PADULA, Vincenzo
Scrittore, nato il 25 marzo 1819 ad Acri (Cosenza), dove morì l'8 gennaio 1893. Ecclesiastico, cominciò giovanissimo a manifestare, nei giornali e dal pulpito, i suoi sentimenti liberali. Del 1842 (pubblicata con la falsa data di Bruxelles) è una sua novella in versi, Il monastero di Sambucina; del 1845 (Napoli) il poemetto Valentino. Stabilitosi dopo il 1848 a Napoli, vi visse insegnando privatamente, componendo per commissione poesie e scritti varî, collaborando a giornali. Nel 1860 entrò nell'insegnamento pubblico, che lasciò nel 1884, ritirandosi ad Acri.
Nel 1854 aveva pubblicato a Napoli una traduzione in versi dell'Apocalisse (2ª ed. corretta, ivi 1861), con introduzione e commento intesi a mostrare che la profezia si era storicamente avverata; professore a Cosenza nel 1864, vi fondò e scrisse quasi interamente da solo un giornale, Il Bruzio, in cui pubblicò - oltre a parecchie poesie e a un notevole dramma, composto nel 1850, Antonello capobrigante calabrese - una serie di articoli di prim'ordine sulle condizioni sociali della Calabria (i migliori ristampò in volume egli stesso, Napoli 1878). Nel 1871 diè alla luce, sempre a Napoli, due brevi scritti in eccellente ed eloquente latino e un grosso volume, Protogea o sia l'Europa preistorica, in cui presunse di dimostrare, fondandosi su bizzarre etimologie ebraiehe, essere stati gli Ebrei i primi abitatori dell'Europa; nel 1878 una raccolta di Prose giornalistiche e un saggio delle sue Poesie varie; altro molto lasciò inedito (cfr. la raccolta delle Poesie, a cura di V. Julia, Napoli 1894).
L'erudizione del P., profonda per alcuni aspetti, stranamente manchevole e provinciale per altri, non approdò a nulla di definitivo, sebbene ricchissima di acute osservazioni; essa è, insieme, antiquata e anticipatrice. I suoi studî sulla Calabria son tali da far rimpiangere che essi siano solo una parentesi nella tumultuaria attività del P. La stessa disuguaglianza nelle poesie: dovunque straordinaria, modernissima penetrazione psicologica, immagini fresche e molte volte potenti; ma dovunque anche lungaggini, approssimazioni, improvvisazioni vuote o di cattivo gusto. Gli è che al P. mancò, come già ebbe a osservare il De Sanctis, quell'intima serietà spirituale, quella compiuta dedizione all'opera propria che sole possono fare del geniale dilettante lo scienziato o il poeta.
Bibl.: F. De Sanctis, La lett. ital. nel sec. XIX, lez. VIII (cfr. le importanti note di B. Croce); S. De Chiara, Della poesia di V. P., Cosenza 1903; B. Croce, La lett. d. nuova Italia, 3ª ed., I, Bari 1929, pp. 93-109.