RICCI, Vincenzo
RICCI, Vincenzo. – Nacque a Genova il 17 maggio 1803, secondogenito del marchese Gerolamo e di Maria Causa.
Fin dai suoi scritti giovanili rivelò vasti interessi classici e storici relativi in gran parte alla sua città. Visse alcuni anni di studio in Piemonte – essendo il padre intendente generale delle gabelle del Regno di Sardegna – e a Torino si laureò in legge il 19 maggio 1828; ivi conobbe, tra i molti, Vincenzo Gioberti, Riccardo Sineo e Lorenzo Valerio. Dopo lunghi anni di carriera nella magistratura come volontario gratuito, nel 1838 rifiutò una nomina presso il Senato di Casale; deluso nella speranza di ottenere a Genova una più prestigiosa carica, abbandonò l’iter intrapreso.
Estraneo, almeno fino al 1828, alle influenze mazziniane, e vicino anzi a padre Giovanni Battista Spotorno, maturò opinioni liberali dal 1830, e fu sospettato di amicizie politiche pericolose che negò decisamente. Unico membro ostile al Piemonte di una famiglia che, accettando la dinastia sabauda, ebbe cariche importanti (il fratello Alberto fu tra l’altro ambasciatore a Vienna; Giovanni ministro dopo l’Unità; Giuseppe alto ufficiale dell’esercito ed esperto studioso di geodesia), Vincenzo frequentò mazziniani quali Giovanni Battista Cambiaso e Antonio Doria, e approfondì studi amministrativi ed economici; lesse tra gli altri gli Annali di statistica, la Revue des deux mondes, la Revue britannique.
Si dedicò completamente ai problemi di Genova, ricoprendo molte cariche locali. Fu tra i fondatori e segretario degli asili infantili, conobbe le opere di Ferrante Aporti e Raffaello Lambruschini, fu in costante rapporto con Valerio. Fece parte fino al 1848 del Corpo decurionale; membro della Giunta di beneficenza, si occupò dell’Albergo dei poveri, dell’Ospedale Pammatone, dell’Istituto sordomuti, di case popolari, di molte opere pie. Lasciò scritti sulle tariffe doganali, la marina, il commercio, il sistema fiscale, le comunicazioni e stese il progetto di una ferrovia fra Genova e il confine lombardo.
Fu amico di Lorenzo Pareto, Eleonora Ruffini, dei redattori delle riviste letterarie e riformiste dell’epoca. Fondò nel 1845 le Società scientifiche, sospette e costrette allo scioglimento dalla polizia. Tramite il fratello Alberto ambasciatore a Bruxelles riprese i contatti con Gioberti e nel 1846 gli inviò un’ampia documentazione sulle malefatte dei gesuiti, utilizzata dall’abate per il Gesuita moderno. Fu relatore e protagonista all’VIII Congresso degli scienziati italiani del 1846 a Genova. L’anno successivo fece parte del Comitato dell’ordine di Giorgio Doria che rappresentò l’élite riformista della città dai moderati ai mazziniani e promosse imponenti manifestazioni per chiedere lega, guardia civica, libertà di stampa al sovrano. Sulle riforme carloalbertine dell’ottobre, Ricci fu pesantemente critico. In quella fase attraversò un momento di notevoli aperture liberali, talora vicino ai mazziniani con prese di posizioni avanzate, disapprovate dai familiari. Nel novembre figurò tra i promotori del giornale La Lega.
Il 2 gennaio 1848 fece parte di una delegazione di esponenti dell’élite genovese recatasi a Torino per chiedere riforme, che però non fu ricevuta dal re. Il 29 febbraio i gesuiti furono cacciati da Genova a furor di popolo e si formò un’autonoma guardia civica di cui fece parte come capitano. Con lo Statuto, molto criticato nell’ambiente forense genovese, fu creato il primo gabinetto costituzionale del Regno, in cui venne designato come ministro degli Interni insieme a Pareto che ebbe il portafoglio degli Esteri.
Il tentativo di appagare i genovesi perennemente irrequieti non ebbe, dopo i primi entusiasmi, il risultato sperato. Emerse un forte contrasto fra liguri e piemontesi, ostili a pericolose aperture e a un riformismo più spinto. Il programma di Ricci comprendeva epurazione del personale retrogrado, amnistia per reati politici, libertà di stampa, larga legge elettorale, armamento per una guerra ‘probabile’. Il discorso della corona fu tuttavia compilato con cautela, promettendo «ordine e libertà educata». Le leggi sugli israeliti e sulla stampa suscitarono critiche a Genova perché troppo caute. Di fronte all’insurrezione di Milano, Ricci propose un intervento immediato fidando in possibili appoggi esterni e in una mediazione internazionale. Le elezioni politiche inviarono alla Camera, con alcune eccezioni, uomini di poca esperienza e spesso modesta qualità. Il ministro sconfisse sempre i candidati avversari. E il I collegio di Genova lo rielesse per un ventennio. Solo nel 1860 rappresentò il IV collegio. Cesare Balbo e i ministri piemontesi lamentarono le irragionevoli pretese e la pratica dittatura sostituita al re da parte dei colleghi genovesi. La frattura che causò la crisi avvenne sulla fusione, dopo forti polemiche sulla condotta della guerra. Ricci e Pareto ritennero condizione necessaria alle annessioni un’Assemblea costituente con poteri politici decisionali anche sui futuri ordinamenti e sulla sede della capitale, propensi pure a un gabinetto con ministri lombardi; il che era inaccettabile per i colleghi subalpini. Ma infine Ricci, forse temendo una guerra civile e anche per pressioni nell’ambito familiare, si arrese a una proposta formulata dai moderati piemontesi. Pareto, invece, fermo nelle sue richieste uscì dal governo, aprendo la crisi. Ricci fece parte subito dopo dell’effimero gabinetto diretto da Gabrio Casati come ministro delle Finanze fino all’armistizio, senza la possibilità, in quei pochi giorni, di alcuna scelta. Ostile alla resa, e poi al governo Alfieri-Perrone, riebbe il dicastero delle Finanze a dicembre con Gioberti e infine nel governo Chiodo-Rattazzi alla ripresa della guerra.
Ereditò un bilancio in parte assestato con entrate dalla cassa di riserva, ma per gli esiti deludenti di un prestito volontario e di uno obbligatorio si ritrovò con 26 milioni in cassa e 140.000 uomini sul piede di guerra, con spese duplicate o triplicate. Cercò con insistenza a più riprese prestiti sul mercato finanziario interno e internazionale, a Torino, a Londra, a Parigi con esiti negativi. Propose, nel marzo del 1849, nuovi prestiti approvati dalla Camera, ma superati dal corso degli eventi. Tagliati i fondi a Venezia, agli stipendi, ai lavori pubblici si ritrovò il 24 marzo con meno di 5 milioni, e debiti urgenti di oltre 26. Anche le finanze incisero sulla data della ripresa della guerra.
Con la rapida sconfitta, la sua esperienza ministeriale terminò senza risultati concreti. Il marchese, da allora semplice deputato di opposizione per quasi un ventennio, fu contrario ai termini del trattato di pace, e sempre tenace difensore degli interessi di Genova, a suo parere trascurati. Il conte Camillo Benso di Cavour lo ebbe nemico implacabile, lo giudicò mediocre e ricambiò la sua avversione. Voce autorevole della sua città in Parlamento, vi intervenne su problemi del porto, del commercio, della marina, dell’economia, contro i pesi fiscali eccessivi: per questo municipalismo fu spesso votato indistintamente da moderati, democratici e cattolici.
Non è facile giudicare la sua condotta spesso contradditoria. Definì sé stesso uomo lontano dagli estremi; si destreggiò senza prese di posizione decise tra le parti evitando giudizi che avrebbero potuto comprometterlo. I Brignole Sale lo definirono nel 1849 ‘rosso’ e ‘comunista’, mentre per il fratello Alberto era invece monarchico e conservatore.
Votò alla Camera le leggi Siccardi e il matrimonio civile; avversò le leggi sui conventi, la spedizione di Crimea, il trasferimento della Marina militare, la cessione di Nizza. Fu per anni socio onorario della Consociazione operaia da cui fu poi espulso perché antagonista di Mazzini, e si rifiutò di difendere nel 1858 gli imputati per l’insurrezione del giugno precedente. Fu tra i fondatori, nel 1857, della Società ligure di storia patria che ebbe soci gli uomini migliori della cultura genovese. Nel 1859, su proposta di Urbano Rattazzi, fu nominato consigliere di Stato, membro della commissione per la legge elettorale. Nel 1860 fece parte della bertaniana società La Nazione che si contrappose alla lafariniana Società nazionale. Nelle elezioni politiche del 1865 fu fortemente appoggiato, nel I collegio di Genova, dal governo contro Mazzini: perdente al primo turno, si affermò per pochi voti nel ballottaggio. Nel 1864 non firmò l’appello per la Polonia insorta; fu ostile alla convenzione di settembre, vicino ai colleghi piemontesi della Permanente e in alcuni casi al gruppo rattazziano. Negli ultimi anni – cattolico non privo di oscillazioni secondo le circostanze – accentuò la sua fedeltà alla ‘religione naturale dell’Italia’; critico per alcuni suoi trascorsi di dubbia coerenza su alcune scelte, riconobbe anche la necessità del potere temporale del papa, e intercedette in favore di sacerdoti accusati di appoggio al brigantaggio.
Morì improvvisamente a Genova, celibe e senza figli, il 18 maggio 1868.
Fonti e Bibl.: Genova, Archivio dell’Istituto mazziniano, Carte Ricci, cart. 15-23; Archivio di Stato di Torino, Gabinetto Ministero Interni, m. 1; Ministero di Finanze, Archivio sistemato (1814-1862); Carte del Ministero di Finanze (1815-1853); Agenda generale delle Finanze (1817-1853).
Atti Parlamentari. Storia dei collegi elettorali 1848-1897. Indice generale, Roma 1898, ad indices; Bibliografia dell’età del Risorgimento in onore di A.M. Ghisalberti, I, Firenze 1971, p. 612; B. Montale, V. R. ministro degli Interni, in Genova nel Risorgimento dalle riforme all’Unità, Savona 1979, pp. 43-88; Ead., Mito e realtà di Genova nel Risorgimento, Milano 1999, ad ind.; Ead., Genova 1857. Cronaca di un anno cruciale, in Atti della Società ligure di storia patria, n.s., XLVIII (2008), 1, monografico: Politica e cultura nel Risorgimento italiano. Genova 1857 e la fondazione della Società ligure di storia patria, a cura di L. Lo Basso, pp. 35-55; Epistolario di Urbano Rattazzi, a cura di R. Roccia, I, Roma 2009, ad ind.;Camera dei Deputati, Portale storico, http://storia.camera.it/ deputato/vincenzo-ricci-18040517#nav (27 settembre 2016).