ONOFRI, Vincenzo
ONOFRI, Vincenzo. – Non si conoscono le date di nascita e di morte di questo scultore specializzato nella plastica fittile, documentato a Bologna tra il 1493 e il 1524.
Nel contesto dell’Emilia rinascimentale, la sua opera può essere messa in relazione con gli artisti operanti a Bologna tra la fine del Quattrocento e l’inizio del Cinquecento, quali gli scultori Niccolò dell’Arca, Guido Mazzoni, Francesco di Simone Ferrucci, Baccio da Montelupo e i pittori Francesco del Cossa, Ercole de’ Roberti, Francesco Francia, Lorenzo Costa. Nei suoi lavori le diverse manifestazioni del naturalismo emiliano e dei modelli toscani quattrocenteschi sono aggiornate sui toni classicisti d’inizio Cinquecento. L’aspetto naturalistico della sua arte, che mai raggiunse i livelli qualitativi di Niccolò dell’Arca e di Guido Mazzoni, è alla base della convenzionale, quanto iperbolica testimonianza del contemporaneo Giovanni Filoteo Achillini (1513, c. CLXXXVIII): «che dirò di Vincentio che in sculptura / fa cose da stupirne la Natura?».
Le prime opere documentate sono «due figure che lui ha tolto a fare in li tondi sopra l’ussi dai ladi de la capella de la testa, de relevo, cioè el beato Alberto Magno et el beato Raimundo» (in Supino, 1938, p. 254), vale adire i busti in terracotta di Alberto Magno e di Raimondo di Peñafort, realizzati nel 1493 per la cappella delle Reliquie in S. Domenico. Ne è rimasto solo il primo, appartenente alle collezioni della Pinacoteca nazionale di Bologna e oggi in deposito presso il Museo civico medievale della stessa città; il secondo è noto attraverso un calco (collocazione ignota; ibid.). L’Alberto Magno riflette con evidenza l’influsso di Niccolò dell’Arca, il quale, per lo stesso convento domenicano, nel 1474 aveva eseguito un busto di S. Domenico, e negli stessi mesi in cui operava Vincenzo si accingeva a scolpirne un altro.
Sebbene i busti di Onofri derivino la postura e lo schema dei panneggi da Niccolò, tuttavia non ne ritengono l’aulico naturalismo, cedendo il passo a toni domestici e schematici nella resa dei volti e degli atteggiamenti. La contemporaneità degli interventi dei due scultori in S. Domenico e la continuità tecnico-stilistica tra i loro lavori possono far ipotizzare un periodo di apprendistato di Vincenzo con Niccolò (o almeno di collaborazione, poiché è noto dalle fonti come il maestro dell’Arca fosse restio ad avere discepoli).
All’ultimo decennio del Quattrocento è databile il Cristo morto in terracotta all’interno della cappella di S. Gregorio nella chiesa di S. Vittore al Corpo a Milano firmato «Opus Vincentii Onofri Bon.», forse parte di un Compianto. Pur rifacendosi a modelli di tradizione emiliana, il simulacro presenta la peculiarità delle braccia riverse a terra, diversamente dai più consueti modelli che le collocano sul ventre della figura.
Tra la fine del 1495 e il 1500 Onofri realizzò l’altare di S. Girolamo nella cappella Crescimbeni in S. Giacomo Maggiore a Bologna. Commissionato da Paolo Antonio Crescimbeni, che il 2 novembre 1495 aveva lasciato disposizioni per l’erezione di una cappella intitolata ai Ss. Girolamo e Massimo (Lenzi, 1967, p. 239), nel 1773 l’altare fu ricoperto da una pala in tela e radicalmente trasformato nell’incorniciatura dagli interventi dello stuccatore Gaetano Raimondi; a metà degli anni Ottanta del secolo scorso è stato riportato alla luce e recentemente restaurato.
La figura di S. Girolamo penitente, così come il supporto in cui è collocata, è di terracotta policroma. Il santo è inginocchiato in una struttura ad altorilievo realizzata prospetticamente, con tre ingressi laterali e una volta a botte cassettonata. In corrispondenza della lunetta sopra al santo è modellato un tondo a bassorilievo raffigurante la Madonna col Bambino. Invasivo segno degli aggiornamenti subiti dall’altare nel corso del tempo è la nicchia recante l’immagine di S. Filomena installata nella parte inferiore della figura di S. Girolamo.
Ad anni prossimi all’altare Crescimbeni è da ricondurre una testa in terracotta di S. Girolamo in collezione privata; modellata a tutto tondo, essa doveva essere fissata su un busto ligneo a mo’ di reliquiario, oppure su una statua processionale a figura intera (Giannotti [1993-2000], 2001, pp. 109-115).
Solitamente datato agli ultimi anni del Quattrocento, ma forse riconducibile al primo decennio del Cinquecento, è il lavoro più noto di Onofri: il Compianto su Cristo morto nella basilica di S. Petronio. Benché firmato «Vincentius Nufrius Bononiae F.» e pur mostrando con evidenza il carattere della plastica emiliana cinquecentesca, il gruppo fu ritenuto da Carlo Cesare Malvasia (1686, p. 241) opera di Niccolò dell’Arca. La sistemazione del gruppo in una nicchia ricavata nel pilastro absidale destro della basilica non è quella originaria, ma risultato di rimaneggiamenti avvenuti nel XVII secolo (nel corso del tempo il gruppo è stato più volte ridipinto).
Composto di sette figure in terracotta policroma, il Compianto si inserisce nella tradizione iconografica del genere, risalente alle scene funebri dell’antichità: Cristo giace su un cataletto, con le braccia riverse al suolo; Nicodemo e S. Giovanni assistono alla scena in atteggiamento compassato; Maria di Cleofa, la Madonna e Salomè con la controllata gestualità delle mani esprimono un dolore trattenuto mentre la Maddalena si precipita sul giacente in atto di disperata concitazione. In questo lavoro il realismo dinamico di Niccolò dell’Arca e di Ercole de’ Roberti si concilia con i modi più composti di Francesco Francia e Lorenzo Costa. In particolare, il volto della Maddalena pare richiamare quello della medesima santa (oggi solo un frammento presso la Pinacoteca nazionale di Bologna) affrescato da Ercole de’ Roberti nella cappella Garganelli in S. Pietro a Bologna, così come pare, al contempo, mediare la drammatica gestualità dei simulacri di Niccolò e le più compassate figure di Francia.
Nel 1503 Onofri eseguì la pala in terracotta policroma raffigurante la Madonna col Bambino tra s. Lorenzo, s. Eustachio e due angeli adoranti per l’altare di S. Eustachio nella chiesa di S. Maria dei Servi a Bologna. Commissionato dalla famiglia Muccia che deteneva il patronato sulla cappella, il lavoro è firmato («Vincentius Honofrius bon. F») e reca il nome del committente e la data («Laurentius Pius hoc altare Divo Eustachio dicavit Anno Salutis 1503»). Come quello dedicato a S. Girolamo, rappresenta una rara attestazione delle pale fittili diffuse all’epoca in Emilia-Romagna e mostra evidenti affinità con le pale d’altare pittoriche nord-italiane della fine del XV secolo; per esempio, le figure della Madonna e del Bambino ricordano quelle realizzate circa un decennio prima (1492) da Lorenzo Costa per la pala della cappella Rossi in S. Petronio. Il restauro dell’opera, promosso intorno alla metà degli anni Ottanta del secolo scorso, ha riportato la superficie pittorica alle cromie originali.
In stretta continuità con l’altare di S. Girolamo in S. Giacomo Maggiore, la scena è raffigurata sotto una volta a botte cassettonata, impostata prospetticamente ad alto rilievo su un ambiente con ingressi laterali, da cui accedono due angeli. La struttura architettonica a tempietto, che sposa elementi quattrocenteschi ad altri già pienamente cinquecenteschi, è complessa e riccamente ornata. Due colonne in primo piano, avvolte da girali all’antica e terminanti con un capitello corinzio, posano su elementi a urna decorati con mascheroni e motivi vegetali, sostenuti da basamenti parallelepipedi rettangolari. Sul fondo del tempietto, alle colonne corrispondono due pilastri scanalati, anch’essi terminanti con capitelli corinzi. Sul fregio della trabeazione si sviluppa un motivo a palme di matrice toscana. Sulla lunetta, posta sullo sfondo, al di sotto del soffitto cassettonato, è raffigurato il Trasporto di Cristo al sepolcro, lavorato a basso rilievo monocromo: Cristo appare in procinto di essere sollevato con un lenzuolo da S. Giuseppe d’Arimatea e Nicodemo; in secondo piano la Madonna addolorata è soccorsa da S. Giovanni e dalla Maddalena.
Negli stessi anni dell’altare di S. Eustachio Onofri dovette realizzare il busto fittile raffigurante un Uomo con armatura della National Gallery di Washington (Widener Collection), un’opera che, dal punto di vista stilistico, appare vicina alle figure del Compianto petroniano (caratteri del volto e panneggi) e agli apparati decorativi dell’altare di S. Eustachio (racemi, fiori e mascheroni vegetali all’antica).
Intorno al 1505 è databile il Monumento funebre di Cesare Nacci, anch’esso in materiale fittile, installato sul pilastro che divide le cappelle Rossi e Ghiselli in S. Petronio.
Il sarcofago, col gisant, è retto da zampe leonine e da una conchiglia alata ed è collocato sopra una raffigurazione prospettica poggiante su un basamento figurato con l’iscrizione dedicatoria. La fronte del sarcofago è decorata da un motivo a nastro che avvolge rilievi di profeti, santi e cherubini. La grande scena prospettica, inquadrata da quattro pilastri scanalati e sormontati da capitelli corinzi, mostra le tre Virtù teologali poste di fronte a un edificio ottagonale reso secondo i canoni geometrici che ritroviamo in uso nelle tarsie lignee dell’epoca. Il fregio della trabeazione al di sopra dei pilastri alterna cherubini e putti in groppa ad animali mitologici, mentre il basamento con l’iscrizione alterna arpie e tondi figurati. La conchiglia alata, così come alcune caratteristiche iconografiche delle Virtù (la postura della Speranza e le ali sul capo della Fede), derivano dal Sepolcro di Alessandro Tartagni in S. Domenico a Bologna, opera dello scultore fiesolano Francesco di Simone Ferrucci.
Nel 1506, come si ricava dall’iscrizione, Onofri realizzò, sempre in materiale fittile, il Monumento funebre di Antonio Busi nella chiesa di S. Maria di Poggio presso San Giovanni in Persiceto.
Il sarcofago ripete le tipologie decorative e figurative della tomba Nacci in S. Petronio: è retto da zampe leonine e da una conchiglia alata mentre la fronte presenta il motivo del nastro che avvolge figure di profeti, santi e cherubini. Una coppia di tritoni reggenti lo stemma Busi sorregge l’insieme. Il riferimento ai modelli di Ferrucci è evidente nell’adozione della tipologia tombale con decorazioni ad affresco, molto in uso nell’ambito curiale romano e proposta dallo scultore fiesolano nel Monumento funebre di Vianesio Albergati seniore in S. Francesco a Bologna: come la tomba Albergati, la tomba Busi propone infatti l’immagine di Dio Padre benedicente ad affresco (Parmiggiani, 2004 [2005], p. 90),collocata al centro, al di sopra del gisant.
Al 1512 risalgono due busti maschili in terracotta conservati al County Museum of Art di Los Angeles (dono di William Randolph Earst), raffiguranti rispettivamente un uomo adulto e un giovane. La stretta similitudine delle dimensioni e del modellato ha indotto la critica a ritenere che essi siano stati concepiti in coppia, probabilmente padre e figlio. La datazione si ricava dal secondo, che sul retro reca l’iscrizione «IDXII». Pur non essendo documentati (Valentiner, 1951; Morra, 1985, pp. 192-196), tali lavori possono essere accolti nel catalogo di Onofri, finendo per chiuderne l’arco d’attività a lui ascrivibile.
Benché le fonti lo attestino ancora vivo nel 1524 (Masini, 1666, p. 639), infatti, ben poche opere paiono attribuibili a Onofri negli anni successivi al 1512, a eccezione forse del busto di Virgilio Bargellini del Museo Davia Bargellini a Bologna. Sebbene lo stile più maturo di Onofri sia ignoto, sulla base di diverse analogie tra quest’opera e quelle riconducibili con più sicurezza alla sua mano (i caratteri del volto e i panneggi sono coerenti con quelli delle figure del Compianto in S. Petronio), è plausibile collocare il busto in una fase tarda della sua attività, circoscrivibile appunto ai primi anni Trenta del Cinquecento.
La presenza del busto nel palazzo della famiglia bolognese, già dai primi decenni del Cinquecento, è attestata da uno scritto del XVIII secolo nel quale è riportata l’iscrizione che identifica l’effigiato (VIRGILIUS BARGELINI / AETATIS ANNORUM LXX / BONONIAE VITA FUNCTUS / A. D. MDXXXII), lo descrive («con berretta in testa all’antica e con le mani che stringono li guanti») e dà notizia del luogo in cui era collocato: «nella prima galleria ornata d’archi, cornici, pilastrate, contropilastrate, nicchi, statue, stucchi e pitture, nel nicchio sopra la finestra […] posto sopra un piedistallo» (Descrizione delli dodici quadri…, sec. XVIII). Bargellini è ritratto in età avanzata (era nato nel 1462), pienamente corrispondente alla cronologia ricavabile dall’iscrizione.
Attestato dalle fonti ma non collocabile cronologicamente è un bassorilievo perduto, che Malvasia (1686 [1969], p. 218) registra essere nella cappella Serafini in S. Procolo a Bologna.
In un percorso professionale sostanzialmente dedito alla terracotta, tra le opere d’incerta attribuzione compaiono due lavori lapidei bolognesi: la lastra tombale del lettore Pietro Canonici dal 1885 conservata nel Museo civico medievale del capoluogo emiliano (Bernardini, 1987B) ma originariamente nella cappella dei Ss. Nicolò e Gregorio in S. Martino e il busto di Filippo Beroaldo nella cappella Malvezzi Campeggi all’interno della medesima chiesa.
Nella prima opera, databile al 1502 sulla base dell’iscrizione in lettere capitali, la scena scolpita sulla lastra ritrae il lettore nello svolgimento della sua attività presso lo Studio bolognese, secondo la consuetudine iconografica medievale volta a rappresentare il dottore in cattedra tra i discepoli. Seppur non riconosciuto a Onofri dalle fonti, il lavoro presenta caratteri che rimandano al suo operato: l’impostazione prospettica della scena, gli ornati vegetali, i panneggi, i tratti asciutti dei volti e gli atteggiamenti allo stesso tempo ricercati e rigidi dei personaggi, avvicinabili all’altare di S. Eustachio, così come all’altare di S. Girolamo. Tuttavia, parte della critica ha negato la paternità (Gottschewski, 1908), preferendo riferire la tomba ad Amico Aspertini (Supino, 1938, pp. 390 s.; Ciardi Dupré, 1965, pp. 18, 25). Ad anni prossimi alla tomba Canonici è da ricondurre il secondo lavoro, in marmo, raffigurante il celebre filologo bolognese, attivo nella seconda metà del XV secolo e morto nel 1504. Da alcuni ritenuto di Aspertini (Supino, 1938, p. 391), esso è perlopiù accolto nel catalogo di Onofri (Morra, 1985, pp. 195 s.).
Solitamente considerati di Onofri, ma di dubbia paternità, sono due lavori lapidei, raffiguranti S. Bernardino da Siena e S. Pietro Martire, conservati presso la Pinacoteca comunale di Faenza (Ferretti, 2011, pp. 27, 29).
A Onofri sono inoltre stati ascritti diversi busti fittili di ambito emiliano, di qualità assai dissimile, comparsi sul mercato antiquario o conservati in collezioni pubbliche e private. Tra i più coerenti con la produzione dello scultore è da annoverare un busto di fanciullo del Bode-Museum di Berlino (Schottmüller, 1933).
Fonti e Bibl.: Bologna, Biblioteca universitaria, ms. 2025: Descrizione delli dodici quadri di funzioni principali di monsignor Pietro Bargellini e delle pitture e statue del senatore Vincenzo Bargellini (sec. XVIII), p. 72; G.F. Achillini, Viridario, Bologna, per Girolamo di Plato, 1513, c. CLXXXVIII; G.A. Bumaldi (O. Montalbani), Minervalia Bonon[iensium] civium anademata…, Bologna 1641, p. 248; A. Masini, Bologna perlustrata, I, Bologna 1666, pp. 126, 136, 170, 175, 639; C.C. Malvasia, Le pitture di Bologna (1686), a cura di A. Emiliani, Bologna 1969, pp. 88 s. (88/34-89/1-2), 218 (7), 241 (9), 276 (16-18); M. Oretti, Raccolta di alcune marche e sottoscrizioni praticate da pittori e scultori nelle sue opere (sec. XVIII), a cura di G. Perini, Firenze 1983, p. 108; C. Ricci, Monumenti sepolcrali dei lettori dello Studio di Bologna, Bologna 1860, pp. 25 s.; A. Rubbiani, Un’opera ignorata di V. O., in Archivio storico dell’arte, s. 2, I (1895), 4, pp. 243-246; A. Gottschewski, Über die Porträts der Caterina Sforza und über den Bildhauer V. O., Strassburg 1908, p. 68; I.B. Supino, La scultura in Bologna nel secolo XV. Ricerche e studi, Bologna 1910, pp. 2, 113, 134; W. Bode, Die italienische Plastik, Berlin 1922, p. 143; F. Malaguzzi Valeri, Sculture del Rinascimento a Bologna, in Dedalo, III (1922-23), 2, pp. 341-372; P. Schubring, Die italienische Plastik des Quattrocento, Wildpark-Potsdam 1924, pp. 203 s.; F. Schottmüller, Die italienischen und spanischen Bildwerke der Renaissance und des Barock. I. Die Bildwerke in Stein, Holz, Ton und Wachs, Berlin 1933, pp. 108 s.; I.B. Supino, L’arte nelle chiese di Bologna. Secoli XV-XVI, II, Bologna 1938, pp. 57 s., 205-208, 217 s., 254 s., 363-366, 390-393, 401-404; A. Venturi, Storia dell’arte italiana, VI, Milano 1908, pp. 803-805; W.R. Valentiner, Gothic and Renaissance sculptures in the collection of the Los Angeles County Museum, Los Angeles 1951, pp. 96-99; M.G. Ciardi Dupré, La scultura di Amico Aspertini, in Paragone, XVI (1965), 189, pp. 3-25; D. Lenzi, Regesto, in Il tempio di S. Giacomo Maggiore a Bologna, Bologna 1967, pp. 215-264; C. Gnudi, Acquisti dei musei e gallerie dello Stato, in Bollettino d’arte, LIII (1968), p. 222; M.V. Brugnoli, Problemi di scultura cinquecentesca, in La basilica di S. Petronio, II, Bologna 1984, pp. 103-116; E. Morra, Per il percorso artistico di V. O., in Il Carrobbio, XI (1985), pp. 181-196; C. Bernardini, Busto di Virgilio Bargellini, in Museo Davia Bargellini, Bologna 1987A, pp. 138 s.; Id., Lastra tombale di Pietro Canonici, in Introduzione al Museo civico medievale. Palazzo Ghisilardi-Fava, a cura di R. Grandi, Bologna 1987B, p. 75; R. Grandi, La scultura a Bologna nell’età di Niccolò, in N. dell’Arca. Seminario di studi. Atti del Convegno, … 1987, a cura di G. Agostini - L. Ciammitti, Bologna 1989, pp. 25-58; R. D’Amico, V. O. tra pittura e scultura…, ibid., pp. 121-138; Id., V. O. in S. Petronio, in Strenna storica bolognese, XLI (1991), pp. 104-114; A. Giannotti, Alcune proposte per la scultura emiliana del Cinquecento, in Notizie da Palazzo Albani, XXII-XXIX (1993-2000 [2001]), pp. 109-119; P. Parmiggiani, Francesco di Simone Ferrucci tra Bologna e Roma: i sepolcri di Alessandro Tartagni e Vianesio Albergati seniore (con un’ipotesi per quello di Francesca Tornabuoni), in Prospettiva, 2004 [2005], nn. 113-114, pp. 73-97; M. Ferretti, La scultura del Quattrocento, Faenza 2011; U. Thieme - F. Becker, Künstlerlexikon, XXVI, p. 22, s.v.