche l'uso del participio presente con valore verbale.
Il valore fondamentale di " sopraffare " un avversario in guerra o in uno scontro qualsiasi è scarsamente attestato, come pure quello, di poco estensivo, di " risultare superiore " ad altri in una competizione o in una gara. Assume invece una notevole raggiera di sfumature semantiche negli usi estensivi e figurati perché l'idea della superiorità, che è alla base del vincere, è suscettibile di varie determinazioni ogni volta che si voglia dar rilievo all'impegno occorrente per rimuovere una difficoltà o un impedimento, anche nell'ambito morale e sentimentale, o s'intenda porre in risalto il conseguimento di un successo o di una posizione eminente per virtù, dignità, autorità e potere.
Quando è usato con riferimento all'esito vittorioso di una guerra, di uno scontro fra due persone, di una lotta ideale o di una gara, il complemento oggetto può indicare il popolo vinto, l'avversario sconfitto, la città conquistata: Cv III III 8 Ercule... levatolo da la terra, tanto... tenne [Anteo] sanza lasciarlo a la terra ricongiugnere, che lo vinse per soperchio e uccise; If XXVII 89 ciascun suo nimico era Cristiano, / e nessun era stato a vincer Acri; Pd VI 42 vincendo intorno le genti vicine; Fiore CCXIII 6 Paura quello stormo ebbe vincuto. E così, con riferimento al fatto che s. Pietro entrò nel sepolcro di Cristo con maggior speditezza dell'apostolo Giovanni, che pure era più giovane di lui (cfr. Ioann. 20, 3-6): tu vincesti / ver' lo sepulcro più giovani piedi (Pd XXIV 125). Altre volte, con complemento oggetto di cosa indicante lo scontro in cui il soggetto è riuscito vittorioso: Vn XXXVIII 4 però che la battaglia de' pensieri vinceano coloro che per lei parlavano, mi parve che si convenisse di parlare di lei (in ovvio senso metaforico, allusivo all'episodio della battaglia dei diversi pensieri); If IX 7 Pur a noi converrà vincer la punga; Pd XII 108 la Santa Chiesa... / vinse in campo la sua civil briga. In senso estensivo: non sbigottir, ch'io vincerò la prova (If VIII 122), riuscirò a superare l'ostilità dei diavoli. Usato assolutamente, vale " riuscir vincitore ": Rime CIV 107 'l perdonare è bel vincer di guerra (qui l'infinito è sostantivato), e XCI 102; If XV 124 parve di coloro / che corrono a Verona il drappo verde / per la campagna; e parve di costoro / quelli che vince, non colui che perde; XXXI 121 avrebber vinto i figli de la terra; XXVIII 18, Pd VI 96.
In senso più astratto, usato assolutamente, esprime l'idea del trionfo riportato dal bene sul male. La pregnanza di significato implicita nella mancanza di determinazioni fa sì che il contesto, in qualche esempio, offra la possibilità di più di un'interpretazione. Nell'inno intonato dai martiri della fede, il verbo allude senza alcun dubbio al trionfo riportato da Cristo sulla morte e sull'Inferno: Ben m'accors'io ch'elli era d'alte lode, / però ch'a me venìa " Resurgi " e " Vinci " (Pd XIV 125). Invece, nella commossa invocazione a Maria, la viva stella / che là sù vince come qua giù vinse (XXIII 93), la concettosa stringatezza dell'espressione rende ammissibili due spiegazioni: " la Vergine in cielo vince di splendore i beati, come in terra superò in virtù ogni creatura umana " (Sapegno, Grabher, Fallani), e " in terra trionfò sul male e sul peccato; e ora ... continua a vincere, a piegare a pietà la divina giustizia " (Mattalia).
Non sono del tutto perspicue neppure le parole che D. e Virgilio odono cantare mentre si avviano verso la cornice degl'iracondi: Pg XV 39 Noi montavam, già partiti di linci, / e ‛ Beati misericordes! ' fue / cantato retro, e ‛ Godi tu che vinci! '; il Vandelli, il Chimenz e il Mattalia ritengono che le parole finali siano una rielaborazione della formula conclusiva di tutte le beatitudini (" gaudete et exsultate, quoniam merces vestra copiosa est in caelis ", Matt. 5, 12), cui andrebbe forse aggiunto il ricordo di un'espressione di s. Paolo citata dal Cavedoni (Rom. 12, 21 " Noli vinci a malo, sed vince in bono malum "). Altri (Sapegno, Fallani) considerano le parole godi e vinci come una libera parafrasi della parte terminale della quinta beatitudine (" Beati misericordes quoniam ipsi misericordiam consequentur ", Matt. 5, 7) nella considerazione che, secondo l'insegnamento tomistico, la misericordia si contrappone all'invidia (cfr. Tommaso Sum. theol. II II 36 3 ad 3 " invidus enim tristatur de bono proximi; misericors autem tristatur de malo proximi "). In ogni caso, la frase sarà da intendere come rivolta propriamente a D. vittorioso del vizio dell'invidia; il Nardi, invece, ritiene che essa " potrebbe essere il principio di un inno a Cristo e immaginato da D. sul ritmo di alcuni inni ecclesiastici " (Il canto XV del Purgatorio, Roma 1953, 11).
In senso attenuato, esprime il convincimento ottenuto con un certo sforzo: Rime XLVII 6 este grazie e vertuti in orane parte / con lo piacer di lor vincono Amore, " col piacere che danno inducono Amore a corrispondere " (Barbi-Maggini); Pg XXVII 45 indi sorrise / come al fanciul si fa ch'è vinto al pome, " che si lascia persuadere dalla promessa di un frutto " (Sapegno).
Anche " governare ", " dominare ": Pg XII 124 Quando i P... / saranno... del tutto rasi, / fier li tuoi piè dal buon voler sì vinti, / che non pur non fatica sentiranno; " tenere a freno ": Pd XXXIII 37 Vinca tua guardia i movimenti umani (è la preghiera rivolta da s. Bernardo alla Vergine perché, con il suo vigile patrocinio, corregga in D. i moti dell'animo a cui egli, come vivente in terra, può. ancora andare soggetto).
Altre volte, le difficoltà o gl'impedimenti che devono essere rimossi appartengono alla sfera interiore della coscienza: Cv III VIII 17 Altri sono vizii consuetudinarii... sì come la intemperanza... e questi vizii si fuggono e si vincono per buona consuetudine (si noti il ‛ si ' passivante); If IV 48 quella fede che vince ogne errore; Pg XVI 78 [il] libero voler... se fatica / ne le prime battaglie col ciel dura, / poi vince tutto, se ben si notrica. La vittoria può essere riportata anche su un'ostilità che proviene dall'esterno, ma che è comunque di carattere ideale: Pd XXV 4 Se mai continga che 'l poema sacro / ... vinca la crudeltà che fuor mi serra di Firenze; Fiore XLIX 11 tutto vince lungia sofferenza.
Gli esempi più numerosi ricorrono allorquando il verbo si rende disponibile a esprimere l'idea di una sensazione o di una necessità fisica soverchianti, di un moto dell'animo particolarmente intenso, i quali " sopraffanno " l'uomo facendogli perdere il dominio di sé. A rendere più evidente il senso di smarrimento morale o di prostrazione fisica implicito in contesti di questo tipo contribuisce il frequente ricorso della forma passiva o del participio passato usato con valore aggettivale, in funzione predicativa o attributiva.
All'ambito della realtà sensoriale si richiamano gli esempi di Pg IX 11 vinto dal sonno, in su l'erba inchinai, e Pd XXI 142 né io lo 'ntesi, sì mi vinse [" mi stordì "] il tuono. Specie nel Paradiso, il tema più comune è però quello di una luce intensissima che, con il suo fulgore, soverchia i sensi umani di D.: If III 135 balenò una luce vermiglia / la qual mi vinse ciascun sentimento; Pg XXVII 60 un lume... lì era, / tal che mi vinse e guardar nol potei; XXXII 77 (qui l'esempio si riferisce ai tre Apostoli tramortiti dalla luce di Cristo al momento della sua trasfigurazione; cfr. Matt. 17,1-8); Pd XIV 78 Oh vero sfavillar del Santo Spiro! / come si fece sùbito e candente / a li occhi miei che, vinti, nol soffriro!; e così in XXIX 9 e XXX 11. In particolare, a v. la facoltà visiva di D. è la luce del riso di Beatrice, la quale mi guardò con li occhi pieni / di faville d'amor così divini, / che, vinta, mia virtute diè le reni (IV 141; analogamente V 3, XVIII 19. E vada qui anche Rime LXV 9).
Altre occasioni per l'uso del vocabolo sono offerte dagli accenni alle pene o agl'impulsi irosi dei dannati, al pentimento degli spiriti espianti, alla riconoscenza di D. per Beatrice: If III 33 Maestro, che è quel ch' i' odo? / e che gent' è che par nel duol sì vinta?; XXIII 60 una gente... / giva intorno... / nel sembiante stanca e vinta; Pg V 127 l'Archian... / sciolse al mio petto la croce / ch' i' fe' di me quando 'l dolor mi vinse (interpretato da alcuni " quando fui vinto dal rimorso per le mie colpe ", e da altri " nel momento di morire "); Pg XXXI 89 Tanta riconoscenza il cor mi morse, / ch'io caddi vinto; If VII 116 Figlio, or vedi / l'anime di color cui vinse l'ira; e così in XXXII 51, Fiore XLVIII 5. Resta isolato il discusso esempio di Rime LXXI 2, forse allusivo al dolore provato da Beatrice per la morte del padre (cfr. Barbi-Maggini): Voi, donne, che pietoso atto mostrate, / chi è esta donna che giace sì venta?, dove il Contini spiega " prostrata " e Barbi-Maggini " abbattuta dal dolore; probabilmente ‛ svenuta ', come suggerisce il giace ".
Com'è naturale, il tema dell'amore dominante appare nella Commedia solo in If V 132 Per più fïate li occhi ci sospinse / quella lettura, e scolorocci il viso; / ma solo un punto fu quel che ci vinse, passo che non ha bisogno di chiariménti; ad esso può forse essere accostato l'esempio di Pd IX 33 Cunizza fui chiamata, e qui refulgo / perché mi vinse il lume d'esta stella, se si accoglie il commento del Mattalia: la luce del pianeta Venere " quasi travolse, prima stringendomi rapinosamente ai sensuali amori, poi, con altrettanta forza, all'amore del bene, di Dio ". Lo stesso motivo è più frequente nelle altre opere, dove l'amore è spesso inteso come motivo di pena e d'affanno o come sentimento capace d'impegnare tutta l'anima di chi lo prova (né importa, agli effetti della definizione semantica del vocabolo, se ad esser vinti sono gli occhi o l'anima dell'amante): Vn XXXI 8 3 Li occhi dolenti per pietà del core / hanno di lagrimar sofferta pena, / sì che per vinti son remasi omai, e XXXIX 8 3; Rime LXVII 87 giovani donne / ... avete li occhi di bellezze ornati / e la mente d'amor vinta e pensosa; Cv II VII 10 questo pensiero, che di nuovo apparisce [cioè il pensiero d'amore per la Donna gentile], è poderoso in prender me e in vincere l'anima tutta.
Il verbo conserva il significato di " sopraffare ", " soverchiare " anche quando ricorre a proposito di una difficoltà materiale o intellettuale che si supera a stento o non si riesce a superare affatto: If XXIV 36 E se non fosse che da quel precinto / più che da l'altro era la costa corta, / non so di lui, ma io sarei ben vinto; Pd XXX 22 Da questo passo vinto mi concedo / più che già mai da punto di suo tema / soprato fosse comico o tragedo; e così XIV 103 Qui vince la memoria mia lo 'ngegno.
V. può anche servire per sottolineare l'inadeguatezza della parola a esprimere in modo compiuto l'oggetto del pensiero, o l'insufficienza dell'intelletto umano a conoscere la sapienza divina e altre verità sovrannaturali: Cv III IV 4 [il] nostro parlare... per lo pensiero è vinto, sì che seguire lui non puote; § 12 'l pensiero nostro... è vincente del parlare (si noti la forma perifrastica); VIII 15, Pd XI 30 quel consiglio nel quale ogne aspetto / creato è vinto pria che vada al fondo.
In molti casi, il confronto più o meno esplicito fra due entità analoghe per natura si risolve nella constatazione che l'una delle due " supera " l'altra nella qualità che esse hanno in comune (spesso espressa mediante un complemento di limitazione, talora sottintesa); questa superiorità viene indicata mediante v.: Cv III IX 12 a la presenza del sole... lo mezzo, che è diafano, è tanto pieno di lume che è vincente de la stella, l'aria è talmente luminosa " da vincere la luce delle stelle ", le quali, appunto per questo, non si vedono; XIV 7, Rime LVII 2; Pg XXIX 60 si movieno incontr' a noi sì tardi, / che foran vinte da novelle spose: i sette candelabri si muovevano così lentamente, che sarebbero stati superati in velocità dal pur lentissimo passo di una sposa novella; VII 77 e 78 Oro e argento fine, cocco e biacca, / indaco... / da l'erba e da li fior, dentr' a quel seno / posti, ciascun saria di color vinto, / come dal suo maggiore è vinto il meno; XXXI 83 e 84, Pd XIV 56 questo folgór che già ne cerchia / fia vinto in apparenza da la carne / che tutto dì la terra ricoperchia (dopo la resurrezione dei morti lo splendore che attualmente fascia i beati sarà superato in intensità di luce da quello dei corpi gloriosi); XV 109 e 110 Non era vinto ancora Montemalo / dal vostro Uccellatoio, che, com' è vinto / nel montar sù, così sarà nel calo; e così in XII 7, XVIII 57, XXVIII 26, XXXI 123.
Quindi, usato assolutamente, assume l'accezione di " prevalere " (in numero, in qualità, in intensità, e così via): Cv IV XX 2 Lo perso è uno colore misto di purpureo e di nero, ma vince lo nero, e da lui si dinomina (altro esempio nello stesso paragrafo); XXIX 10 a fare una nobile progenie convegnono in essa li nobili uomini [vincere] (dico ‛ vincere ' essere più che li altri), sì che la bontade... oscuri e celi lo contrario (altro esempio nello stesso paragrafo); I I 3.
Dopo aver mostrato a D. i nove ordini delle gerarchie angeliche ruotanti intorno a Dio, Beatrice aggiunge: Questi ordini di sù tutti s'ammirano, / e di giù vincon sì, che verso Dio / tutti tirati sono e tutti tirano (Pd XXVIII 128). Il Buti, ripreso dal Sapegno, chiosa " avanzano in virtù e in potenzia le cose che sono sotto di sé ", e secondo questa spiegazione vincon ricorrerebbe nell'accezione ora illustrata. È però da avvertire come nel verbo sia implicito il riferimento alla dottrina secondo la quale il moto di ogni cielo, e quindi l'azione delle Intelligenze celesti a ciascuno di essi preposte, dipende dal moto del cielo immediatamente superiore, come opportunamente nota il Mattalia citando a sostegno quanto dei cieli è detto in II 123 di sù prendono e di sotto fanno; la spiegazione del Buti dovrà perciò essere integrata con quella del Mattalia: " esplicano la loro vittoriosa azione (sugli ordini sottostanti) ".
In qualche caso v. esprime l'idea che una cosa agisce con maggior efficacia di un'altra: D. avverte il desiderio di abbracciare i tre sodomiti fiorentini colpiti dalla pioggia di fuoco, e per far questo dovrebbe discendere dall'argine nel sabbione, ma perch'io mi sarei brusciato e cotto, / vinse paura la mia buona voglia (If XVI 50); nell'animo di Ulisse l'amore per il figlio e la moglie e la pietas per il padre sono ben vivi, ma né l'uno né l'altro di questi sentimenti vincer potero dentro a me l'ardore / ch'i' ebbi a divenir del mondo esperto (XXVI 97); e così in Pd VIII 135, XXII 102.
Per ricordare come Cristo, con la sua passione, aveva soddisfatto così largamente alla giustizia divina da compensare le colpe di tutti gli uomini, D. si serve di una metafora: Cristo, forato da la lancia / ... tanto sodisfece, / che d'ogne colpa vince la bilancia (Pd XIII 42); il senso complessivo del traslato è chiaro: " tanto che, sulla bilancia della giustizia di Dio, ogni colpa umana è di minor peso " (Chimenz); meno facilmente identificabile è lo sviluppo semantico che ha reso possibile un uso di v. così estensivo, quale quello di " far tracollare ", " far pendere da una parte ", imposto dal contesto.
Le perplessità suscitate all'esegesi da Pg XXVI 126 Così fer molti antichi di Guittone, / di grido in grido pur lui dando pregio, / fin che l'ha vinto il ver con più persone sono state illustrate altrove (v. PERSONA; vero); qui sarà sufficiente notare come, in ogni caso, ha vinto dovrà essere interpretato " ha offuscato ".
Tutti gli esempi finora illustrati concernono la sfera delle attività dell'uomo e dei suoi sentimenti o, eccezionalmente, quella di Dio e delle Intelligenze angeliche. In due soli casi v. è attribuito a cosa: per dire che una nave, durante una tempesta, è vinta da l'onda (Pg XXXII 117), " ne rimane in balìa " (e si tratta di uso suggerito dall'autorità di Virgilio; cfr. Aen. I 120-122 " navem... vicit hiems "); in altro senso, per osservare che, poco innanzi al levar del sole, non può 'l calor dïurno / intepidar più 'l freddo de la luna, vinto da terra (XIX 3): il calore che, nelle ore diurne, il sole ha accumulato nel suolo terrestre, non vale più a temperare il freddo della notte, perché ormai il freddo della terra lo ha " spento ", " fugato ".
Alla disponibilità del verbo ad aderire alle menome sfumature del pensiero dilatando il suo significato in accezioni sempre più estensive, si affianca l'idoneità ad essere usato in senso pregnante comprovata dall'esempio di If XIV 43 Maestro, tu che vinci / tutte le cose, fuor che ' demon duri, dove vale contemporaneamente " superi " tutti gli ostacoli e " sconfiggi " tutti i tuoi nemici. Nel cielo del Sole, D. narra di aver visto più folgór vivi e vincenti / far di noi centro e di sé far corona (Pd X 64): fasciati da luce intensissima, i beati " superano " in splendore la luminosità del sole, tanto da riuscir percepibili, ma vincenti allude anche al fatto che quello splendore " soverchia " la forza visiva di Dante.
I casi di replicazione sono piuttosto frequenti. Oltre a quelli già citati (Cv IV XX 2 [due volte], XXIX 10 [tre volte], Pg VII 77 e 78, XXI 83 e 84, Pd .XV 109 e 110, XXIII 93 [due volte]), vanno ricordati gli esempi di Pd XX 96, 98 e 99 (dove " il gioco accorto delle insistite [cinque] replicazioni... sottolinea il trionfo della capacità espressiva sull'ardua materia concettuale ", Sapegno); If XXIV 52 e 53 E però leva sù; vinci l'ambascia / con l'animo che vince ogne battaglia; Cv III VII 4 certi [corpi] sono tanto vincenti ne la purità del diafano, che divengono sì raggianti, che vincono l'armonia de l'occhio, notevole per la differenza delle accezioni: alcuni corpi " sono superiori " agli altri in quanto a purezza del diafano e, per questo, " sopraffanno " l'integrità dell'occhio.
I passi discussi sono cinque. Per If IV 69 io vidi un foco / ch'emisperio di tenebre vincia, sono state proposte due interpretazioni fondamentali; la prima, che considera foco soggetto, emisperio oggetto e vincia imperfetto di ‛ vincere ', risale all'interpretazione del Lana (" elo vide una lumera la qual vincea emisperio di tenebre... altro no vol dir se no che quello luogo era luminoso "), è accolta, fra gli altri, da Casini-Barbi, Vandelli, Porena, Chimenz, Mattalia, Sapegno e Fallani, ed è suffragata dall'esempio virgiliano " noctem flamrnis funalia vincunt " (Aen. I 727). La seconda, cui, fra i moderni, aderiscono Torraca, Pietrobono, Grabher e Momigliano, considera vincia derivato da ‛ vincire ', con il significato di " circondare ", " attorniare ", " avvincere ", fu enunciata per primo da Guido da Pisa (" vidi a longe unum ignem, quem quidem ignem tenebrarum emisperium vinciebat, idest ligabat ") e si presta a una duplice spiegazione a seconda che per soggetto si prenda emisperio (" una calotta di tenebre circondava superiormente il fuoco ") o foco (" una luminosa corona circolare fasciava le tenebre della voragine infernale "); a rendere poco plausibile l'interpretazione di Guido contribuisce il fatto che ‛ vincire ' non è mai attestato con sicurezza nelle opere dantesche, né in italiano né in latino (cfr. F. Mazzoni, Il canto IV dell'Inferno, in " Studi d. " XLII [1965] 120-124). Per la stessa ragione nessuno più accoglie la variante vinciva o vincia ripresa da editori antichi (Nidobeato, ecc.) per Pg I 115 L'alba vinceva l'ora mattutina / che fuggia innanzi (per il cui senso complessivo v. ORA), meritevole di esser qui considerata anche perché conferma l'uso di v. a proposito di una luce che soverchia la tenebra (per l'ipotesi che vinceva valga " avvinceva ", cfr. Petrocchi, ad l.).
In Pg IV 40 Lo sommo er' alto che vincea la vista, il senso sembra chiaro: " la sommità del monte era così alta, che l'occhio non la poteva discernere "; solo il Mattalia, forse con eccessiva sottigliezza, vi vede un'allusione riposta commentando " sembra che Dante veda qualcosa, un sommo così alto da soverchiare la vista, paurosamente alto, si potrebbe intendere ".
Le interpretazioni proposte per Pd XIX 15 quella gloria [del Paradiso] / che non si lascia vincere a disio, sono riconducibili a tre: " che non può essere concepita maggiore da umano desiderio " (Vandelli); " che appaga interamente il desiderio di noi beati " (Sapegno); " che non basta desiderare per ottenere, occorrendo anche le opere " (Mattalia).
In Pd XXV 27 ignito sì che vincia 'l mio volto, il valore da attribuirsi a vincea dipende da quello assegnato a volto, potendosi interpretare sia " tanto da costringere il mio viso a chinarsi " sia, ma meno plausibilmente, " tanto che abbagliava la mia vista ".