MARMORALE, Vincenzo (Enzo V.). – Nacque a Paduli (Benevento) il 13 apr. 1901 da Giuseppe e Anna Maria Russo. Ultimo di cinque figli, rimase orfano del padre all’età di nove anni. Dopo la licenza liceale conseguita da privatista, studiò dapprima all’Università di Napoli, dove ebbe come maestri F. Torraca ed E. Cocchia e dove si laureò in lettere nel 1922, poi a Firenze per il perfezionamento. A partire dal 1925, insegnò nei licei di Caltanissetta, Catania, Benevento e Napoli; quindi, nel 1942, ottenne la cattedra di letteratura latina all’Università di Catania, dove rimase fino al 1946, per passare poi all’Università di Genova (1947-50)
e infine alla facoltà di magistero dell’Università di Roma, dove resse la cattedra di lingua e letteratura latina per quindici anni
Negli anni della docenza nelle scuole il M. si dedicò all’approfondimento degli studi di filologia classica e alla composizione di testi in latino e in italiano. Risalgono infatti a quel periodo i poemetti in esametri Sirenes e Iter Cumas (Napoli 1925), nonché un’epistola ficta, il Manlius Catullo (Benevento 1928) in distici elegiaci, e i Rerum Latinarum fragmenta, sette fra pezzi lirici ed epigrammi (Napoli 1928); opere, queste, tutte ripubblicate in un’unica raccolta intitolata Carmina (ibid. 1942), comprendente anche il Salius, in esametri, scritto nello stesso periodo degli altri carmi, ma fino ad allora inedito.
Già le trame singolarmente originali di questi componimenti tradiscono gli interessi eruditi del giovane M. (il quale, fatta eccezione per i primissimi lavori, firmò sempre la sua produzione con il nome di Enzo V.); Sirenes parla infatti del suicidio delle sorelle marine, dovuto non all’umiliazione loro inflitta da Odisseo, ma all’innamoramento per alcuni marinai tirî. Nell’Iter Cumas, la prova forse più suggestiva del M. poeta neolatino, si contrappongono l’oscurità del lago d’Averno e l’assolato paesaggio dell’acropoli della città campana. Con il Salius il M. prosegue la narrazione virgiliana della gara di corsa del V libro dell’Eneide, protagonisti Salio e Niso. Di tenore ancor più scopertamente filologico è la lettera fittizia Manlius Catullo, nella quale il M. ricostruisce un’ipotetica missiva di Manlio Torquato a Catullo ricavandone i contenuti dalla «risposta» rappresentata per l’appunto dalla prima parte del carme 68 di Catullo, nonché dalla caratterizzazione che di Manlio fa Cicerone nella Pro Sulla. Se la propensione all’indagine filologica si svela sia nell’impianto generale di questi componimenti sia nell’attenzione per il dettaglio erudito (per esempio nel Salius la nazionalità arcadica del personaggio), la scelta dei temi e la diffusa tonalità di tutti i versi latini del M. mostrano un atteggiamento esistenziale incline a una melanconia di tipo decadentistico.
Medesimo è lo spirito che emerge dalla produzione in italiano del M. – realizzata sia da docente liceale, sia durante l’insegnamento universitario –, della quale rimangono quattro opere edite: la raccolta di novelle La nostra vita (Napoli 1932); il romanzo Villa a mare (ibid. 1933: sviluppo della novella La nostra vita che dà il titolo alla raccolta omonima); la silloge di poesie Liber gradualis (ibid. 1936); e, infine, un volume pubblicato con lo pseudonimo di Velio Longo e intitolato La figlia di Lilith (ibid. 1955) che comprende l’azione drammatica La figlia di Lilith più la raccolta poetica Dodici canti. Un romanzo rimasto inedito, che doveva essere intitolato Le tre sorelle, va probabilmente identificato con il lavoro omonimo citato nella novella La nostra vita e lì attribuito al personaggio di Paolo Martano, ipostasi dello stesso Marmorale.
Tutta l’opera del M. in lingua italiana è accomunata da un medesimo substrato etico tendente alla tipizzazione dei personaggi e alla uniformità della caratterizzazione (individui che, pur provati dalle sofferenze, conservano sensibilità e umanità, sempre comunque in bilico fra speranza e depressione), e alterna momenti narrativi e flashback in cui emerge una pointe moralistica. Come già nella produzione in latino, anche qui appaiono alcuni fra i più comuni topoi del decadentismo europeo quali la predilezione per paesaggi e scenari lussureggianti e sensuali, per le atmosfere cimiteriali e «gotiche» fusi con reminiscenze della poesia classica, nonché con influenze di scrittori dell’Ottocento inglese (per esempio A.Ch. Swinburne) e francese (in particolare J.-A. Barbey d’Aurevilly, che affascinava il M. per la fosca commistione tra il religioso e il sacrilego caratteristica delle sue opere); il tutto sostanziato da un marcato autobiografismo con specifici riferimenti al mondo infantile dell’autore. Oltre alle opere originali va menzionato anche un commento a passi scelti della Gerusalemme liberata di T. Tasso (Napoli 1938).
L’attività di filologo classico del M. ebbe inizio nel 1933 con i commenti ai ciceroniani De divinatione (l. I, Milano 1933; l. II, ibid. 1934) e Academica (ibid. 1935): una scelta che rivela come l’attenzione del M. fosse rivolta sia al lato misterioso sia all’interpretazione razionalistica dell’esistenza. Nel decennio 1936-46 il M. coltivò lo studio della satira latina.
In particolare i suoi lavori su Petronio contribuirono ad animare la nuova stagione critica sull’autore inaugurata nel 1921 da C. Marchesi e proseguita nel 1933 da E. Paratore. Nel breve ma vigoroso Petronio (Napoli 1936) il M. ne rivalutò completamente l’opera, riconoscendo nell’umorismo triste, ancor più che nella comicità crassa e animalesca, il tratto dominante del Satyricon. Replicando a U.E. Paoli, il quale aveva sostenuto (L’età del «Satyricon», in Studi italiani di filologia classica, n.s., XIV [1937], 1, pp. 3-46) che il Satyricon fu scritto fra II e III secolo d.C., col Petronio nel suo tempo (Napoli 1937) il M. ricollocò l’autore in età neroniana.
Il processo di revisione critica della letteratura satirica dell’età imperiale continuò con Giovenale (Napoli 1938), in cui, assecondando i canoni dell’estetica crociana allora dominanti, il M. negò il titolo di poeta, ma anche quello di moralista, all’alfiere dell’indignatio, incapace sia di guardare il mondo esterno col distacco necessario al poeta, sia di proporre valori diversi da quelli deprecati. Nel Persio (Firenze 1941) riconobbe invece al poeta satirico la capacità di osservazione «candida» della realtà, resa attraverso potenti e vivide rappresentazioni caratterizzate da un corrosivo spirito critico (delle Satire di Persio il M. fece anche alcune traduzioni poetiche [Napoli 1938; Catania 1943]).
Negli anni Quaranta il M. tornò a occuparsi di Petronio con La questione petroniana (1946, ma Bari 1948) e il commento alla Cena Trimalchionis (Firenze 1947).
In entrambe tali opere, con dichiarata palinodia rispetto agli studi precedenti, il M. accettò la tesi «separatista», negando l’identificazione fra il Petronio di età neroniana (cfr. Tacito, Annales, XVI, capp. 18-19) e l’autore del Satyricon, che sarebbe invece vissuto nel II-III secolo. In particolare, nel commento alla Cena il M. tentò di dimostrare i rapporti fra la lingua del Satyricon e quella di autori del II secolo, quali Apuleio e Frontone. Del problema della lingua tratta in dettaglio La questione petroniana, nella quale il M. sostenne innanzitutto che la lingua parlata dai personaggi, sia colti sia incolti, del Satyricon è in sostanza la lingua parlata nel II-III secolo, ma fornì anche ulteriori prove per dimostrare la seriorità di Petronio.
In quegli stessi anni il M. si dedicò anche alla letteratura di età arcaica con i due saggi Cato Maior (Catania 1944) e Naevius poeta (ibid. 1945).
Nel primo, dopo aver ricostruito la carriera di Catone, il M. traccia un profilo lucido e per nulla apologetico della sua poliedrica attività di agricoltore, oratore, storico e uomo politico. Nel Naevius poeta a un’analisi complessiva dell’attività letteraria di Nevio seguono l’edizione e il commento dei frammenti del poeta, che, per il loro rigore, divennero un modello per tutta la successiva critica neviana.
L’attività del decennio 1936-46 è completata dalla Storia della letteratura latina dalle origini al IV secolo (Napoli 1936 e successive edizioni), strutturata, secondo le tendenze dell’epoca, come una raccolta in successione di profili critici; dall’edizione critica degli Exempla elocutionum di Arusiano Messio (ibid. 1939) e, infine, da commenti ad alcuni libri dell’Eneide (VIII e IX, Firenze 1942; I, ibid. 1946).
Nel quadriennio genovese (1947-50), l’abbandono della critica letteraria di più fedele matrice crociana indusse il M. a una fase di rimeditazione: dopo aver perfezionato la ritrattazione su Petronio, nel 1948 il M. fondò il Giornale italiano di filologia, rivista che secondo le sue intenzioni doveva essere «non […] un periodico di critica, ma di preparazione alla critica» (ibid., I [1948], p. 1), in quanto doveva accogliere contributi preparatori di diverse discipline e alimentare nel contempo i rapporti di queste con la filologia.
Lo stesso M. vi intervenne con numerosi saggi su svariati argomenti: dalla metrica (III [1950], pp. 72 s.; V [1952], pp. 148 s.), alla cronologia (II [1949], pp. 361 ss.), alla ricezione dei classici nelle letterature moderne (con successivi articoli, XII [1959]).
Appartiene a questo periodo anche L’ultimo Catullo (Napoli 1952), nel quale il M., opponendosi alla visione crociana di Catullo eterno fanciullo passionale, tentò di ricostruire la cronologia dei carmi secondo una linea di evoluzione psicologica che avrebbe portato l’autore dall’iniziale lusus poetico a una più intensa maturazione spirituale.
Questa seconda fase della vita e della produzione di Catullo sarebbe stata conseguenza del viaggio in Bitinia nel 56 a.C., compiuto per visitare la tomba del fratello, ma anche per reagire alla fine della storia d’amore con Lesbia. In Oriente il poeta avrebbe abbracciato culti dionisiaci, superando in tal modo la crisi esistenziale che stava attraversando: riflesso, secondo il M., anche del più generale malessere religioso della società romana dell’epoca.
Nel 1960 il M. pubblicò a Napoli Pertinenze e impertinenze, una raccolta di studi editi e inediti (questi ultimi dedicati all’Appendix Vergiliana).
Il M. morì a Roma il 23 ott. 1966.
Fra le opere del M. si vedano inoltre: Catoniana, in Paideia, II (1947), pp. 141-145; Versus Sotadei, in Giorn. italiano di filologia, II (1949), p. 80; Nota biobibliogr. su A. Beltrami, in In memoriam Achillis Beltrami. Miscellanea philologica, Genova 1954, pp. 36-38.
Fonti e Bibl.: Paduli, Arch. comunale, Atti di nascita, 1901, p. I, n. 45; In memoriam Entii V. Marmorale, in Giorn. italiano di filologia, XX (1967), pp. III-VIII; Argentea aetas. In memoriam Entii V. Marmorale, Genova 1973, pp. 7-15 (con bibl. a cura di L. Pepe); G. Coppola, Enzo V. M. latinista-letterato, Benevento 1989 (con bibl. curata da L. Pepe); Enzo V. M.. Atti della Giornata di studio… 1989, a cura di A.V. Nazzaro, Benevento 1990 (con nota biografica e bibl. a cura di L. Pepe).