MONIGLIA, Vincenzo Tommaso
MONIGLIA, Vincenzo Tommaso. – Nacque a Firenze il 18 ag. 1686, da Nicola Maria, professore di logica e filosofia all’Università di Pisa e da Lucrezia Casini. Apparteneva a una famiglia di giuristi e studiosi, originaria di Sarzana e ben introdotta alla corte medicea: particolare notorietà ebbe lo zio del M., Giovanni Andrea, medico del granduca Cosimo III e poeta.
Come il fratello Ferrante, che entrò nell'ordine degli scolopi, il M. fu avviato in giovane età alla carriera ecclesiastica e poté apprendere le lingue antiche (tra cui l’ebraico), le scienze naturali, la matematica e la filosofia. Nel 1702 fu ammesso nel convento di S. Marco a Firenze e prese l’abito domenicano, segnalandosi per precoci doti di studioso che impressionarono il generale dei domenicani, Antonio Cloche. Sembra che queste stesse doti abbiano indotto l’ambasciatore inglese alla corte granducale, Henry Newton, dotto divulgatore scientifico, a proporre al M. di proseguire i suoi studi in Inghilterra, dove si stabilì tra il 1709 e il 1712. Sul soggiorno inglese del M. è noto in realtà molto poco. Probabilmente, il viaggio in Inghilterra fu una vera e propria fuga dall’Ordine e condusse il M. a frequentare ambienti culturali eterodossi, al punto che, in diverse occasioni, egli dovette fare pubbliche ammissioni di pentimento per aver lasciato l’Italia.
Nel 1731, riflettendo a distanza di anni su quel periodo della sua vita, scrisse che «dopo qualche pratica del mondo, più di quella che conveniva» (lettera del 17 marzo 1731, in Barzazi, p. 218) aveva finalmente colto le potenzialità apologetiche delle sue frequentazioni culturali e filosofiche giovanili. Certo è che la buona conoscenza della cultura inglese contemporanea portò il M. ad approfondire gli studi su B. Spinoza e J. Locke, ancora relativamente poco noto in Italia, e a intuire la necessità di un serrato confronto tra la cultura cattolica e le nuove correnti filosofiche razionalistiche e materialistiche.
Tornato in Italia grazie all’aiuto dell’ambasciatore toscano Jacopo Giraldi e del granduca Cosimo III, che ottennero il perdono di Cloche, il M. riprese la sua attività nell’Ordine domenicano, cercando di accreditarsi come predicatore e studioso. Per un certo periodo visse a Roma, svolgendo le mansioni di assistente bibliotecario nella Biblioteca Casanatense, a fianco del padre Tommaso Minorelli. In quel periodo il M. approfondì le sue conoscenze filosofiche, interessandosi, oltre a Locke, al recupero dell’ontologia scolastica compiuto da C. Wolff e J.F. Budde. A Roma, il M. frequentò inoltre il circolo di Giovanni Gaetano Bottari, legato all’entourage dei Corsini. Al periodo romano risale la prima opera del M., il De origine sacrarum Precum Rosarii Beatae Mariae Virginis (Romae 1725), nel quale si confrontò con la tematica, tipicamente domenicana, delle origini delle devozioni mariane, contrapponendosi alla tesi dei bollandisti, che avevano negato l’attribuzione a s. Domenico dell’istituzione delle preghiere alla Vergine.
Tra gli anni Venti e Trenta del Settecento, il M. alternò la sua attività tra Roma e il convento di S. Marco a Firenze, dove fu inviato come insegnante di teologia per interessamento di Giuseppe Agostino Orsi, in seguito cardinale. Si trattava di una buona occasione per riannodare i legami con la Toscana, che il M. seppe sfruttare improntando il suo insegnamento a un rigoroso metodo didattico, aperto alle acquisizioni della «nuova» erudizione sacra di ascendenza maurina. Alla fine degli anni Trenta del Settecento, il M. cominciò a pensare a un definitivo rientro in Toscana, forse presagendo la prossima fine del pontificato corsiniano e il conseguente ridimensionamento dei circoli politico-culturali legati a Clemente XII e ai suoi nipoti. Inizialmente, il M. sperò di poter succedere al confratello G. Serry, professore all’università di Padova, ma la prospettiva tramontò, a causa dell’ostilità nei suoi confronti del corpo docente patavino. Le sue aspirazioni si indirizzarono allora verso l’università di Pisa, di cui era provveditore Gaspare Cerati, un oratoriano fortemente legato ai Corsini, che il M. ben conosceva. Grazie all’interessamento di Bottari, il M. puntò alla cattedra di storia ecclesiastica, di cui era docente, dal 1697, il pistoiese Giulio Lomi, ormai anziano e non molto assiduo alle lezioni. L’operazione incontrò però l’ostilità del conte Emmanuel de Richecourt, l’uomo forte della Reggenza toscana, preoccupato per l’eccessivo numero di religiosi nelle università. Solo nel 1741 il M. fu chiamato all’università di Pisa, dove assunse la cattedra di Sacra Scrittura e storia ecclesiastica, che tenne fino alla morte.
Nel 1741 pubblicò a Roma il De annis Jesu Christi Servatoris, et de religione utriusque Philippi Aug. dissertationes duae (1741). Si trattava di un testo di erudizione sacra, nel quale il M. affrontava due questioni distinte, quella della cronologia evangelica e quella della presunta conversione al cristianesimo di due imperatori romani del terzo secolo, Filippo I l’Arabo e il suo giovane figlio Severo Filippo. Pur non caratterizzandosi per una particolare acribia filologica, l’opera del M. si collocava dignitosamente nell’ambito del rinnovato interesse per l’antichità cristiana propria della cultura italiana dell’epoca.
L’insegnamento del M. si caratterizzò per un forte impegno didattico e per il tentativo di rendere lo studio della Sacra Scrittura e della storia ecclesiastica funzionale al miglioramento della cultura del clero secolare e della disciplina ecclesiastica. Non a caso, il religioso domenicano cercò di indurre il governo toscano a far partecipare alle sue lezioni gli allievi del seminario pisano, la cui preparazione teologica appariva sommaria e culturalmente attardata. Nel complesso, peraltro, il M. si rivelò decisamente più originale nella riflessione filosofico-apologetica che non nell’erudizione sacra e scritturale, alla quale portò pochi contributi, complessivamente di scarso rilievo.
Le forti venature apologetiche che contraddistinguevano il pensiero del M. lo posero in conflitto con alcuni suoi colleghi pisani, come Giovanni Alberto De Soria, filosofo intriso di evidenti venature illuministiche. Intorno al 1743 il M. ebbe modo di leggere il manoscritto di un’opera di De Soria, Della esistenza e degli attributi di Dio (Lucca 1745), caratterizzata da marcati elementi deistici. Cercò dunque di ostacolarne la pubblicazione che poté comunque avvenire, grazie all’approvazione dell’arcivescovo di Lucca, Gian Domenico Mansi. L’opposizione del M. al De Soria non fu circoscritta a questo episodio, ma si inserì nell’ambito di un più complessivo conflitto con la nuova filosofia.
Nel 1744, il M. pubblicò a Lucca una Dissertazione contro i fatalisti, che costituisce la sua opera più significativa. In essa, il M. si sforzava di coniugare la cultura cattolica con l’empirismo lockiano, superando la condanna di Locke pronunciata nel 1734. Pur accettando l’empirismo gnoseologico del filosofo inglese, il M. ne offriva un’interpretazione edulcorata, polemizzando con le tesi sull’origine della religione e con ogni forma di deismo. Ampiamente recensita sulle Novelle letterarie di Firenze, la Dissertazione del M. è stata giudicata come uno spartiacque nella ricezione italiana di Locke (Badaloni, pp. 202 s.), perché apriva al pensiero del filosofo inglese pur stabilendo un rigido confine che teneva a distanza le tesi sulla materialità dell’anima sviluppatesi nell’illuminismo inglese e francese. Obiettivo polemico del M. non era però tanto la cultura materialistica inglese, quanto piuttosto gli autori italiani che – come De Soria – prendevano le mosse da Locke per approdare a forme di materialismo o ateismo. Non a caso, vi fu chi, come il colto letterato meridionale Romualdo De Sterlich, osservò, a proposito dell’opera del M. e delle sue diatribe con De Soria, che «il zelo per la religione però non dee farci perdere la carità cristiana» (Lettere a G. Lami, p. 166).
Uno stesso filo conduttore lega anche le successive opere del M., che aprono la grande stagione dell’apologetica tardosettecentesca. Nella prima, la Dissertazione contro i materialisti e gli increduli (Padova 1750), il M. riprendeva la sua polemica con il deismo e il materialismo, utilizzando autori riconducibili al neoplatonismo inglese, come Ralph Cudworth e discutendo ampiamente i problemi relativi allo spazio, alla materia e al vuoto, attorno al quale si andava svolgendo da anni un ampio dibattito europeo. Preannunciata dalle Osservazioni critico-filosofiche contro i materialisti (Lucca 1760), l’ultima opera del M., La mente umana. Spirito immateriale non materia pensante (Padova 1766), apparve quando il suo autore era molto anziano e segnò il suo ripiegamento su motivi apologetici più convenzionali. In questo caso oggetto della riflessione del M., che si valse dell’aiuto del confratello Dionisio Remedelli, era il concetto lockiano della mente come «materia pensante», alla quale il domenicano aveva già dedicato qualche rilievo nelle sue opere precedenti. Per contrastare tale concetto e affermare la teoria dell’immaterialità dell’anima degli uomini e degli esseri animali, il M. utilizzava soprattutto il «consensus gentium», ma la sua dimostrazione appare, in questo caso, assai poco originale e frutto di un uso talora indiscriminato di autori antichi e moderni.
Il M. morì a Pisa il 15 febbr. 1767.
Fonti e Bibl.: Novelle letterarie pubblicate in Firenze, 1745, n. 32, coll. 407-508; Gazzetta toscana, 1767, n. 8, p. 36; A. Genovesi, Lettere familiari, I, Venezia 1844, pp. 65-68; B. Tanucci, Epistolario, I, 1723-1746, a cura di R.P. Coppini - L. Del Bianco - R. Nieri, Roma 1980, p. 221; Romualdo de Sterlich, Lettere a G. Lami (1750-1768), a cura di U. Russo - L. Cepparrone, Napoli 1994, ad ind.; A. Fabroni, Vitae Italorum doctrina excellentium, XI, Pisa 1785, pp. 144-169; A. Lombardi, Storia della letteratura italiana nel secolo XVIII, I, Venezia 1832, pp. 156-160; E. Micheli, Storia dell’Università di Pisa dal MDCCXXXVII al MDCCCLIX, in Annali delle università toscane, XVI (1879), pp. 25-27; M. Rosa, Per la storia dell’erudizione toscana del ’700: profilo di Lorenzo Mehus, in Annali della Scuola speciale per archivisti e bibliotecari dell’università di Roma, II (1962), pp. 57 s.; A. Vecchi, Correnti religiose nel Sei-Settecento veneto, Venezia 1962, pp. 189, 349; N. Badaloni, Antonio Conti. Un abate libero pensatore tra Newton e Voltaire, Milano 1968, ad ind.; N. Carranza, Monsignor Gaspare Cerati provveditore dell’Universita di Pisa nel Settecento delle riforme, Pisa 1974, ad ind.; V. Ferrone, Scienza, natura, religione: mondo newtoniano e cultura italiana nel primo Settecento, Napoli 1982, pp. 649-651, 664; M.A. Morelli Timpanaro, Per una storia di Andrea Bonducci (Firenze, 1715-1766): lo stampatore, gli amici, le loro esperienze culturali e massoniche, Roma 1996, p. 104; A. Barzazi, Gli affanni dell’erudizione. Studi e organizzazione culturale degli ordini religiosi a Venezia tra Sei e Settecento, Venezia 2004, pp. 217 s., 221; J.I. Israel, Enlightenment contested. Philosophy, modernity, and the emancipation of man 1670-1752, Oxford 2006, ad ind.; P. Delpiano, Il governo della lettura. Chiesa e libri nell’Italia del Settecento, Bologna 2007, pp. 40, 243; G. de Liguori, L’ateo smascherato. Immagini dell’ateismo e del materialismo nell’apologetica cattolica da Cartesio a Kant, Firenze 2009, ad ind.; Dictionnaire de théologie catholique, X, Paris, coll. 2215-2216.