TORRACA, Vincenzo.
– Nacque a Maschito (Potenza), l’8 marzo (il 9 in alcuni documenti) 1887, secondo figlio maschio di Ascanio, perito agrario e proprietario terriero, e di Antonietta Di Gilio, imparentata con avvocati e funzionari di Stato.
Frequentò le elementari in un collegio di Venosa, poi proseguì gli studi con i gesuiti del Collegio Leoniano a Roma. Anche se si sarebbe poi allontanato dalla fede cattolica, rimase «sempre riconoscente ai suoi educatori per la serietà morale e intellettuale» lì appresa (Torraca, 1979, p. 617). Non meno influente per la sua formazione fu il pensiero modernista di Romolo Murri, conosciuto tramite la rivista Cultura sociale e che incontrò personalmente quando era ancora studente. Nel 1907, anno in cui concluse il liceo classico, la sospensione a divinis di Murri da parte di papa Pio X contribuì alla decisione di Torraca di proseguire gli studi all’Università di Liegi (Torraca, 1979, p. 618). Date le difficoltà economiche della famiglia per debiti contratti dal nonno paterno, in Belgio si mantenne dando ripetizioni: dal 1908 al 1911 insegnò lingua e letteratura italiana e storia all’Institut Paumen di Angleur. Non ammesso a ingegneria per l’impreparazione nel disegno, fu indirizzato dai professori agli studi filosofici: qui si distinse con una tesi su Le caractére scientifique de la morale dans Renouvier, da cui trasse un articolo (Le caractère scientifique de la morale. A propos de la “Science de la morale” de Ch. Renouvier) per l’importante Revue des sciences philosophiques et théologiques (VI (1912), 4, pp. 676-709). Fu di quegli anni la sua definitiva crisi religiosa (Torraca, 1979, p. 619). Per ottenere la convalida della laurea, nel 1911 Torraca frequentò l’Università di Napoli, avvicinandosi al pensiero di Benedetto Croce e Giovanni Gentile. Si stabilì poi a Roma, dove il fratello Giuseppe lavorava come giornalista. Rispondendo a un annuncio per conversazioni di francese conobbe il magistrato Baviera, che lo assunse come redattore di La Magistratura, di cui fu poi direttore responsabile. Partecipò ai fermenti politici della capitale frequentando la terza saletta Aragno e sostenendo l’attività di Murri, in particolar modo nella campagna interventista del 1914. Maturò allora «notevoli capacità oratorie e incominciò a scrivere saltuariamente articoli nei quotidiani» (Torraca, 1979, p. 619). All’entrata in guerra dell’Italia partì volontario: si addestrò a Siena e nell’autunno del 1915 andò al fronte orientale «come sottotenente della Brigata Avellino» (ibid.). Partecipò alla presa di Gorizia e il generale Antonino Cascino lo volle «con sé in tutte le sue azioni come storico degli avvenimenti» (p. 620); non partecipò a quella di Monte Santo nel 1917, dove il generale fu ferito mortalmente, perché ricoverato per grave malattia. Ricevette due medaglie al valore. Ancora al fronte, nel settembre del 1918 Torraca fondò con Giovanni Marchi e Lucangelo Bracci il quindicinale Volontà, di cui fu «mente ispiratrice» e anonimo «estensore del programma» (Sabbatucci, 1974, p. 15).
Pensata fin dal 1916 e rivolta agli ufficiali, a partire dalla scoperta in trincea delle profonde «energie morali» degli italiani, la rivista intendeva fondare le basi di una nuova classe dirigente a esse rispondente, trattando la questione politica «prevalentemente sotto l’aspetto di problemi di volontà e di coscienza» (Volontà, in Volontà, I (1918), 1, pp. 1-4; cfr. Sabbatucci, 1974, pp. 16 s.).
Alla fine della guerra la redazione (cui collaborarono tra gli altri Francesco Fancello, Piero Gobetti e Ferruccio Parri) fu ospitata a Roma in casa Bracci: in questo appartamento in via 4 Novembre si raccolse l’ambiente a essa legato, mentre negli uffici, alcuni piani più in basso, si organizzarono conferenze di antifascisti (Torraca, 1979, p. 621). Nel 1920 Torraca fu tra i promotori di un convegno della Lega democratica per il rinnovamento della vita politica nazionale, fondata da Gaetano Salvemini, che superando il contrasto «fra “idealisti” e “concretisti”, cioè fra il gruppo di Volontà e i salveminiani» intendeva creare Gruppi d’azione per un nuovo «partito democratico di massa» (Sabbatucci, 1974, pp. 299, 351). Fondamentale era l’appoggio dell’Associazione nazionale combattenti: Torraca partecipò a due tesi congressi a Napoli in agosto, contribuendo all’estromissione dal direttivo di alcuni «politicanti corrotti» ed entrò a far parte della dirigenza nazionale, in alternanza con Parri e Bracci, fino all’estate del 1922, quando il progetto cadde nel clima di tensioni dell’avanzata fascista (Sabbatucci, 1981, pp. 478 s.). Tra il 1919 e il 1921 Torraca fu spesso in Germania come corrispondente per il giornale di Genova L’Azione (poi Il Lavoro). Nel febbraio del 1922 sposò Jolanda Vesely, da cui ebbe due figli, Antonello e Giorgio, nel 1924 e nel 1927. Un caso fortuito – l’amicizia con il fratello di Olindo Bitetti, divenuto direttore del Popolo Romano dopo l’acquisto del giornale da parte di industriali legati alla Banca italiana di sconto (Sabbatucci, 1974, p. 376 nota) – lo portò a divenire redattore e poi vicedirettore della testata, che accolse gran parte del gruppo di Volontà (che nello stesso anno, il 1922, interruppe le pubblicazioni). Il giornale chiuse però dopo pochi mesi per il fallimento della Banca.
Senza un lavoro fisso, nel 1924 Torraca pubblicò altri dieci numeri di Volontà, scrivendo spesso personalmente e dando una chiara impostazione antifascista: al posto degli pseudonimi della prima serie figurarono i nomi dei redattori (oltre a lui e Bracci, Ugo Battaglia, Camillo Bellieni, Piero Calamandrei, Federico Comandini, Francesco Fancello, Mario Ferrara, Emilio Lussu, Umberto Zanotti-Bianco). Un’«opposizione morale prima che politica» (Sabbatucci, 1981, p. 479) che lo spinse anche ad aderire pubblicamente, appena dopo il delitto Matteotti (1924), al Partito socialista unitario, insieme a Gaetano Salvemini, Piero Jahier e Carlo Rosselli. Nel 1926 tornò a scrivere per Il Lavoro di Genova come corrispondente dal Belgio. Le precarie condizioni lavorative – non volle accettare posti nei giornali di regime, di insegnante nei licei o riprendere la via dell’emigrazione politica – durarono fino al 1927, quando grazie a un prestito (restituito un anno dopo) del senatore Luigi Albertini rilevò con Nando Benzoni la Società anonima SILES (Società Italiana Lavanderie e Stirerie), una stireria meccanica per colli inamidati. Divenuto piccolo imprenditore, Torraca sostenne moralmente ed economicamente gli amici (come Fancello, Ernesto Rossi e Riccardo Bauer) del movimento antifascista Giustizia e libertà, contribuendo alla distribuzione clandestina del loro giornale stampato a Parigi. Nel 1929 fu coinvolto nel processo che finì con la prigione e poi il confino per i membri dell’associazione: privato del passaporto, fu posto sotto sorveglianza e «diffidato dall’occuparsi di politica» (Torraca, 1979, p. 623). Mentre la stireria continuava ad avere un buon attivo, nel 1928 Torraca aiutò Nando Benzoni e la sorella Giuliana sistemando il patrimonio di un loro zio, conte Martini-Marescotti: entrò così in amicizia con il facoltoso americano John Oliver Crane, che ne aveva sposato la figlia. Su richiesta della famiglia, intervenne nuovamente nel 1935 negli affari del suo socio Benzoni, che aveva investito ingenti somme per rilevare il teatro Eliseo, trovandosi dopo un anno con un ampio passivo: quando Crane acquistò nel 1936 le azioni nella società AGIT (Anonima Gestione Imprese Teatrali), gli affidò la nuova gestione amministrativa (Marchetti, 2018, p. 230). Per imparare il mestiere Torraca si rivolse a persone esperte nel campo teatrale, tra cui Guglielmo Emanuel, giornalista figlio dell’attore Giovanni. Nel 1937 il teatro fu acquistato dalla Società immobiliare romana Eliseo (SIRE) grazie a un investimento del senatore Albertini. Torraca ne curò una profonda ristrutturazione su progetto di Luigi Piccinato. In sei mesi, tra giugno e dicembre, furono ampliati palcoscenico, magazzino e ridotto, aumentati e resi più confortevoli i camerini degli attori, ammodernati l’illuminazione (tubi al neon al posto dei tradizionali lampadari) e l’impianto tecnico; fu inoltre rinnovata l’intera struttura del teatro, ora non più a palchetti ma con posti uguali per tutti. Il palcoscenico fu dotato di piattaforma girevole: innovazione da tempo introdotta nei teatri stabili stranieri, ma del tutto insolita nel panorama italiano. L’inaugurazione, il 5 gennaio 1938, con la compagnia Tofano-Maltagliati, non fu un successo, ma a una certa disattenzione della stampa contribuì l’ostilità nei confronti di Torraca delle gerarchie fasciste (Giammusso, 1989, p. 61). Torraca si occupò di ogni dettaglio della gestione artistica ed economica, intervenendo anche su questioni minute di competenza del precedente direttore Fernando Spernanzoni, come il contegno delle maschere in sala (Marchetti, 2018, p. 232): un’attenta cura di «cose» e «persone» che fu parte di un interesse costante per la «vita quotidiana del teatro» (lettere di V. Torraca a F. Spernanzoni del 15 dicembre 1938 e 30 dicembre 1947, in Marchetti, 2018, pp. 233, 235). Accanto al rinnovato Eliseo, Torraca volle appartamenti per gli attori, uno dei quali, le Stanze del Teatro, dotato di «un ristorante, un salotto e una foresteria (l’interno 30)» e collegato al foyer da una scaletta interna, fu pensato come luogo di incontro e scambio culturale, e in tempo di guerra diventò rifugio di antifascisti e dissidenti (pp. 238 s.). Anche per utilizzare l’innovativo impianto tecnico, non adatto ai normali allestimenti delle compagnie di giro (Giammusso, 1989, p. 68), per il triennio 1938-41 Torraca creò una compagnia semistabile, con regista il russo Pietro Sharoff e primi attori Gino Cervi e Andreina Pagnani e ne seguì da vicino lavori e organizzazione (Torraca, 1979, p. 625). Una nuova compagnia fu costituita nel 1943 con regista Ettore Giannini e altre produzioni furono poi affidate a Guido Salvini e Orazio Costa (Squarzina, 1990, p. 34). Durante l’occupazione tedesca Torraca visse nascosto nell’interno 30: il teatro, dotato di «cinque uscite su tre strade diverse», accolse, salvandoli dall’arresto, ebrei, politici, carabinieri, membri del Comitato di liberazione, la principessa Elvina Pallavicini (Torraca, 1979, pp. 626 s.). Sempre largo di aiuti anche economici, Torraca assunse come ragioniere Arnoldo Foà, senza lavoro a causa delle leggi razziali.
Con la stessa coerenza morale nel dopoguerra Torraca contribuì alla difesa di Nicola De Pirro, sotto accusa per il suo ruolo di direttore generale del Teatro del governo fascista, testimoniando sulla sua «imparzialità verso persone notoriamente non gradite al partito» (Giammusso, 1989, pp. 87 s.). Alla costituzione del governo Parri fu chiamato a dirigere l’Ufficio per i rapporti con la stampa estera: accettò a titolo onorifico, ma, abituato dall’esperienza «a considerare le forze concrete esistenti» (Torraca, 1979, p. 627), non si trovò a suo agio tra le ambizioni di ricostituzione dal basso del regime democratico dei reduci della Resistenza, simili a quelle della sua giovinezza. Il nuovo governo durò pochi mesi: pur vicino a Ugo La Malfa e alle vicende del Partito d’azione, e aprendo sempre il suo teatro al dibattito politico, Torraca non tornò più alla politica attiva. Riprese per breve tempo il giornalismo collaborando, tra il 1944 e il 1946 (soprattutto per la politica estera, ma suo fu il primo editoriale) alla rivista Realtà politica di Riccardo Bauer (Sabbatucci, 1981, p. 481; Bauer, 1980, p. 111). Fu tra i fondatori della sezione italiana del Movimento federalista europeo (Bonacina, 1979). Continuò poi a gestire l’Eliseo e gli affari di Crane. Negli anni Cinquanta fece parte di una commissione governativa per una nuova legge del teatro e a Parigi entrò in contatto con i fondatori, in connessione con l’UNESCO, dell’ITI (International Theatre Institute): con Silvio d’Amico ne fondò la sezione italiana (che diresse dal 1964 al 1969) e dal 1958 al 1964 fu presidente del Consiglio dell’organizzazione (Torraca, 1979, p. 628). Abbandonato un nuovo progetto di ampliamento, negli anni Cinquanta Torraca fece acquistare e rinnovare l’Apollo, storica seconda sala dell’Eliseo. Le attività teatrali, interrotte per alcuni mesi per requisizione degli americani, nel dopoguerra ebbero al centro il clamoroso esordio di Luchino Visconti e le messinscene di Eduardo De Filippo, oltre che di importanti compagnie europee. Di fronte all’affermarsi dei teatri pubblici, Torraca continuò a difendere l’importanza dell’indipendenza economica e culturale, gestendo l’Eliseo come una solida industria in grado di aprirsi a correnti innovative. Tra il 1967 e il 1970 fu commissario governativo dell’Accademia nazionale d’arte drammatica. Diresse l’Eliseo fino al 1977. Dietro le quinte, lasciando ad altri i ruoli di rappresentanza, fu per quarant’anni «al centro della vita teatrale italiana» (Squarzina, 1990, p. 34) continuando ad agire da sostenitore e coscienza morale di un certo mondo politico.
Morì a Roma il 15 settembre 1979.
Fonti e Bibl.: Roma, Archivio centrale dello Stato, Fondo Vincenzo Torraca; Napoli, Istituto di studi storici, Biblioteca personale di Vincenzo Torraca.
C. Trabucco, La piccola e la grande commissione, in Il dramma, XXXVI (1960), 280, pp. 50-53; G. Sabbatucci, I combattenti nel primo dopoguerra, Roma-Bari 1974; E. Bonacina, V. T., in L’Astrolabio, 23 settembre 1979, 19, p. 8; J. Torraca, Appunti per una biografia di V. T., in Archivio trimestrale, 1979, n. 4, pp. 617-629; R. Bauer, Ricordo di V. T., in Nuova antologia, CXV (1980), 540, 2133, pp. 102-114; G. Sabbatucci, V. T. Dalla rivista “Volontà” al Teatro Eliseo, in Belfagor, XXXVI (1981), 4, pp. 475-482; A. Battaglia, Ricordo di V. T., in Annali dell’istituto Ugo La Malfa, V (1989), pp. 349-353; M. Giammusso, Eliseo. Un teatro e i suoi protagonisti 1900-1990, Roma 1989; L. Squarzina, V. T.: dalla politica al teatro, in Ariel, V (1990), nn. 1-2, pp. 33-37; M. Martelli, Il carteggio Ugo La Malfa-V. T., in Annali dell’istituto Ugo La Malfa, XIII (1998), pp. 335-352; P. Giarmangeli, V. T. impresario per caso, in Hystrio, XIII (2000), 1, pp. 32 s.; M. Marchetti, V. T. e una nuova Storia per il Teatro Eliseo, in Teatro è storia. Scritti in onore di Mara Fazio, a cura di S. Bellavia - M. Marchetti - V. De Santis, in Studi (e testi) italiani. Semestrale del Dipartimento di studi greco-latino, italiano, scenico-musicali, 2018, n. 41, pp. 227-241.