TANARI (Tanara), Vincenzo
TANARI (Tanara), Vincenzo. – Nacque a Bologna il 29 ottobre 1591 da Cristoforo di Tanaro Tanari (m. tra il 1601 e il 1602) e da Cornelia Vizzani (viva nel 1633).
Ebbe due sorelle, Claudia e Dorotea: la prima (m. ante 1617) sposò il medico Giuseppe Cucchi; la seconda (viva nel 1626) divenne domenicana con il nome di Egidia Cornelia.
Tanari apparteneva al ramo secondario di una parentela della montagna bolognese legata ai Medici, insediatasi in città da circa un secolo e il cui ramo principale tra Cinque e Seicento, accostandosi ai Borghese e poi ai Barberini, stava facendo carriera alla corte papale e inserendosi nell’oligarchia bolognese.
A undici anni, in seguito alla morte del padre, venne affidato alla tutela della madre, aiutata dai parenti Vizzani e Tanari, ed ereditò il patrimonio paterno (circa 80 ettari di terreni agricoli nell’alta pianura bolognese e alcuni immobili a Bologna), ma anche l’obbligo di garantire doti elevate per la madre e le sorelle: pagati i debiti del padre, l’eredità si ridusse ai soli beni fidecommissari e l’obbligò a una serie di costose e incerte liti civili che l’impegnarono per tutta la vita. Malgrado le difficoltà economiche, nel 1602 iniziò gli studi all’Accademia bolognese degli Ardenti, un collegio di istruzione secondaria per nobili adolescenti; nel 1604 ereditò i beni di un altro lontano parente (consistenti in altri 31 ettari di terre, un mulino in montagna e una casa a Bologna), ma anche gli elevati debiti relativi (circa 15.000 lire bolognesi) e le cause connesse. L’uso dei beni dotali della madre e l’aiuto delle famiglie dei genitori gli consentì di far fronte alle difficoltà, ma lo rese dipendente dal ramo principale dei Tanari. Nel 1613 s’impegnò a pagare una dote di 12.000 lire allo sposo della sorella Dorotea, riuscendovi in undici anni.
Dal 1615 è attestato come presente a Roma e, divenuto maggiorenne, nel 1617 riunì in un unico affitto gran parte dei suoi beni bolognesi e nominò due procuratori per curare i suoi affari economici e legali a Bologna; nel 1619 trasferì tali procure alla madre. Probabilmente grazie ai legami sociali della casata si dedicò alla vita militare per vari principi in Italia e fuori e sino in Levante, ma mancano informazioni più precise in merito: raccontava però di essere stato a Napoli, sulle coste dell’Italia meridionale e in Sicilia, da dove importò a Bologna la pratica del tiro con l’archibugio agli uccelli in volo. A Roma entrò infine nella corte del potente cardinale Francesco Sforza di S. Fiora (grazie alla cui biblioteca riprese a studiare da autodidatta), il che gli procurò contatti con la Curia, i Farnese, gli Aldobrandini, i Ricci di Montepulciano; tuttavia Sforza probabilmente ne sfruttò le sole capacità venatorie e gl’interessi agronomici: Tanari narra episodi di caccia a Fiano Romano, Isola Farnese, Frascati, Anzio, Nettuno, nel Lazio meridionale, a Montepulciano e accenna a una missione in Paesi lontani per innestare agrumi, svolta con successo, su richiesta di principi. Egli non riuscì però a dare una svolta alla sua vita: dal 1623 risulta stabilmente a Bologna, impegnato nel pagamento di debiti, nella partecipazione a cause che arrivarono a volte sino alla Rota romana e nell’amministrazione del suo modesto patrimonio, mostrando attenzione, nei contratti d’affitto, al miglioramento produttivo dei fondi; forse in questo periodo avviò i contatti con membri dell’Accademia della Notte, una delle principali della città.
Nel 1623 fu per due mesi membro dell’ufficio comunale dei Tribuni della plebe, che aveva competenze di controllo sulle attività economiche urbane; nel 1626 la madre gli donò tutti i propri beni dotali (13.000 lire) per assicurargli un tenore di vita degno della sua condizione di piccolo nobile cittadino: ciò gli consentì di sposare, il 21 aprile, Laura Morandi (m. post 1674), dello stesso rango sociale, ma con una dote di neppure 5000 lire, che finì di ricevere nel 1633.
I due ebbero almeno almeno sette figli: Cristoforo (vivo nel 1628-29), Francesco Maria (vivo nel 1629), Flaminia (ca. 1634-1689), monaca benedettina con il nome di Placida Aurora, Ludovico (1631-1673), che avrebbe continuato la famiglia, Cornelia (m. 1673), anch’essa benedettina come Maria Vincenza Cristina, Antonio Maria (1635-ca. 1672), oratoriano, Cristoforo (1639-post 1661), francescano osservante.
Tramite la dote e la famiglia della moglie, Tanari poté tentare anche attività non agricole: nel 1627 concesse un prestito alla casata Sampieri, nel 1631 partecipò con altri a una fideiussione a favore di Ercole Calli, dinamico fornitore di generi e munizioni del Forte Urbano (allora in costruzione al confine occidentale del territorio bolognese) e legato ad Alessandro Tanari, capo del ramo principale della casata e appaltatore della tesoreria provinciale pontificia di Bologna; lo stesso anno ereditò anche un podere dal notaio Pellegrino Tanari, altro suo parente; nel 1632 ricoprì per la prima volta la carica di anziano (l’ufficio bimestrale, riservato ai piccoli nobili, che teoricamente affiancava il gonfaloniere alla guida del Comune di Bologna). Già l’anno successivo, tuttavia, la morte di Calli, su cui la Camera apostolica (l’amministrazione finanziaria papale) vantava un credito di 100.000 lire, aprì per Tanari una nuova epoca di difficoltà, perché con gli altri fideiussori e gli eredi fu chiamato a rispondere del debito, venne obbligato a pagare immediatamente 4000 lire e fu coinvolto in una serie di cause ancora aperte tredici anni dopo.
È forse in quest’epoca che iniziò a soggiornare preferibilmente nella villa (Il Castellazzo) della sua tenuta di Calcara, per risparmiare sulle spese quotidiane e meglio curarne lo sfruttamento; vi si trovava nel 1642, quando sfuggì di misura al saccheggio del podere operato dalle truppe parmigiane durante la guerra di Castro. Tra il 1635 e il 1643 fu anche tutore del congiunto minorenne Ercole Tanari; nel 1639 e 1644 ricoprì di nuovo l’anzianato. A Calcara verso il 1640 aveva iniziato a scrivere un corposo trattato di economia domestica, L’economia del cittadino in villa, forse allo scopo di procurarsi entrate aggiuntive: l’opera fu tuttavia criticata ancor prima di uscire e venne pubblicata nel 1644, senza dediche a personalità eminenti, e venduta a prezzo di costo.
Il lavoro è dichiaratamente rivolto a persone della condizione di Tanari: capifamiglia di piccola nobiltà che dallo sfruttamento dei loro beni e dal risparmio sulle spese traggano le risorse per mantenere uno stile di vita adeguato al loro rango. Tanari utilizza per la redazione tutta la scienza agronomica dall’antichità in poi, ma anche fonti letterarie, racconti di viaggio, trattati di medicina e igiene e altro (cita, spesso alla lettera, non meno di centocinquanta opere), ma soprattutto usa la propria pratica di proprietario agrario, le osservazioni da lui svolte, le notizie raccolte da proprietari e mezzadri e i risultati degli esperimenti da lui condotti principalmente nella coltivazione di fiori, frutta e ortaggi. L’opera è articolata in sette libri: il primo tratta della produzione, conservazione e uso del pane e del vino e dei prodotti derivati; il secondo della viticoltura e dell’apicoltura, con sezioni relative a salse alimentari, funghi, concimi; il terzo si occupa del bestiame (soprattutto suini), degli animali da cortile e del loro uso culinario; il quarto delle caratteristiche della coltivazione e dell’utilizzazione delle piante alimentari e medicinali, analogamente al quinto, che illustra la floricoltura, la frutticoltura e le tecniche d’innesto; il sesto riguarda la coltivazione di cereali e piante industriali, i pascoli e la silvicoltura; il settimo espone le operazioni agricole da compiere ogni mese e le ricette di cucina appropriate a ognuno.
Tanari, pur volendo indicare ai proprietari la via dell’autosufficienza economica tramite lo sfruttamento ottimale dei loro poderi, è attento al miglioramento delle tecniche e delle redditività agricole (incluse quelle derivanti dall’introduzione di nuove colture da altri Paesi e continenti), alle possibilità di commercializzazione dei prodotti, all’integrazione tra industria e agricoltura, ai rapporti che devono intercorrere con mezzadri e braccianti, i quali vanno condotti nel modo meno conflittuale possibile, anche rinunciando a razionalizzare e massimizzare lo sfruttamento delle risorse.
L’opera, che forniva un quadro completo delle pratiche agricole bolognesi coeve, ebbe un successo immediato e durevole (se ne conoscono almeno sedici edizioni sino a fine Settecento). Tanari prometteva nella prefazione di completarla con una seconda parte dedicata allo svago del cittadino, la caccia, e iniziò a scriverla, articolandola in altri tre libri.
Il primo descrive le armi da caccia (in particolare l’archibugio), la falconeria, l’allevamento, addestramento e tipi di cani, i rapaci notturni, le diverse reti e altri strumenti da uccellagione; il secondo illustra le tecniche di caccia alla selvaggina da pelo e gli usi diversi (alimentari e non) della cacciagione, mentre il terzo offre un’analoga trattazione per quella da penna.
Gli ultimi due libri progettati, dedicati alla pesca e alla scalcaria, non furono probabilmente mai scritti per la morte dell’autore e l’opera, di qualità e interesse pari a quelli del primo trattato, restò inedita, a eccezione del terzo libro, edito a sé come curiosità letteraria a fine Ottocento.
Nel 1648 lo stampatore Carlo Manolessi pubblicò però una seconda edizione di L’Economia..., dedicandola al conte di Novellara Alfonso Gonzaga (da questa fu ricavata nel 1651 un’edizione romana) e nel 1651 una terza, dedicata al marchese Claudio Rangoni, nella quale poté aggiungere una trattazione, fornita da Tanari, sulle qualità necessarie a un buon cacciatore.
Famoso ma non ricco, nel 1652 Tanari, per liberarsi dei debiti e dotare la figlia Flaminia che intendeva monacarsi, vendette ai fratelli finanzieri genovesi Giuseppe Maria e Paride Maria Grimaldi circa 25 ettari di terreno, riuscendo a pagare una dote di 5000 lire.
Morì a Modena il 6 giugno 1653 (se ne ignorano le circostanze) ab intestato; i figli ereditavano terreni per circa 70 ettari, due case (con sette botteghe) a Bologna, beni mobili e crediti per 3300 lire e debiti per oltre 21.000.
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P.S. Dolfi, Cronologia delle famiglie nobili di Bologna, Bologna 1670, pp. 700-702; G.N. Pasquali Alidosi, I signori anziani consoli, e gonfalonieri di giustizia della città di Bologna, a cura di P.F. Negri, Bologna 1670, pp. 180, 187, 192; I gonfalonieri del popolo o tribuni della plebe dall’Anno 1500. a tutto il 1769., Bologna [1769], p. 94; G. Fantuzzi, Notizie degli scrittori bolognesi, VIII, Bologna 1790, pp. 74-77; G. Guidicini, Cose notabili della città di Bologna ossia storia cronologica de’ suoi stabili pubblici e privati, a cura di F. Guidicini, I, Bologna 1870, pp. 79, 85 s., II, 1873, pp. 11-13, 155, 170-173; V. Tanara, La caccia degli uccelli..., a cura di A. Bacchi della Lega, Bologna 1886; G. Comelli, Bargi e la val di Limentra, Bologna 1917, pp. 42-51, 124-135, 344-350; W. Montanari, V. T. «L’economia del cittadino in villa», in La mercanzia, XI (1956), pp. 583-585; E. Sereni, Note per una storia del paesaggio agrario emiliano, in Le campagne emiliane nell’epoca moderna. Saggi e testimonianze, a cura di R. Zangheri, Milano 1957, pp. 27-53 (in partic. pp. 36 s., 41); Id., Pensiero agronomico e forze produttive agricole in Emilia nell’età del Risorgimento. Filippo Re, in Bollettino del Museo del Risorgimento, V (1960), parte III, pp. 891-933 (in partic. pp. 895-900, 917 s., 920-926); C. Poni, Gli aratri e l’economia agraria nel Bolognese dal XVII al XIX secolo, Bologna 1963, ad ind.; A. Bignardi, V. T. e l’agricoltura bolognese del Seicento, in Annali dell’Accademia nazionale di agricoltura, LXXV (1963-1964), pp. 197-232; Id., Nuovi appunti tanariani, in Rivista di storia dell’agricoltura, IV (1964), pp. 112-120; Id., Il cardo lanario. Antica pianta industriale, in L’Italia agricola, CII (1965), pp. 469-479 (in partic. pp. 474-479); Id., Settecento agrario bolognese e altri saggi, Bologna 1969, pp. 72-75; G. Giorgetti, Contadini e proprietari nell’Italia moderna, Torino 1974, pp. 108, 113, 291, 355; A. Bignardi, Bonifiche e boschi bolognesi nel trattato del T., in Il Carrobbio, IV (1978), pp. 75-83; Id., Le campagne emiliane nel Rinascimento e nell’Età barocca, Sala Bolognese 1978, pp. 41, 45, 60, 62, 65 s., 98 s., 111, 113, 118 s., 163, 172, 192-194, 220 s., 225, 253-317; R. Finzi, Monsignore al suo fattore, Bologna 1979, ad ind.; E. Casali, Il villano dirozzato, Firenze 1982, ad ind.; C. Poni, Fossi e cavedagne benedicon le campagne, Bologna 1982, ad ind.; J.K. Laurent, The peasant in italian agrarian treatises, in Agricultural history, LVIII (1984), pp. 565-583 (in partic. pp. 578 s., 582); A. Saltini, Storia delle scienze agrarie, I, Bologna 1984, pp. 316, 399, 500-517, II, 1987, ad ind., III, 1989, ad ind., IV, pp. 106 s.; M. Berengo, Le origini settecentesche della storia dell’agronomia italiana, in L’età dei lumi. Studi storici sul Settecento europeo in onore di Franco Venturi, Napoli 1985, pp. 863-890 (in partic. pp. 869, 877 s., 886-890); R. Giudici, V. T., in Scritti teorici e tecnici di agricoltura, a cura di S. Zaninelli, I, Milano 1989, pp. 367-411; M. Ambrosoli, Scienziati, contadini e proprietari, Torino 1992, pp. 27, 60, 270; P. Camporesi, La terra e la luna, Milano 1995, ad ind.; A. Saltini, Per la storia delle pratiche di cantina, in Rivista di storia dell’agricoltura, XXXVIII (1998), 2, pp. 27-60 (in partic. pp. 29-31); R. Finzi, Canapa e stratificazione sociale nelle campagne bolognesi (secoli XVII-XIX), in Una fibra versatile. La canapa in Italia dal Medioevo al Novecento, a cura di C. Poni - S. Fronzoni, Bologna 2005, pp. 17-39 (in partic. pp. 17-24, 31, 37-39); M. Ambrosoli, L’agronomia emiliana da Pier de’ Crescenzi a Filippo Re. Realizzazioni e contraddizioni nel contesto italiano ed europeo, in Schede umanistiche, XIV (2007), 1, pp. 17-48 (in partic. pp. 30-40); A. Battistini, Dalla gran selva della terra alla geometria dei campi arati. Ragioni scientifiche e letterarie della scrittura agronomica, in Esperienze letterarie, XXXIII (2008), 2, pp. 3-28; Storia di Bologna, diretta da R. Zangheri, III, 1, Istituzioni, forme del potere, economia e società, a cura di A. Prosperi, Bologna 2008, ad ind., III, 2, Cultura, istituzioni culturali, chiesa e vita religiosa, a cura di A. Prosperi, 2008, ad indicem.