STORONI, Vincenzo
(Enzo). – Nacque a Roma il 12 dicembre 1906, secondogenito di Emilio (1871-1958), allora avvocato di Cassazione, e di Ostilia Falcioni (1880-1940) casalinga. Il padre, originario di Pergola (oggi nella provincia di Pesaro Urbino), era un professionista e politico stimato; la madre si sarebbe distinta nella Grande Guerra come crocerossina.
Enzo e la sorella Lina (nata il 2 aprile 1902) studiarono al liceo-ginnasio Ennio Quirino Visconti, proseguendo gli studi all’Università La Sapienza di Roma: Lina alla facoltà di lettere e filosofia, Enzo a quella di giurisprudenza.
La storia di famiglia s’innesta, politicamente e socialmente, nella più ampia vicenda delle Marche di metà Ottocento dove i due rami, paterno e materno, si erano singolarmente intrecciati. Il nonno Vincenzo Storoni – notaio, assessore e sindaco (1898-99) di Pergola – sposato nel 1870 con Adele Primavera, rimase vedovo nel 1878 con un figlio, Emilio; nel 1899 si unì con solo rito religioso ad Annetta Marini, anche lei vedova con una figlia, Ostilia. Quando i due ragazzi si conobbero, avvenne che s’innamorarono e si sposarono.
Emilio, che aveva studiato giurisprudenza a Roma, aprì nella capitale un proprio studio: si occupò di civile e penale, fu curatore fallimentare, consigliere dell’Ordine degli avvocati e divenne deputato, nel 1913, come liberale «indipendente» nel collegio di Cagli. Attivo nella vita parlamentare fino al 1919, presiedette la Lega nazionale dei prigionieri di guerra e dispersi (impegnandosi per il rientro di questi dai campi d’internamento tedeschi e austriaci); fu voce critica della riforma elettorale del 1919, anno nel quale si ricandidò senza fortuna (e così nel 1921). Dopo il 1922 lasciò la politica. Nel 1924 fondò La settimana della Cassazione (rivista diretta, in seguito, con Giovanni Battista Bertone). Tra i legali del duca Pietro d’Acquarone e poi di Casa Savoia, presiedette la II sezione della Commissione centrale di epurazione nel 1945 e fu nella Commissione per l’elaborazione del progetto di legge elettorale politica per la Costituente (cfr. Piretti, 1995, p. 328).
Appena laureato, Enzo iniziò, come civilista, nello studio del padre accreditandosi presto nel mondo forense. Nel 1931 sposò Lidia Mazzolani (1911-2006), figlia dell’avvocato e deputato repubblicano Ulderico; Lidia, all’epoca laureanda, divenne una fine latinista e si sarebbe affermata come scrittrice e traduttrice. Dal matrimonio nacquero Paola (1933) e Anna Marina (1939).
Nel luglio del 1930, intanto, la sorella Lina aveva sposato l’avvocato civilista Gino Sotis (1902-1960), ma il 24 aprile 1944 morì nel dare alla luce la terza figlia – dopo Donatella e Viviana –, chiamata Lina. Quando Sotis scomparve, Lina, in quanto ‘persona di minore età’, fu data in affidamento pupillare allo zio Enzo.
Durante gli anni Trenta, Storoni – mai iscritto al Partito nazionale fascista – tenne una posizione defilata dedicandosi alla libera professione, ma l’ampia rete parentale e amicale gli consentì importanti entrature. Come il padre fu tra i legali del duca Pietro d’Acquarone – amministratore, finanziere, senatore e poi ministro della Real Casa (1939-44) – e di Casa Savoia, ruolo che permise a Storoni di seguire le vicende di quegli anni da un osservatorio privilegiato.
Quando alla fine del 1942 i partiti iniziarono a riorganizzarsi, fu nel drappello dei liberali – con Leone Cattani, Manlio Lupinacci, Manlio Brosio, Giustino Arpesani, Nicolò Carandini, Mario Ferrara – che, raccolto attorno al giornale La Ricostruzione, avviò contatti con il re. Grazie all’assiduo rapporto con d’Acquarone contribuì a far giungere al sovrano le voci degli antifascisti e le richieste di una pace separata con gli Alleati e a far incontrare il re con alcuni esponenti politici del mondo liberale (Vittorio Emanuele Orlando, Ivanoe Bonomi, Alessandro Casati, Marcello Soleri).
Nel suo memoriale, scritto tra il settembre del 1943 e il giugno del 1944, Storoni rievoca la condizione d’isolamento dei liberali antifascisti nel 1940 e, più in generale, le distanze esistenti nel variegato mondo antifascista; riconosce le titubanze e le responsabilità del re, ma non esita a individuare nella monarchia l’artefice del colpo di Stato contro Mussolini, la sola autorità ancora munita d’indiscutibile ascendente sull’esercito e capace di agire legalmente.
Dopo la caduta di Mussolini (25 luglio 1943) Storoni fu nominato commissario della Confederazione dei commercianti ma, dopo l’8 settembre, a causa dell’occupazione nazista, dovette abbandonare Roma. Costretto a nascondersi in un convento a Ceccano (nei pressi della capitale), si rifugiò poi in casa di amici a Roma sino alla liberazione della città, nel giugno del 1944. Subito chiamato come assessore ai lavori pubblici nella giunta capitolina – inclusiva pure del suocero azionista Ulderico Mazzolani – ricostituita dagli Alleati e affidata a Filippo Andrea Doria Pamphili, si dimise in agosto. Accettò invece la nomina di vicecommissario dell’Alto Commissariato per l’alimentazione (18 gennaio 1945) con il compito di provvedere agli approvvigionamenti e agli scambi interregionali; fu inoltre sottosegretario al ministero dell’Industria con delega al Commercio nel governo Parri (giugno-dicembre 1945) e nel governo De Gasperi (dicembre 1945-luglio 1946), prima nello stesso ministero, poi in quello del Commercio con l’estero. Svolse diverse missioni all’estero (Polonia, Cecoslovacchia, Stati Uniti), per trattare i rifornimenti di materie prime indispensabili al Paese e segnatamente di carbone; durante quelle missioni agì anche da tramite informativo per il Comitato ricerche deportati ebrei in Polonia. Contestualmente cercò di affrontare la cruciale questione della ripresa degli scambi, stante l’impossibilità per l’Italia di tornare, almeno nell’immediato, a un regime di piena libertà.
Interrogato sul tema, nel marzo del 1946, dalla Sottocommissione per la moneta e il commercio con l’estero (istituita dal ministero per la Costituente), Storoni evidenziò le contraddizioni comportamentali degli Stati Uniti, sostenitori in teoria della libertà di mercato, ma avversi nella pratica alle esportazioni italiane in America; indicò nel mantenimento delle sovrastrutture belliche di controllo sugli scambi un ostacolo allo sviluppo del commercio estero.
Alieno da dogmatismi, denunciò i limiti dell’azione economica italiana, stigmatizzò i conflitti tra ministero del Commercio con l’estero e ministero dell’Industria (l’uno orientato in senso liberista, l’altro in senso protezionista), sostenne la priorità delle importazioni e della ripresa di rapporti commerciali, contrastò l’introduzione di un’imposta straordinaria e di nuove statizzazioni ma riconobbe la centralità dell’intervento dello Stato nell’impedire storture.
Nel dopoguerra i coniugi Storoni, la repubblicana Lidia e il monarchico Enzo – sempre residenti in lungotevere degli Altoviti – riallacciarono i contatti con personalità della cultura e della politica: Luigi Albertini, Francesco Ruffini, Carandini, Cattani, Benedetto Croce. Dal 1944 al 1948 Enzo collaborò come giornalista pubblicista al quotidiano Il Risorgimento liberale, ma molto importante fu la partecipazione alla nascita e alla prima fase del settimanale Il Mondo di Mario Pannunzio (febbraio 1949-ottobre 1952).
Come già sul quotidiano, al settimanale di politica e letteratura, punto di riferimento per la cultura laica dell’epoca, Storoni affidò molte analisi e riflessioni sui temi che veniva nel frattempo affrontando sul piano dell’attività politico-istituzionale: dagli aiuti ERP (European Recovery Program), ai compiti dell’OECE (Organizzazione Europea di Cooperazione Economica), dalle questioni doganali e monetarie a quelle delle corporazioni e dei prezzi, dalla riforma elettorale, alla concorrenza e alla giustizia fiscale.
Membro del Partito liberale italiano (PLI) – attorno al quale ruotò la sua vita politica – Storoni non fu mai deputato (mancò l’elezione nel 1953 e nel 1963). Nel 1948, avverso all’alleanza elettorale con il Fronte dell’uomo qualunque, lasciò il PLI per aderire poco dopo al Movimento liberale indipendente che – fondato da Carandini, Ferrara, Cattani, Francesco Libonati e Panfilo Gentile – raccolse i liberali di sinistra decisi a formare un unico soggetto politico con le forze riformiste di centro. Con l’uscita di scena di Roberto Lucifero e l’arrivo alla segreteria di Bruno Villabruna, rientrarono poi tutti nel PLI nel Convegno per l’unificazione delle forze liberali (Torino, 7-8 dicembre 1951). Nei mesi immediatamente precedenti favorì l’avvicinamento al Partito dell’amico Giovanni Malagodi e, pochi giorni dopo quel convegno, ne sostenne, con Alighiero De Micheli e Villabruna, la candidatura nel collegio di Milano. Al VI Congresso liberale di Firenze, del gennaio 1953, Storoni fu nella Commissione economica presieduta da Malagodi – alla prima apparizione pubblica – e, fra l’agosto del 1952 e il settembre del 1953, nel gruppo di lavoro che, nell’ambito della Commissione parlamentare d’inchiesta sulla disoccupazione, si occupava di movimenti internazionali di lavoro.
Nel frattempo però, candidato alle elezioni amministrative del Comune di Roma del maggio 1952, divenne uno dei sei consiglieri eletti per il PLI. Iniziava così per lui una nuova stagione.
La capitale era guidata da Salvatore Rebecchini (novembre 1947-luglio 1956) con la giunta del quale – sostenuta da liberali, repubblicani e socialdemocratici – si era affermata a Roma l’egemonia democristiana. Nel 1953, a seguito delle dimissioni dell’amico Cattani, Storoni fu indicato come assessore all’urbanistica. Accettò l’incarico con forti esitazioni, per l’assenza di specifiche competenze in materia e per l’esistenza di problemi più generali legati al quadro nazionale emerso dalle elezioni amministrative e politiche del maggio-giugno 1952 e alla delicatezza di un incarico che prevedeva la realizzazione del nuovo piano regolatore cittadino a venticinque anni di distanza dal precedente. La scadenza nel 1955 del piano del 1931, da un lato, e la designazione di Roma come sede delle Olimpiadi del 1960, dall’altro, avevano dato il via a molte iniziative affaristiche con la Società generale immobiliare protagonista. I rischi di un nuovo ‘sacco di Roma’, come fu definito, furono evidenti nel fervore di attività del periodo, fatto di opere pubbliche e speculazioni private, di aspre liti e gravi accuse, alimentate da inchieste giornalistiche sul dilagare della corruzione nell’amministrazione romana che, pur senza ricadute giudiziarie sulla giunta, avrebbero posto fine all’esperienza politica di Rebecchini.
Il compito di Storoni fu duro e sofferto. Fin dai primi interventi rilevò la gravità della situazione (lottizzazioni in violazione del piano del 1931 e prive di autorizzazioni, latitanza e tolleranza del Comune e altro); nel dicembre del 1953 tenne una densa relazione in Consiglio denunciando la grave speculazione sulle aree fabbricabili e avanzando la proposta di una tassa sulle stesse; nel 1954 – mentre dalle pagine del Mondo partiva una campagna contro gli scempi perpetrati sull’Appia antica – propose la sospensione di tutte le licenze di costruzione sulla via, ma non poté andare molto oltre. Gli originari progetti furono via via stravolti a vantaggio della rendita fondiaria e l’attivismo dei grandi immobiliaristi prevalse sulla lentezza operativa dell’amministrazione. Resse l’incarico fino al 1956, approntando, senza grande fortuna, provvedimenti contro l’abusivismo edilizio nelle periferie.
Poco più di un decennio di esperienze, relazioni e responsabilità consentirono a Storoni di maturare competenze in campo economico e, staccandosi dall’ombra paterna, di costruirsi un proprio profilo.
Nominato nel 1956 esperto in materia finanziaria e industriale all’IRI (Istituto per la Ricostruzione Industriale) fu confermato nel 1959 e, ancora negli anni a venire, fu membro del Comitato di presidenza e del Consiglio di amministrazione. Nel gennaio del 1964 – a seguito della liquidazione coatta amministrativa della SFI-Società finanziaria italiana, coinvolta in un’inquietante vicenda giudiziaria – fu uno dei commissari liquidatori nominati dalla Banca d’Italia; nell’occasione ebbe modo di collaborare con il giovane avvocato Giorgio Ambrosoli e di segnalarlo, con Tancredi Bianchi, nel 1974 per l’incarico di commissario liquidatore della Banca privata di Michele Sindona.
Nel maggio del 1973 subentrò a Bruno Visentini come vicepresidente dell’IRI rimanendovi sino alle dimissioni, nell’aprile del 1977.
Benché coerente con una riconosciuta professionalità, la nomina di Storoni all’IRI rientrava nella logica di lottizzazione politica dell’ente.
La cattiva gestione e le gravi perdite accumulate avevano reso l’IRI oggetto di attacchi, diretti e indiretti, sulla stampa e in Parlamento. Le contestazioni al vertice e alla direzione di Giuseppe Petrilli (1960-1978) crebbero negli anni Settanta. Fu Storoni a presiedere, tra il 1975 e il 1976, il Comitato tecnico consultivo per le aree di perdita che accertò la formidabile entità del disavanzo: 320 miliardi di lire (concentrati in Alitalia, Italsider, Alfasud, Cantieri navali riuniti e Terni). In un tale clima, la decisione di sciogliere l’EGAM (Ente Gestione Attività Minerarie) addossandone la gravosa eredità all’IRI – senza copertura finanziaria – indusse Storoni, duro verso la degenerazione del sistema delle partecipazioni statali, a dimettersi.
Né il Comune di Roma, né l’IRI lo allontanarono dalla politica. Contrario alla scelta compiuta a metà degli anni Cinquanta da Cattani, Pannunzio, Carandini, artefici della nascita del Partito radicale, fu parimenti critico nei confronti di una ‘terza via’. Dal 1963 vicepresidente del PLI, si mosse in lento distacco da Malagodi e dalla sua linea. Nel 1964 la discrepanza tra aumento di voti e perdita d’influenza politica del PLI, lo aveva indotto a suggerire un cambio di rotta e un’apertura a sinistra (concomitante peraltro con l’interesse del mondo imprenditoriale per un centrosinistra moderato) e a perorare la candidatura di Giuseppe Saragat a presidente della Repubblica. Pur consapevole della torsione di linea politica e del rischio di appannamento identitario, tentò di sganciare il PLI dall’immagine di partito conservatore di destra. Non a caso Malagodi, distante nelle indicazioni, ne condivise la diagnosi, persuaso, non solo da Storoni, dell’opportunità di avviare un processo di aggiornamento del liberalismo.
Dalla seconda metà degli anni Settanta Storoni svolse un’intensa attività pubblicistica (La Repubblica, Corriere della sera); apprezzò il mezzo televisivo e numerose furono le sue partecipazioni a dibattiti e tavole rotonde su temi diversi (società del benessere, energia atomica, vendite rateali, astensione elettorale, legge sul cinema e altro).
Nel 1955 era stato nominato grande ufficiale dell’Ordine al merito della Repubblica italiana.
Morì a Roma il 22 febbraio 1985.
Opere. Non esiste bibliografia dei suoi scritti, apparsi in riviste e atti di convegni; il suo memoriale, in parte pubblicato nel Mondo (1949), è stato ristampato per intero in La congiura del Quirinale (Firenze 2013), con prefazione di F. Perfetti.
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