TAMAGNI, Vincenzo
‒ Nacque il 10 aprile 1492 a San Gimignano (Siena) da Bernardo di Chele, membro di una famiglia di proprietari terrieri (Castrovinci, 2017, p. 16); nulla è noto riguardo alla madre.
La sua formazione avvenne prima nella città natale con Giovanni Cambi e poi a Siena con Giovanni Antonio Bazzi detto il Sodoma, con cui tra il 1505 e il 1506 avrebbe collaborato agli affreschi con Storie di s. Benedetto nel chiostro grande dell’abbazia di Monteoliveto Maggiore ad Asciano (Siena), dove gli si attribuisce anche il tondo con la Madonna con il Bambino e s. Bernardo Tolomei nella saletta della foresteria (ibid., pp. 17 s., 133, n. 1). Nel 1506 ottenne l’incarico di decorare lo scrittoio dell’ospedale di S. Maria della Croce a Montalcino (Siena), una tra le più ricche istituzioni filantropiche della città.
Completato nel 1507, il ciclo a fresco è incentrato su Uomini e donne illustri e personaggi biblici, quasi tutti inseriti entro nicchie alla stregua di statue classiche a eccezione di Giosuè e della Madonna con il Bambino incoronata da due angeli tra i ss. Girolamo e Gregorio (Guerrini, 1991; Castrovinci, 2017, pp. 27 s., 134, n. 2). Parti integranti del ciclo sono il fregio con grottesche e le finte tarsie con libri, calamai e altri strumenti per la scrittura, elementi che mostrano puntuali riscontri iconografici con le tarsie di Giovanni da Verona nel coro di Monteoliveto (Guerrini, 1991, p. 28).
Il suo primo soggiorno a Roma risale verosimilmente al 1508-09, al seguito del Sodoma, attivo nella stanza della Segnatura in Vaticano sin dall’ottobre del 1508 (Castrovinci, 2017, p. 22). Le loro strade si sarebbero però separate nel 1511, quando Tamagni fu incarcerato a Montalcino per un debito contratto con il maestro vercellese: costretto il 7 giugno a pronunciare una confessione pubblica per essere liberato, l’artista fu anche obbligato a restituire al collega l’ingente somma di 25 ducati d’oro (p. 25). Tra il 1510 e il 1512 dipinse gli affreschi con la Natività della Vergine, lo Sposalizio della Vergine, S. Nicola di Bari, Domine, quo vadis?, la Caduta di Simon Mago, la Vocazione di s. Pietro e la Pesca miracolosa (quest’ultimi due perduti) per la chiesa di S. Francesco a Montalcino, scene che ancora denotano uno stretto legame con la pittura quattrocentesca (Bartoli, 1988, p. 848; Castrovinci, 2017, pp. 32 s., 136 s., n. 6).
Tra il 1515 e il 1516, durante il papato di Leone X, dovette partecipare alla decorazione della loggetta e della stufetta nei palazzi vaticani, il cui progetto era stato affidato dal cardinale Bernardo Dovizi da Bibbiena a Raffaello Sanzio e alla sua bottega. Nella loggetta, in particolare, gli sono stati ascritti gli affreschi con due Figure muliebri danzanti nella lunetta sopra la porta d’ingresso e con tre Putti alati con cornucopia sopra la greca del soffitto (Dacos, 1976, p. 49; Castrovinci, 2017, pp. 37, 137 s., n. 7). Nel 1516 eseguì con Giovanni da Spoleto gli affreschi con Storie della Vergine, dell’infanzia di Cristo e di santi nell’abside di S. Maria in Arrone (Terni), in cui appare evidente l’influsso delle opere romane di Raffaello (Sapori, 1987, pp. 551 s.; Castrovinci, 2017, pp. 37 s., 138, n. 8).
Nell’estate del 1517 è ancora documentato a Roma al servizio di Raffaello, nella cui folta schiera di aiuti (tra i quali Giovanni da Udine, Giulio Romano, Giovan Francesco Penni, Perin del Vaga e Polidoro da Caravaggio) fu impiegato per decorare le logge di Leone X nei palazzi vaticani (Dacos, 2008, passim; Castrovinci, 2017, pp. 42 s., 138 s., n. 9). In questa impresa decorativa, caratterizzata da quattro episodi biblici nella volta di ciascuna delle tredici campate, gli è stato attribuito il riquadro con la Consacrazione di Salomone nella dodicesima volta, contrassegnato da «goffaggine» (Dacos, 2008, p. 258) e dal tentativo di «uniformarsi ai suoi compagni» più talentuosi (Castrovinci, 2017, p. 44). Al 1517-19 risale l’impegno per la villa del banchiere senese Agostino Chigi alla Lungara, edificata da Baldassarre Peruzzi e nota come la Farnesina da quando fu acquistata nel 1579 dal cardinal Alessandro Farnese. Lì l’artista poté nuovamente misurarsi con gli allievi di Raffaello, prendendo parte nella sala delle Prospettive all’esecuzione del fregio a fresco con quindici scene tratte dalle Metamorfosi di Ovidio (pp. 45 s., 139 s., n. 10). In questi anni, come ricordato da Giorgio Vasari, Tamagni avrebbe affrescato nel rione di Borgo le facciate del palazzo di Giovanantonio Battiferri, alludendo al suo casato con «i Ciclopi che battono i fulmini a Giove et in altra parte Vulcano che fabrica le saette a Cupido», scene dipinte su cartoni preparatori di Raffaello, e di un palazzo di fronte a quello di Giovanni Battista Branconi dell’Aquila, decorando anche le facciate di un palazzo a S. Luigi dei Francesi con «la morte di Cesare et un trionfo della Giustizia et in un fregio una battaglia di cavalli fieramente e con molta diligenza condotti», e del palazzo di Guglielmo Epifani scrittore di Curia in piazzetta dei Chiavari con un Corteo dei magi (Vasari, 1568, 1976, p. 264; Castrovinci, 2017, pp. 46 s.).
«Quasi obbedendo alla consegna interiore di un’indole invincibilmente vernacolare, al limite del rustico», come è stato scritto (Bartoli, 1988, p. 848), nei primi anni del terzo decennio Tamagni dipinse alcune opere pressoché immuni dalla lezione classica appresa nella grande fucina romana, come testimoniano la Madonna in trono con il Bambino e i ss. Benedetto, Giovanni Battista, Giovanni Gualberto e Girolamo (1522) e la Natività della Vergine (1523), entrambe a San Gimignano rispettivamente in S. Girolamo e in S. Agostino (chiesa, quest’ultima, per cui avrebbe affrescato anche un’Adorazione della Croce e un Compianto sul Cristo morto), nonché l’Assunzione della Vergine nella chiesa di Badia a Isola, l’affresco con S. Caterina da Siena guarisce Matteo Cenni nell’oratorio di S. Caterina a Siena e la Madonna con il Bambino e santi nella parrocchiale di Pomarance (Pisa), firmata e datata 1525 (Pouncey, 1946; Castrovinci, 2017, pp. 60 s., 142-153, nn. 14-15, 18-19, 21-22).
Risale alla metà del terzo decennio un nuovo soggiorno romano del pittore, impegnato nelle decorazioni della villa sul Gianicolo del datario papale Baldassarre Turini (oggi villa Lante) e della sagrestia di S. Pietro in Vincoli per il cardinale Alberto di Brandeburgo (Dacos, 1976, pp. 46-48; Castrovinci, 2007; Ead., 2017, pp. 77, 159-161, n. 30), ma anche con lo Sposalizio della Vergine oggi alla Galleria nazionale d’arte antica di palazzo Barberini, opera firmata e datata 1526 affine alla maniera di Domenico Beccafumi (Bartoli, 1988, p. 849; Castrovinci, 2017, pp. 79, 158 s., n. 29). Elogiato da Vasari come frescante di facciate di palazzi, genere in cui eccelleva al pari di Maturino da Firenze e Polidoro da Caravaggio, Tamagni possedeva una «maniera diligentissima, morbida nel colorito, e le figure sue erano molto grate nell’aspetto» (Vasari, 1568, 1976, p. 264).
Sconvolto dal sacco perpetrato dai lanzi imperiali nel 1527, Tamagni avrebbe fatto ritorno a San Gimignano, dove, «fra i disagi patiti e l’amore venutogli meno delle cose dell’arti, essendo fuor dell’aria che i begli ingegni alimentando fa loro operare cose rarissime, fece alcune cose, le quali io mi tacerò per non coprire con queste la lode et il gran nome che s’aveva in Roma onorevolmente acquistato. Basta che si vede espressamente che le violenze deviano forte i pellegrini ingegni da quel primo obietto e li fanno torcere la strada in contrario» (p. 265). La qualità più scadente che caratterizza alcune opere dipinte dal pittore dopo il sacco di Roma, come ad esempio l’Incontro di Anna e Gioacchino in S. Salvatore a Istia d’Ombrone (Grosseto), firmato e datato 1528 (Bartoli, 1988, p. 849; Castrovinci, 2017, pp. 86 s., 168, n. 38), sarebbe dovuta al «grave choc psicologico» che ne aveva prosciugato la vena creativa in seguito a quell’immane tragedia (Chastel, 1983, p. 158).
Artista eclettico, abile disegnatore (Popham, 1940; Rust, 1968; Mariano, 2010; Castrovinci, 2017, pp. 181-222, nn. 49-100), Tamagni morì nella sua città intorno al 1530, «essendo vivuto sempre poco lieto dopo la sua partita di Roma» (Vasari, 1568, 1976, p. 265).
Fonti e Bibl.: G. Vasari, Le vite... (1568), testo a cura di R. Bettarini, commento secolare a cura di P. Barocchi, IV, Firenze 1976, pp. 263-265; A.E. Popham, Some drawings by V. T. da San Gimignano, in Old master drawings, XIV (1940), pp. 44-46; P. Pouncey, V. T. at Siena, in The Burlington Magazine, LXXXVIII (1946), pp. 3-8; D.E. Rust, The drawings of V. T. da San Gimignano, in Report and studies in the history of art, II (1968), pp. 71-93; N. Dacos, V. T. a Roma, in Prospettiva, 1976, n. 7, pp. 46-51; A. Chastel, Il sacco di Roma 1527, Torino 1983; G. Sapori, V. T. e Giovanni da Spoleto, in Baldassarre Peruzzi. Pittura, scena e architettura nel Cinquecento, a cura di M. Fagiolo - M.L. Madonna, Roma 1987, pp. 551-568; R. Bartoli, T., V., in La pittura in Italia. Il Cinquecento, a cura di G. Briganti, II, Milano 1988, pp. 848 s.; R. Guerrini, V. T. e lo scrittoio di Montalcino, Siena 1991; L. Ventura, La Madonna del Rosario di V. T. nella chiesa di San Biagio in Finalborgo. Esaltazione e superbia dinastica dei del Carretto, marchesi di Finale, in Mitteilungen des Kunsthistorischen Institutes in Florenz, XXXVIII (1994), pp. 98-117; R. Castrovinci, La sacrestia di S. Pietro in Vincoli. Polidoro da Caravaggio e V. T., in Storia dell’arte, 2007, n. 118, pp. 9-30; N. Dacos, Le Logge di Raffaello. L’antico, la Bibbia, la bottega, la fortuna, Milano-Città del Vaticano 2008; F. Mariano, I disegni di V. T.: aggiornamenti e nuove considerazioni, in Grafica d’arte, XXI (2010), 83, pp. 14-19; R. Castrovinci, V. T. da San Gimignano. Discepolo di Raffaello, Roma 2017.