MONACO, Vincenzo
– Nacque a Roma il 20 luglio 1911 da Edoardo e da Alda Pettinati, appena un anno dopo il fratello Pietro. L’ambiente familiare – borghesia piemontese di solida cultura scientifica e umanistica in entrambe le componenti genitoriali – fu determinante per la sua educazione, la formazione del carattere e per il tipo di temperamento creativo e atteggiamento lavorativo sviluppati.
Il padre Edoardo, originario di Vercelli, studi nel collegio Carlo Alberto di Moncalieri e laurea in ingegneria civile al Politecnico di Torino, a Roma dal 1887, fu per trent’anni, dal 1890 al 1920 circa, un funzionario di tutto rilievo della Società generale immobiliare. Fermo assertore di una sana politica del mattone e sostenitore convinto della piccola proprietà edilizia e del consorzio in cooperativa, per oltre diciassette anni, dal 1908 al 1925, si batté per il varo dell’Istituto nazionale di credito edilizio (R.D. 23 ott. 1925, n. 2063), un ente giuridico in grado di disciplinare l’accesso al credito e di togliere il mercato della casa dalle mani degli speculatori per restituirlo in quelle dei più diretti interessati ossia i piccoli risparmiatori privati «che ambivano crearsi un nido per i figli e per la famiglia» (E. Monaco, Come e perché è nato «L’Istituto nazionale di credito edilizio», memoria autografa, 1932 circa in, Roma, Archivio degli architetti Vincenzo Monaco e Amedeo Luccichenti). La salvaguardia dei laghi di Castelgandolfo e Nemi – una battaglia vinta anche grazie all’aiuto diretto di papa Pio XI – e la costituzione dell’Unione villini e villeggianti di Castelgandolfo e di Marino – coronamento nel 1936 di un’avventura nata ben trent’anni prima, intorno al 1906 con la costruzione del proprio villino – costituirono due pagine molto belle e significative del suo costante operare per il bene comune. Animato da uno spirito audace e inventivo seppe trovare soluzioni a ogni problema, atteggiamento questo che trasmise in pieno al figlio Vincenzo. La madre Alda, di venti anni più giovane del marito, donna minuta ma forte, assai religiosa e piena di interessi letterari, di tradizioni garibaldine e un francese perfetto, con una parte di primo piano nell’educazione dei figli, portò non poco lustro e aura al neonato ramo romano dei Monaco per essere la figlia di Nino Pettinati e di Maria Polissena Troya, tanto celebre il padre – scrittore, poeta e giornalista, segretario della Federazione nazionale stampa italiana, corrispondente da Roma per La Stampa e Il Resto del Carlino oltre che amico di Trilussa (Carlo Alberto Salustri) e ascoltato collaboratore di G. Giolitti – quanto altrettanto nota la madre, figlia prediletta del grande pedagogista torinese Vincenzo Troya.
Compiuti gli studi primari presso il collegio S. Maria e quelli classici presso l’Istituto Massimo in piazza delle Terme, iscrittosi nel 1929 alla Scuola di architettura di Roma, il M. si formò in quel periodo, convulso ma ricco di stimoli, del dibattito culturale romano e nazionale per l’affermazione di una moderna architettura italiana, che furono i primi anni Trenta. Dotato di una naturale tendenza per la composizione manifestatasi precocemente attraverso il disegno e la pittura, il M., ancor prima di laurearsi, ebbe modo di mettersi in luce partecipando con i colleghi F. Petrucci e C. Longo ad alcuni importanti concorsi nazionali: Quattro nuovi palazzi postali a Roma (1933) e Nuovo ospedale clinico di Modena (1934).
Successivamente alla laurea, nel 1935, il M., che per tutta la vita coltivò un profondo interesse per la disciplina urbanistica, frequentò per qualche tempo l’appena istituita scuola di perfezionamento in tale materia e tra il 1935 e il 1936, nella sua unica e breve parentesi accademica, fu assistente del prof. E. Calandra alla cattedra di caratteri distributivi degli edifici della facoltà di architettura di Roma. Nel 1936, in gruppo con i romani G. Calza Bini, S. Muratori, F. Petrucci, L. Quaroni e E. Tedeschi, partecipò alla VI Triennale di Milano con il progetto Lo studio medico.
Dal 1937 al 1940, con A. Luccichenti, al quale sarebbe rimasto associato per oltre venticinque anni – fino alla prematura morte di quest’ultimo – in un rapporto di piena sintonia culturale e di condivisione professionale, il M. partecipò con significative vittorie e piazzamenti all’ultima stagione dei grandi concorsi del regime fascista: Edifici politico-doganali-turistici, 1937; Sede della Confederazione fascista dei commercianti, 1939; Ponte mobile alla Magliana, 1940. Rilevanti in questo quadro anche le partecipazioni alle competizioni per le opere stabili dell’E42: Palazzo dei Ricevimenti e congressi, I e II gr., 1937-38; Piazza ed edifici delle forze armate, 1938; Palazzo dell’Acqua e della luce, 1939. Contesto questo dell’E42 per il quale lo Studio Monaco e Luccichenti venne incaricato della Mostra delle organizzazioni del Partito nazionale fascista (PNF), un progetto rimasto allo stato di abbozzo per il noto precipitare degli eventi.
Di questa stagione ricca di progetti e magra di realizzazioni rimasero solo alcuni significativi allestimenti (sale V e XXIV alla Mostra augustea della romanità del 1937 e il padiglione dei materiali ferrosi alla Mostra autarchica del minerale italiano del 1938 con cui ebbe inizio la lunga trentennale amicizia e collaborazione con il pittore G. Severini) e, soprattutto, la costruzione della villa per la famiglia Petacci sulla via della Camilluccia (1937-39), un limpido teorema cubico di travertino dorato e cristallo con scale audaci e pronunciate cavità che sarebbe stato sicuramente da ascrivere tra le opere più significative del razionalismo italiano e non solo se motivi di censura politica prima e dopo la guerra e una condanna senza appello della storia per gli eccessi della famiglia Petacci non l’avessero privato della giusta pubblicità e notorietà.
La costruzione, ancora tutta da rileggersi alla luce dei numerosi documenti soltanto di recente emersi dagli archivi e da inquadrarsi all’interno di un più vasto quadro di ville e di complessi residenziali progettati dal M. e da Luccichenti tra il 1938 e il 1940 (come una villa a Castiglioncello, il complesso delle tre ville Zucchi sull’Ardeatina, il villino Pisani, la villa Luka e la casa Balzani a Viterbo), anticipò con il suo comfort abitativo e i suoi standard architettonici quella che sarebbe stata, soprattutto a partire dal dopoguerra, la risposta professionale dello Studio Monaco e Luccichenti a un abitare di qualità. Questa villa del tutto moderna, ma ispirata nel suo rapporto con il lotto e con il luogo da canoni decisamente rinascimentali è in grado di documentare molto bene l’interesse del M. per l’opera di Le Corbusier (Ch.-E. Jeanneret-Gris) e di L. Mies Van der Rohe e per gli studi sull’armonia delle proporzioni di M. Ghyka. Il prospetto verso Roma, segnato da uno spartito orizzontale di lunghe fasce opache e vetrate alternate sapientemente tra loro e reso speciale dal parapetto della grande scala elicoidale prolungantesi in lunghezza nella balaustra vetrata del piano attico, sperimentava già con successo alcuni dispositivi che sarebbero stati sviluppati con una lunga serie di soluzioni nel dopoguerra ed oltre a costituire alcune cifre distintive dell’architettura dello Studio.
Tra il 1941 e il 1943, durante il breve governatorato dalmata, in un clima di felice incontro di uomini, arte, cultura e architettura voluto dal neo-governatore G. Bastianini – si ricordano nella sua cerchia i nomi del futuro ambasciatore E. Ortona, dello scultore P. Fazzini, del pittore A. Savelli e dell’architetto R. Manzoni – si inaugurò per il M. e Luccichenti una significativa quanto intensa stagione di lavoro con l’apertura di una succursale dello Studio di Roma nella città di Zara e l'elaborazione di una ventina di progetti in cui, su una cifra mediterranea e primordiale con echi della ruralità già riletta da G. Pagano Pogatschnig in chiave moderna, si innestavano esplicite tensioni strutturali come nel trattamento e nelle declinazioni dei sistemi voltati di copertura (case minime per i senza tetto, progetto di colonia marina per Zara e progetto di pescheria sempre per Zara, 1942), chiare espressioni di quell’innato istinto costruttivo che avrebbe accompagnato tutta la produzione architettonica.
Fu quello il periodo in cui si fece più intensa l’amicizia con Pagano Pogatschnig, testimoniata, come già per Luccichenti, da un significativo carteggio e da numerose idee di programmi da sviluppare insieme come la progettata costituzione di una Società edile internazionale con presidente Pagano Pogatschnig stesso e consigliere delegato il Monaco. Un'amicizia, questa con il direttore di Casabella, corroborata dalle frequentazioni con altri architetti milanesi quali F. Albini e M. Palanti e cementata anche dall’incontro con la futura moglie Olimpia Bernini, detta Pia – pittrice e collaboratrice dal ’38 al ’41 nelle redazioni di Casabella e Domus a fianco di A.M. Mazzucchelli e dello stesso Pagano Pogatschnig – che il M. sposò il 31 ott. 1942 e che gli diede l’anno successivo il figlio Edoardo.
Era stato proprio Pagano Pogatschnig, dal 1939 al 1942, a dare risonanza e onori su Casabella ai loro progetti di colonie marine e montane, ad alcuni loro magistrali allestimenti come alle loro «occasioni perdute» all’E42 e alle fresche architetture dalmate dell’ultima ora. E il M. non avrebbe mai dimenticato l’amico tragicamente scomparso e la sua famiglia rimasta sola e in difficoltà aiutandola come poté nel dopoguerra (lettera di ringraziamento di Paola Pagano Pogatschnig al M. datata Alassio 22 luglio 1947, in Roma, Archivio degli architetti ...).
Con il 1945, dopo due anni di stasi dedicati alla pittura e alla riflessione, il lavoro riprese nel segno della continuità su posizioni culturali autonome, originali e quanto mai coraggiose, segnate dal non allineamento con il neorealismo di M. Ridolfi e Quaroni da una parte e con il movimento per un'architettura organica di B. Zevi dall’altra, in un rifiuto totale di barricate e schieramenti ideologici. Attratto con Luccichenti dalla volontà di rispondere in quel duro momento postbellico alla rigenerazione in atto in tutti i campi della vita culturale ed economica, i due inaugurarono una stagione in cui trattare la bellezza doveva essere motivo di felicità e di impegno, in uno snodo magico fra la coscienza del fare, la conoscenza delle cose, la via per poterle sostenere e trovare persone colte e intelligenti che ne avessero l’ardire.
Fu questo il momento di un altro importante felice incontro di uomini con figure nuove e dall’eccezionale spessore culturale come il poeta ingegnere L. Sinisgalli, i poeti L. De Libero e G. Ungaretti, lo scrittore A. Moravia, il critico G.C. Argan, lo scultore P. Consagra e i pittori N. Corpora, Severini e Savelli a cui si aggiunsero G. Capogrossi, G. Turcato e tanti altri. In questo contesto di felice produzione artistica e poetica trovarono forma e senso le decine di frammenti architettonici che lo Studio edificò a Roma (ma non solo) tra il 1945 ed il 1955, soprattutto case, ville, palazzine, destinate a un’utenza esigente, che si distinsero per l’eleganza figurativa e l’accattivante repertorio formale di chiara matrice razionalista, le palazzine Ariete, Vega, Cassiopea, Palladium, Federici, Domus, Antares per citarne alcune, diventate delle vere e proprie icone dell’architettura italiana di questi anni. Un decennio, questo 1945-55, che, apertosi con la vittoria nel concorso per il padiglione della Società Terni alla Fiera di Milano, con il progetto per i magazzini frigoriferi per il porto di Napoli e per l’avveniristico Colyseum Center in pieno centro a Roma, proseguì con la sede di rappresentanza della Società di navigazione Italia a Roma, il padiglione della Finsider a Chicago, l’agenzia KLM in via Barberini, il negozio Lancia, il progetto per un grande albergo a Teheran, il primo palazzo della Società italiana degli autori e degli editori (SIAE) in via E. Gianturco a Roma, essendo il palazzo per uffici l’altro filone tipologico in cui lo studio evidenziò più volte i propri interessi.
Il M. fu per tutto questo periodo, insieme con Luccichenti, uno dei più influenti e fervidi sostenitori dell’apertura del progetto architettonico alle correnti più avanzate e sperimentali dell’arte italiana moderna e contemporanea. Il caffè Rosati in via Veneto (1946), il night club Le Pleiadi in via Sistina (1947), luoghi culto del bel mondo della cultura e del cinema romani che si aprivano alla dolce vita, non furono che alcuni irripetibili prodromi di ben più ampi e significativi esperimenti come la Mostra della Federazione italiana dei consorzi agrari nel recuperato palazzo dei Congressi o la Mostra della Cassa per il Mezzogiorno in quello della civiltà italiana all’EA’53 dell’EUR con opere di Severini, Consagra, N. Franchina, Capogrossi, M. Mafai, Turcato e G. Montanarini.
Nel corso di tutti gli anni Cinquanta lo Studio Monaco e Luccichenti fu riferimento a Roma e in Italia per un nuovo modo di fare architettura, dove le sinergie di gruppo, gli alti specialismi, la garanzia di un prodotto di qualità e la capacità di trattare i vari aspetti della complessa materia progettuale erano in grado di fare la differenza: un inconfondibile stile di lavoro che travalicò ben presto i ristretti confini nazionali per porsi all’attenzione della critica e della stampa specializzata internazionale.
L’elezione nel 1955 di G. Gronchi a presidente della Repubblica, già in rapporti di lavoro con lo Studio per la ristrutturazione del proprio appartamento in via C. Fea e per la sistemazione della sala della Lupa nel palazzo di Montecitorio quando era presidente della Camera, si tradusse per il M. e Luccichenti in incarichi di grande prestigio: la villa presidenziale nell’omonima tenuta di San Rossore (oggi sede di rappresentanza della Regione Toscana), l’ampliamento della villa presidenziale nella tenuta di Castelporziano (oggi ampiamente snaturata per aggiunte e manomissioni del progetto originario), il progetto per la palazzina di rappresentanza sempre nella tenuta di San Rossore, la sistemazione di villa Maria Pia nella tenuta presidenziale di villa Rosebery a Napoli e altre amenità architettoniche per il relax e il comfort nel complesso di Castelporziano.
Il M. inaugurava peraltro in questo stesso periodo la sua nuova casa al vicolo Antoniniano a due passi dalle maestose rovine del complesso di Caracalla sistemando con analoghi criteri di minimalismo ed eleganza moderna un antico casale con ampio giardino, destinandolo a luogo di vita e d’incontro con i tanti amici letterati e artisti: un atto di amore, questo luogo privato, per la sua città ed il suo straordinario ambiente e paesaggio, come un atto di amore per la campagna dei dintorni di Roma sarebbe stato di lì a poco l’acquisto dai Torlonia del bellissimo castello di Ceri che aveva progettato di destinare a una libera scuola di architettura dove riversare le proprie esperienze e la propria cultura di progettista.
La fama e il prestigio dello Studio Monaco e Luccichenti nella seconda metà degli anni Cinquanta furono tali da costituire per il ministero dei Lavori pubblici, chiamato a gestire le opere per la XVII Olimpiade, un sicuro punto di appoggio e, difatti, opere come il villaggio e il viadotto olimpico (1957-60) o come il nuovo aeroporto intercontinentale Leonardo da Vinci di Roma Fiumicino (1957-60) finirono sui loro tavoli da disegno: i primi svolti in collaborazione con A. Libera, L. Moretti, V. Cafiero e P.L. Nervi per il calcolo delle strutture del viadotto; il secondo con il coinvolgimento, nella seconda fase, di A. Zavitteri, R. Morandi e G. Covre. Due progetti dove l’architettura e l’ingegneria italiane della fine degli anni Cinquanta segnarono uno dei momenti più alti anche per l’immagine del nostro paese nel mondo: tema, quest’ultimo, che ritornò in modo ancora più esplicito in questi stessi anni con l’incarico dell’arredamento della I classe delle turbonavi Leonardo da Vinci e Michelangelo per il deciso sostegno dell’imprenditore genovese F. Manzitti, presidente della Finmare e sponsor dell’operazione.
La morte di Luccichenti nel 1963 e alcuni seri problemi di salute per il M. stesso non fiaccarono le sue energie creative, l’entusiasmo per la vita e la grinta lavorativa che ripresero appieno nella sponda sud del Mediterraneo in seguito alla conoscenza dell’allora governatore di Tunisi Hassib Ben Ammar, personalità importante e complessa e suo grande estimatore. Per la Tunisia eseguì in poco tempo una decina di progetti tra i quali spiccò, sopra tutti, la Salle des Fêtes di Tunisi, un grande complesso per congressi e ricevimenti con un'ardita copertura apribile realizzata con il concorso dell’ingegnere Covre.
Tra le opere notevoli dell’ultimo periodo si ricordano, il nuovo centro ospedaliero di Treviglio Caravaggio, il palazzo per Uffici SLE/ICOR all’EUR, l’edificio di abitazione in Avenue Georges Mandel a Parigi, il progetto di concorso per il padiglione Italia all’Esposizione universale di Osaka, la ristrutturazione dell’aereostazione intercontinentale di Roma Fiumicino Leonardo da Vinci, il palazzo della Confindustria all’EUR ed il Jolly Hotel in corso d’Italia a Roma, gli ultimi tre con il coinvolgimento già attivo del figlio Edoardo che li portò a compimento.
Il M. fu uno dei più significativi interpreti italiani di quel filone più vivo del movimento moderno che in Italia come altrove si batté contro tutto ciò che tendeva a condizionare negativamente l’evoluzione dell’architettura, contribuendo ad affermare l’identità e la vitalità dell’architettura italiana nel mondo durante quella irripetibile stagione di diffusione del design e dello stile italiano che furono gli anni della ricostruzione e dello sviluppo economico e industriale del paese. Anche per questi meriti, il 25 nov. 1968 gli venne conferita l’onorificenza di cavaliere di Gran Croce dell’Ordine al merito della Repubblica Italiana.
Il M. morì a Roma, improvvisamente, il 3 marzo 1969.
Fonti e Bibl.: Roma, Archivio degli architetti Vincenzo Monaco e Amedeo Luccichenti; Amedeo Luccichenti e V. M. architetti, a cura di M. Labò, Roma 1947; Mor. [L. Moretti], Casa in Roma sui Monti Parioli architettura di Amedeo Luccichenti e V. M., in Spazio, ottobre 1950, n. 3, pp. 52 s.; Immeuble à Taranto. Luccichenti e V. M. architectes, in L’Architecture d’aujourd’hui, giugno 1952, n. 41, p. 59; Paesaggio di M. e Luccichenti, in Domus, 1952, n. 271, pp. 12-15; Arquitectos Amadeo Luccichenti y V. M., in Quadernos de arquitectura, ottobre 1954, n. 19, pp. 9-14; G.E. Kidder Smith, Italy builds, London 1954, ad indicem; P. Nestler, Neues Bauen in Italien, München 1954, ad indicem; Sull’Aurelia e la Salaria, in Domus, 1955, n. 308, pp. 9-11; Recent works by Luccichenti and M., in The Architectural Review, dicembre 1955, pp. 382-387; C. Pagani, Architettura italiana oggi, Milano 1955, ad indicem; Guida all’architettura contemporanea in Roma, a cura di V. Bacigalupi - G. Boaga - B. Boni, Roma 1965, schede c10, c11, c20, fe, g3, m10, m32; R. Lucente, Le palazzine dello Studio di V. M. e Amedeo Luccichenti, in Metamorfosi, 1990, n. 15, pp. 61-64; L. Ciancarelli, La palazzina romana, ibid., pp. 30 s.; F.R. Castelli - P.O. Rossi, Una villa per la «Banda Petacci», in Capitolium, III (1999), 11-12, pp. 87-91; P.O. Rossi, Roma. Guida all’architettura moderna 1909-2000, Roma-Bari 2000, ad indicem.