SULIS, Vincenzo (Vincenzo Simone Salvatore)
– Nacque a Cagliari, il 29 ottobre 1758, da Antonio e da Lucia Mura.
Avviato agli studi, presto li interruppe per darsi a un’esistenza scapestrata, non di rado condotta oltre i limiti della legge, tanto da subire una breve carcerazione. Tornato in libertà, praticò diversi mestieri fino a trovare una vita stabile; conseguì il titolo di notaio e, il 9 luglio 1789, si sposò con Vincenza Zedda. Tuttavia, questa breve parentesi di tranquillità seguita alle peripezie della giovinezza si interruppe quando, il 23 dicembre 1792, i vascelli francesi comparvero nel Golfo di Cagliari.
La Sardegna era legata al Piemonte dal 1720, in un rapporto diseguale che aveva suscitato non poco malcontento, culminato nella percezione di inerzia dei piemontesi di fronte alla minaccia rappresentata dalla flotta francese.
Al tentativo di invasione dell’isola i ceti dirigenti sardi reagirono, in qualche modo rivendicando un potere decisionale autonomo e contestando il governo sabaudo. I nobili, il clero e gli strati popolari della città di Cagliari e del contado trovarono in quella circostanza la coesione che, nel 1793, consentì di fronteggiare gli invasori e di respingerli. Forti del successo ottenuto, l’anno seguente i sardi si sollevarono e allontanarono dall’isola i piemontesi.
Questi eventi crearono le condizioni che consentirono a Sulis di affermare pubblicamente la sua personalità indossando i panni del comandante di una sorta di milizia popolare, armata e da lui stipendiata.
Egli «si impose per le doti di coraggio e per il prestigio che gli derivava dalla posizione economica» (Orrù, 1965-1966, p. 7); seppe regolare la furia popolare durante i moti che portarono alla cacciata dei piemontesi; ebbe ruoli politici di primo piano, schierandosi contro il moto antifeudale di Giovanni Maria Angioy (1796); fu un «tribuno popolare» amato e seguito da quello che egli avrebbe definito il «popolaccio indomito».
Una tale somma di potere nelle mani di un privato cittadino che, in virtù del proprio ascendente, comandava armati, guidava le folle, prendeva decisioni politiche, stabiliva se e come i Savoia potessero sbarcare in Sardegna, e, per giunta, era oggetto di lusinghe diplomatiche da parte di potenze straniere, indubbiamente non doveva tornare gradita ai sovrani sabaudi che il 3 marzo 1799 giunsero a Cagliari, divenuta sede regia dopo la perdita del Piemonte a causa dell’occupazione francese.
Nel giro di soli sei mesi un accorto lavorio privò Sulis del sostegno fornitogli dai suoi seguaci. Egli stesso, incapace di comprendere le sottigliezze della politica, contribuì alla propria rovina rifiutando l’incarico di console a Smirne, che gli avrebbe consentito un’onorevole uscita di scena. Il 9 settembre 1799 venne accusato di avere organizzato una congiura antimonarchica; Carlo Felice, allora governatore del Capo di Cagliari, offrì per la sua cattura una taglia di 500 scudi. L’arresto, con l’accusa di «voler uccidere i principi reali in una progettata visita alla tonnara di Portoscuso» (Sotgiu, 1984, p. 224), avvenne il 14 settembre, a bordo di una feluca sulla quale Sulis sperava di allontanarsi da Cagliari per trovare la salvezza in Corsica.
L’accusa era infondata. Tale apparve allo storico Francesco Loddo Canepa che nel 1929 ritrovò le carte del processo e le studiò, notando la vaghezza dei capi di imputazione, l’imprecisione e la dubbia personalità dei testi a carico, lo scarso spazio concesso alla difesa che, invece, presentava testimoni degni di stima e affidabili. Un processo politico, dunque, e dall’esito ampiamente scontato.
L’imputato scampò la pena capitale solo per l’opposizione di un giudice, Gavino Nieddu; ma, il 20 gennaio 1800, fu condannato al carcere a vita. La sua carcerazione si concluse soltanto il 24 luglio 1820, con la grazia concessa dal sovrano.
Di là da qualche minima discrepanza sulle date, la narrazione del racconto autobiografico trova riscontro nei documenti che comprovano un primo tentativo di evasione avvenuto nel giugno del 1801; l’ulteriore restrizione applicatagli, con la catena ai piedi e (forse) anche al collo; la richiesta di divorzio avanzata nel 1808 dalla moglie Vincenza Zedda; la finta apoplessia del gennaio del 1811 per la quale il detenuto fu sottoposto ai trattamenti del dottor Albesini; il trasferimento da Alghero a Sassari nel mese di marzo dello stesso anno; l’evasione (avvenuta nella notte tra il 26 e il 27 dicembre 1811) e il suo rientro in carcere segnalato con lettera del conte Giuseppe Alessandro Thaon di Revel, governatore di Sassari, datata 13 gennaio 1812. Infine, dopo otto anni di silenzio (nel racconto autobiografico come nei documenti), finalmente la grazia.
Una volta libero, l’ex carcerato si stabilì in Alghero dedicandosi al commercio di cereali e in quella città fu sorpreso dai tumulti scoppiati nel marzo del 1821. Gli atti processuali scagionano Sulis, che era stato sospettato d’aver avuto qualche parte nella sommossa, forse addirittura ispirandola: certo è che egli si trasferì da Alghero a Sassari dove suscitò le preoccupazioni del governatore Antonino Grondona, il quale lo rispedì prontamente indietro.
Per quanto anziano e probabilmente poco interessato ai sommovimenti politici, Sulis era insomma un personaggio che le pubbliche autorità continuavano a vedere con sospetto e preoccupazione. Nicolò Paliaccio Di Suni, governatore di Alghero, lo fece ritornare a Sassari e in quella città venne arrestato, trasferito nel forte San Vittorio alla Maddalena, detenuto per nove mesi, al buio e incatenato.
Chiarita finalmente la sua estraneità ai fatti imputatigli, venne rimesso in libertà, con l’obbligo di risiedere nell’isola La Maddalena, dove visse dal 31 dicembre 1821 fino alla morte avvenuta il 15 febbraio 1834.
In quell’esilio – ove finì vecchio, infermo e privo di sostentamento economico, essendo stato finanziariamente rovinato dalle persecuzioni subite – Sulis avviò l’ultima impresa consistente nella stesura di un affascinante racconto autobiografico.
Alla scrittura fu spinto dalla sollecitazione di Pasquale Tola, il futuro autore del Dizionario biografico degli uomini illustri di Sardegna (1837-1838) e del Codex diplomaticus Sardiniae (1845), che una tempesta costrinse nel porto della Maddalena, mentre navigava da Porto Torres a Genova (gennaio del 1829). Durante l’imprevista sosta, Tola ebbe modo di conversare con Sulis, restando colpito dalla «molta esattezza, e minutezza» (Tola, 1839, p. 3) dei suoi racconti e gli chiese di scrivere la storia della propria vita. Negli anni successivi, tra il 1832 e il 1833, il vecchio inviò a Tola la sua autobiografia. I tempi erano calamitosi, lo stesso Tola sospettato; un suo fratello, Efisio, accusato di essere mazziniano, fu condannato alla pena capitale e fucilato a Chambéry nel 1833. Non sarebbe stato prudente esibire lo scritto di Sulis e Tola fu cauto; non solo non pubblicò, ma neppure disse di avere fra le sue carte il manoscritto: «Custodii gelosamente questo MS autografo del Sulis, né mai dissi ad alcuno di possederlo, perché correvano tristi tempi per la Sardegna, e i giovani, che mostrassero ingegno, e sensi liberali, erano chiamati dalle Autorità, e notati dal Governo col nome, e colla qualità di framassoni, ed erano per giunta spiati, e perseguitati» (ibid.). Alla sua morte, avvenuta nel 1874, Tola lasciò in eredità alla città di Sassari i «fascicoli, o quaderni» inviatigli dalla Maddalena. Tuttavia se ne servì, come egli stesso afferma, per compilare la voce del Dizionario biografico dedicata a Sulis, e dopo di lui se ne servirono studiosi e letterati: Loddo Canepa ha mostrato come il manoscritto autobiografico fosse noto agli studiosi di storia nell’Ottocento e nei primi decenni del Novecento; per quanto riguarda i letterati, si possono citare i nomi di Antonio Bacaredda e Michele Operti che, entrambi nel 1871, licenziarono due opere narrative rispettivamente intitolate Vincenzo Sulis: bozzetto storico e Vincenzo Sulis, alla cui elaborazione la lettura del manoscritto un qualche contributo deve aver dato.
Fonti e Bibl.: V. Sulis, manoscritto autografo, 1832-1833 (poi in Id., Autobiografia, a cura di G. Marci, Cagliari 2004; reperibile anche presso https://www.filologiasarda.eu/pubblicazioni/libro.php?sez=34&id=746, 26 gennaio 2019); P. Tola, Nota al manoscritto di V. S. (1839), in V. Sulis, Autobiografia, cit., pp. 3 s.; L. Ortu, V. S. e la Sardegna sabauda, ibid., pp. LXXXVII-CLXXXIII. Si vedano, inoltre: F. Loddo Canepa, V. S. nel suo processo e nella sua prigionia, in Il Nuraghe, s. 2, VII (1929), 78, 79, 82, 83; T. Orrù, I Musio, accusatori, giudici e critici di V. S., in Nuovo bollettino bibliografico sardo, X (1965-1966), 57-58; G. Sotgiu, Storia della Sardegna sabauda, Bari 1984, ad indicem.