QUERINI , Vincenzo
QUERINI (Quirini), Vincenzo (in religione Pietro). – Nacque a Venezia nella seconda metà del 1478 (o forse nel 1479). Era figlio del patrizio veneziano Girolamo (quondam Baldino) e di Dandola, figlia di Antonio Dandolo. Ebbe tre fratelli, Francesco, Marcantonio e Zorzi. Insieme abitavano in un palazzo a S. Polo: viveva con loro anche lo zio Antonio Querini, che assunse la guida del casato dopo la prematura scomparsa di Girolamo.
Giovanissimo, Vincenzo si trasferì verso il 1492 a Padova, dove studiò filosofia (ebbe tra i suoi docenti Agostino Nifo) e conobbe Pietro Bembo, Gasparo Contarini, Tommaso (poi Paolo) Giustiniani e altri rampolli della migliore aristocrazia veneziana. Risalgono a questi anni le prime manifestazioni degli interessi letterari, filosofici e religiosi di Querini che, con l’amico Tommaso Giustiniani, decise nel 1501 il voto di castità con l’impegno a dedicarsi allo studio della Sacra Scrittura.
In filosofia, Querini studiò Averroè e la scolastica; grazie a un’ottima conoscenza del greco poté approfondire sulle fonti lo studio della filosofia classica. Al rapporto con Bembo e con altri amici letterati si collegano invece i suoi componimenti poetici in lingua volgare, di imitazione petrarchesca, che conobbero una buona fortuna editoriale fino alla metà del Cinquecento. Completati gli studi, nel 1502 Querini, assieme all’amico Bembo e al medico Valerio Soperchio, si recò a Roma, dove si addottorò sostenendo 4059 tesi davanti a papa Alessandro VI e ai cardinali (Conclusiones Vincentii Quirini patritii Veneti Romae disputatae, s.n.t.).
L’eco di questo successo culturale raggiunse Venezia: Querini, lasciata al fratello Zorzi la cura degli investimenti familiari nel commercio del Levante, poté quindi intraprendere precocemente la via delle cariche pubbliche. Il 16 dicembre 1504 fu eletto ambasciatore in Borgogna, per risiedere presso Filippo il Bello, erede del trono di Castiglia dopo la morte della regina Isabella. Alla fine di marzo del 1505 incontrò Filippo a Sarbrücken e rimase poi con lui per nove mesi nei Paesi Bassi. Nel gennaio del 1506 si unì al sovrano e al suo seguito nel viaggio verso la Castiglia, ma una rovinosa tempesta disperse le loro navi presso la costa inglese. Querini e una parte del seguito ripararono a Falmouth, in Cornovaglia, dove dovettero attendere due mesi prima di potersi ricongiungere a Filippo. Querini raggiunse la Castiglia assieme al re nell’aprile del 1506; vi soggiornò per tre mesi, segnalando puntualmente nei dispacci alla Serenissima i contrasti tra Ferdinando il Cattolico e il genero; a corte conobbe il letterato Pietro Martire d’Anghiera. Rientrato a Venezia nell’ottobre del 1506, quando già Filippo il Bello era deceduto, lesse al Senato la sua relazione, in cui dedicò particolare attenzione al commercio portoghese con le Indie, pronosticandone un rapido declino.
Si aprivano ora a Querini diverse scelte: secondo la testimonianza di Tommaso Giustiniani, egli aspirava già alla vita monastica; ma non aveva neppure abbandonato i suoi interessi filosofici, dato che nel 1505 concorse alla cattedra di lector in philosophia alla Scuola di Rialto. Continuava inoltre la sua prestigiosa carriera diplomatica. Il 23 ottobre 1506 fu eletto ambasciatore ordinario all’imperatore Massimiliano I, allora in contrasto con Venezia, e partì per la delicata missione il 20 febbraio 1507. A marzo raggiunse a Strasburgo l’imperatore, che subito propose alla Repubblica un’alleanza antifrancese: mossa diplomatica poi riformulata, nell’aprile, come richiesta del libero passaggio per potersi recare con il proprio esercito in Italia a sostegno di papa Giulio II. Il rifiuto prontamente opposto dalla Serenissima mise in una difficile posizione Querini, pressato dalle insistenti richieste di Massimiliano, che già accennava a possibili intese con la Francia e la Spagna contro Venezia.
Trasferitosi a fine aprile a Costanza per assistervi alla Dieta, Querini dovette comunicare all’imperatore alla metà di maggio il rinnovato rifiuto del Senato, motivato dalla ribadita fedeltà all’alleanza con il re di Francia. Questa risposta provocò la collera imperiale e suscitò violenti umori antiveneziani nella Dieta. Il 27 luglio l’imperatore chiarì che egli si sarebbe potuto accontentare della semplice concessione del libero passaggio attraverso il Dominio veneto in vista della sua incoronazione a Roma; ma al tempo stesso ingiunse all’ambasciatore di lasciare la corte e di attendere la risposta veneziana ad Augusta. Qui, nell’agosto del 1507, Querini ebbe notizia di segrete trattative allacciate fra la Francia, l’Impero e il pontefice in funzione antiveneziana. I timori di Querini circa un’imminente impresa dell’imperatore contro Venezia si accrebbero in conseguenza delle nuove risposte negative del Senato, arrivate alla fine di agosto, e delle lettere ultimative di Massimiliano, della fine di settembre. La definitiva risposta veneziana del 21 ottobre, che escluse la concessione del libero transito, rese insostenibile la posizione di Querini in Germania. Il 27 ottobre gli fu intimato di recarsi a Brunico, località che raggiunse il 5 novembre. Con ciò la sua missione si era di fatto conclusa: con il consenso del Senato, egli rientrò a Venezia il 24 novembre. Il 25 parlò in Collegio, il 26 lesse in Senato la sua relazione, un modello nel suo genere per ordine espositivo e acutezza dei giudizi.
Nulla si poteva rimproverare a Querini per l’insuccesso dell’ambasceria all’imperatore; tuttavia, il suo ardente desiderio di evitare un conflitto con Massimiliano poté dispiacere alla fazione filofrancese del patriziato. Di fatto, dopo due missioni diplomatiche così importanti, inanellò negli anni successivi una serie di ripulse da parte del Senato.
Frattanto, nel febbraio del 1508 era rientrato da un pellegrinaggio in Palestina l’amico Tommaso Giustiniani, sempre più orientato verso una qualche forma di vita religiosa. L’abitazione di Giustiniani a Murano non divenne allora la sede di un vero e proprio ‘circolo’, bensì piuttosto il centro di una rete di amicizie di giovani patrizi, variamente uniti dai comuni studi universitari padovani, dagli interessi umanistici e letterari, e anche – certamente – dall’aspirazione a una più impegnativa scelta religiosa. Tra gli amici di Giustiniani e Querini si distinguevano Paolo da Canal, che morì nel 1508 in abito camaldolese; Gasparo Contarini, che era rientrato a Venezia da Padova nel 1509; Nicolò Tiepolo e Trifone Gabriele, oltre all’umanista Egnazio (Giovanni Battista Cipelli, l’unico non patrizio). In posizione più defilata, troviamo Bembo, che in quegli anni non escludeva interamente la scelta del chiostro. Da parte loro, Giustiniani e Querini avevano deciso fin dal 1508 di dedicare un’ora al giorno alla meditazione; nel 1509 cominciarono a recitare il breviario.
Gli amici frequentavano il monastero camaldolese di S. Michele di Murano, dove stabilirono un legame di stima con Paolo Orlandini, già colto interlocutore di Marsilio Ficino e collaboratore del generale dei camaldolesi Pietro Delfino. Dopo un fallito tentativo di farsi ammettere nell’abbazia benedettina di Praglia, Giustiniani, Querini ed Egnazio manifestarono in un documento redatto il 10 maggio del 1510 (mentre Venezia era ancora nel pieno della crisi della Lega di Cambrai) la propria intenzione di entrare nell’eremo di Camaldoli, però come laici, e quindi senza l’obbligo di diventare sacerdoti e prendere i voti solenni. La proposta, che prevedeva varie deroghe alle regole dell’Ordine (soprattutto al fine di consentire una maggiore concentrazione nello studio della Sacra Scrittura, che i tre amici intendevano condurre insieme), fu sostanzialmente accolta da Delfino all’inizio di luglio.
Giustiniani partì per primo, nel luglio-agosto 1510, per visitare Camaldoli e riferire ai compagni. Si verificò però una svolta decisiva quando Giustiniani prese l’improvvisa deliberazione di fermarsi nell’eremo e di farsi eremita, rinunciando – a titolo personale – a molte delle condizioni precedentemente proposte. Ciò mise in grande imbarazzo Egnazio e Querini, che non volevano separarsi dalla loro guida spirituale, ma non furono subito persuasi della sua scelta, destinata peraltro a rivelarsi irrevocabile. Infatti Giustiniani, ritornato per qualche tempo a Venezia per sistemare i propri affari, il 6 dicembre 1510 ripartì definitivamente per Camaldoli, dove a Natale vestì l’abito e prese il nome di Paolo. Dall’eremo scrisse ripetutamente agli amici, e in particolare a Querini, per esortarli a raggiungerlo.
Nel loro carteggio Querini e Giustiniani discussero alcune questioni economiche (come la difficoltà di raccogliere la somma necessaria per trasferirsi nell’eremo, nel pieno della Lega di Cambrai), e concordarono nei particolari il matrimonio fra Zorzi, fratello di Querini, e Bianca di Donà Contarini, quondam Giovanni, nipote di Giustiniani, con una dote di 2250 ducati. Ma soprattutto dibatterono intorno alla scelta eremitica. Questa discussione, in cui intervenne anche Gasparo Contarini, convinto della vocazione monastica di Giustiniani, ma non di quella di Querini, è stata spesso letta come la riproposizione, nell’ambito dell’umanesimo cristiano, del tradizionale contrasto fra vita attiva e contemplativa. Ma dal carteggio fra Querini e Giustiniani risulta anche la cura per gli aspetti organizzativi della vita dell’eremo, incluso l’acquisto di una ricca biblioteca: il loro era infatti un eremitismo di tipo rinnovato, che recepiva dalla cultura umanistica l’attenzione filologica per la lettura della Sacra Scrittura in lingua originale. Perciò Giustiniani invitò l’amico, eccellente grecista, a studiare anche l’ebraico per tradurre dall’originale il libro di Giobbe, il Cantico dei Cantici e i Salmi (traduzioni cui Querini effettivamente si accinse, sotto la guida di un non meglio identificato ebreo veneziano; nell’eremo egli avrebbe poi composto una grammatica ebraica, Grammaticae introductionis Hebraeorum libri tres, il cui manoscritto ancora si conservava nel Settecento).
Convinto dalle lettere di Giustiniani, Querini, che pure non si era sottratto all’ennesima, sfortunata candidatura come ambasciatore a Roma o in Spagna, partì finalmente per Camaldoli nel novembre del 1511, non in compagnia di Egnazio (che abbandonò il progetto comune), ma con il patrizio veneziano Sebastiano Zorzi. Querini non poté subito fermarsi nell’eremo, a causa di una malattia: nel gennaio del 1512 soggiornò a Firenze, ben accolto dall’arcivescovo Cosimo de’ Pazzi, dagli umanisti Giovanni Corsi e Pietro Martelli e dall’amico Francesco di Zanobi Cattani da Diacceto. Ma una volta ristabilitosi egli risalì a Camaldoli, dove il 22 febbraio 1512 lui e Zorzi furono ammessi nell’Ordine camaldolese, con il nome di fra Pietro (Querini) e fra Girolamo (Zorzi). Fecero poi la solenne professione nell’agosto di quell’anno.
Giustiniani, che già aveva osservato vari difetti nella conduzione dell’eremo, si avvalse ora della collaborazione dell’esperto diplomatico Querini per promuoverne una radicale riforma: le loro critiche si rivolgevano sia al generale Delfino, che non risiedeva a Camaldoli, sia ai suoi ministri, come il romagnolo Basilio Nardi. Contro di essi Querini e Giustiniani ricorsero alla protezione della duchessa d’Urbino Elisabetta Gonzaga. Ma veramente decisivi risultarono il sostegno del cardinale Giovanni de’ Medici e l’aperta amicizia di suo fratello Giuliano (che Querini aveva conosciuto anni prima a Venezia). Trasferitisi a Firenze fin dal febbraio 1513 e sicuramente rafforzati dall’elezione papale di Leone X, avvenuta in marzo, i due camaldolesi prepararono minuziosamente la convocazione del capitolo generale dell’Ordine che, riunitosi nell’aprile del 1513 a S. Maria degli Angeli, decise di sottrarre interamente al controllo di Delfino l’eremo di Camaldoli e il vicino monastero di Fontebuono, unendoli invece alla Congregazione camaldolese e di S. Michele di Murano.
Per ottenere la ratifica pontificia di queste deliberazioni, superando le resistenze di Delfino (a sua volta sostenuto dal cardinale Francesco Soderini), il 10 maggio Giustiniani e Querini lasciarono Firenze per Roma. Il 4 luglio 1513 ottennero da papa Leone X la bolla di conferma della riforma dell’Ordine e nell’agosto ritornarono a Camaldoli, fermandosi per qualche giorno a Firenze per salutare e ringraziare Giuliano de’ Medici.
Durante il soggiorno romano, e più esattamente nel mese di luglio, i due camaldolesi avevano consegnato alla S. Sede il Libellus ad Leonem X, che poco poté incidere sui lavori del Concilio Laterano V, ma è oggi considerato uno dei più importanti documenti programmatici della riforma cattolica.
Il rinnovamento della Chiesa vi era invocato nella prospettiva di una forte riaffermazione della potestà papale. L’invito a Leone X a sottrarsi a ogni mondanità – appello ulteriormente riaffermato in un frammento del solo Querini sulla riforma della corte papale – si inseriva nella grandiosità di una visione che contemplava l’evangelizzazione dei popoli ancora pagani delle Americhe; la conversione o l’espulsione degli ebrei; la crociata contro i musulmani; il recupero dei rapporti con i cristiani delle terre più remote d’Africa e Asia e il rilancio dell’unione di Firenze con i greci. Il rinnovamento interno della Chiesa sarebbe dovuto passare attraverso il superamento dei vizi del clero secolare e regolare: Roma avrebbe incoraggiato la convocazione di concili e sinodi ai vari livelli e avrebbe promosso le visite pastorali dei vescovi e quelle apostoliche. La formazione del clero doveva prevedere (anche per i semplici sacerdoti) lo studio del latino e la lettura della Bibbia e dei Padri. La teologia si sarebbe fondata su basi biblico-patristiche; la Bibbia andava messa a disposizione dei fedeli mediante traduzioni nelle lingue volgari.
Nel Libellus, opera comune dei due camaldolesi, l’esperienza personale di Querini è evocata a proposito delle prime notizie sulle conversioni degli indigeni d’America (informazioni raccolte da Querini nella missione del 1506 in Castiglia, forse per il tramite di Pietro Martire d’Anghiera); mentre l’eco della vita pubblica veneziana si coglie nella condanna dei falsi giuramenti praticati in certi Senati.
La possibilità che Querini potesse effettivamente impegnarsi a Roma per la riforma della Chiesa parve delinearsi nel 1514 in relazione con i non risolti contrasti dell’Ordine camaldolese. Delfino, chiamato nell’ottobre del 1513 al Laterano V, era riuscito a far modificare i provvedimenti che lo escludevano dalla giurisdizione sull’eremo di Camaldoli. Querini dovette perciò recarsi nuovamente a Roma nella primavera del 1514, prendendo alloggio nell’abitazione del segretario ai Brevi pontifici Pietro Bembo, suo vecchio amico, per difendere la riforma camaldolese in vista dell’arbitrato affidato ai cardinali Antonio Del Monte e Lorenzo Pucci, che si concluse il 13 giugno 1514 con una decisione sostanzialmente favorevole agli eremiti camaldolesi.
Intanto, però, fin dall’inizio di aprile Leone X aveva cominciato ad avvalersi dell’intermediazione di Bembo e, soprattutto, di Querini per avviare una delicata trattativa diplomatica. Infatti, pur essendo schierato al fianco della Spagna e dell’imperatore contro l’alleanza veneto-francese, Leone X mostrò di desiderare un riavvicinamento a Venezia, in vista di un’intesa che avrebbe potuto allargarsi anche alla Francia. Querini, strumento prezioso di questa trattativa incoraggiata da Giuliano de’ Medici, ma avversata dal cardinale Bibbiena, fu segnalato da Venezia e fu preso in seria considerazione dalla stessa S. Sede per l’elevazione al cardinalato.
Querini si schermì, non volendo abbandonare la scelta eremitica; ma questo suo atteggiamento gli provocò molte critiche da parte degli amici veneziani. Diverso fu il parere di Giustiniani, che da Camaldoli gli espresse gravi preoccupazioni per la sua salute spirituale, qualora avesse accettato di farsi nuovamente coinvolgere in affari mondani; al tempo stesso, però, non escluse che Querini potesse accettare il cardinalato, se ciò gli fosse stato espressamente comandato dal pontefice, senza alcuna sollecitazione da parte sua. Questa linea di attesa, alla quale il pur tentennante Querini pareva voler aderire, fu ribadita dopo la metà di luglio in un incontro a Camaldoli fra Giustiniani e Giuliano de’ Medici, convinto patrocinatore di Querini.
Bembo, però, che vedeva in Querini un pericoloso concorrente al cardinalato, volle smascherarne l’ipocrisia, inviando il 30 luglio ai Capi dei Dieci una violenta lettera, cui erano allegate copie di due missive di Querini, a Giuliano de’ Medici e a un proprio uomo di fiducia, Innocenzo da Pesaro, nelle quali si suggerivano i passi che Giuliano avrebbe dovuto compiere a Venezia e a Roma per ottenere la designazione di Querini al cardinalato. Tuttavia, con grave delusione di Bembo, la Signoria, soddisfatta della collaborazione di Querini ai suoi progetti diplomatici, lo indicò ufficialmente come proprio candidato al cardinalato, tramite il cardinale Domenico Grimani.
In agosto la posizione di Querini a Roma si fece difficile, causa l’aperta ostilità di Bembo e la lontananza dell’amico Giuliano de’ Medici: oramai alla corte papale egli poteva fidarsi solo di Luca Bonfiglio, cameriere segreto del papa, e dell’arcivescovo di Zara Francesco Pisani. Sottoposto a forti tensioni politiche e morali, indebolito dalle pratiche ascetiche, Querini si ammalò gravemente alla fine di agosto. Trasferito dall’abitazione di Bembo al convento dei domenicani di S. Marco, presso S. Silvestro, fu assistito nei suoi ultimi giorni dall’amico Giustiniani, sollecitamente accorso da Camaldoli.
Morì a Roma il 23 settembre 1514. Giustiniani non escluse il veleno fra le possibili cause della sua morte; più verosimilmente, soffriva da tempo di una forma di tubercolosi.
Opere. Poesie e prose di Querini: Rime diverse di molti eccellentissimi auttori nuovamente raccolti, libro primo, Venezia, Giolito de Ferrari, 1545, pp. 180-188; Rime di diversi nobili huomini et eccellenti poeti nella lingua toscana. Libro secondo, Venezia, Giolito de Ferrari, 1547, c. 120rv; Stanze de M. Vincentio Quirino belissime d’amore con alcuni sonetti mirabili sopra varii suggieti d’amore nuovamente venuti in luce, Venezia 1548; Rime di diversi eccellenti autori raccolte dai libri da noi altre volte impressi (raccolte da L. Dolce), Venezia, Giolito de Ferrari, 1553, pp. 416-420; Lettere volgari di diversi nobilissimi huomini et eccellentissimi ingegni, scritte in diverse materie, Venezia, Aldi filii, 1551, cc. 42v-45r. Relazioni e dispacci: Le relazioni degli ambasciatori veneti al Senato durante il secolo decimosesto, a cura di E. Alberi, s. 1, I, Firenze 1839, pp. 1-30, s. 1, VI, 1862, pp. 1-16, XV, Appendice, 1863, pp. 3-19; C. von Höfler, Depeschen des venetianischen Botschafters bei Erzherzog Philipp…, Dr. Vincenzo Quirino, 1505-1506, in Archiv für österreichische Geschichte, LXVI (1884), 1, pp. 45-256. Scritti sulla riforma della Chiesa: Libellus ad Leonem X, in I.B. Mittarelli - A. Costadoni, Annales Camaldulenses, IX, Venetiis 1773, coll. 612-719; Parere di riforma per papa Leone X, in H. Jedin, Chiesa della fede, Chiesa della storia, Brescia 1972, pp. 497 s.
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