VINCENZO MARIA STRAMBI, santo
VINCENZO MARIA STRAMBI, santo. – Nacque a Civitavecchia il 1° gennaio 1745 da Giuseppe e da Eleonora Gori.
Il padre, di origini piemontesi (era nato a Refrancore, nell’Astigiano) si era trasferito nella città portuale dello Stato pontificio, dove aveva intrapreso l’attività di speziale. Unico sopravvissuto di quattro fratelli, morti tutti in tenera età, Strambi venne avviato alla vita religiosa. Presi gli ordini minori, il 4 novembre 1764 entrò nel seminario di Montefiascone. Dopo aver frequentato il collegio Calasanzio di Roma (dove ebbe come maestro lo scolopio Giovanni Luigi Bongiocchi), e successivamente il convento domenicano di Viterbo, il 14 marzo 1767 ricevette il diaconato e il 19 dicembre dello stesso anno l’ordinazione sacerdotale. Pochi mesi prima era stato nominato prefetto del seminario di Montefiascone, carica che abbandonò nel febbraio del 1768, quando fu chiamato dal vescovo di Bagnoregio a dirigere il locale seminario. L’esigenza di un più intenso e rigoroso impegno spirituale portò Strambi ad abbandonare questo incarico e a cercare, invano, di entrare tra le fila dei cappuccini e dei lazzaristi. Tornato a Roma, approfondì dapprima gli studi di teologia nel convento domenicano di S. Sabina; poi, venuto in contatto con la congregazione dei passionisti, fondata pochi anni prima da Paolo della Croce, decise di entrarvi. Ammesso al noviziato nel settembre del 1768, nonostante la contrarietà del padre (che aveva cercato di far intervenire anche il vescovo di Viterbo, il cardinale Giacomo Oddi, per dissuadere il figlio dal suo proposito) Vincenzo fece solenne professione il 24 settembre 1769. Dal convento del Monte Argentario, dove, sotto la guida di Paolo della Croce, conduceva un’esistenza scandita dall’estrema durezza della regola passionista, Strambi si allontanò per svolgere un’intensa attività missionaria nei territori più interni dello Stato pontificio. Nel settembre 1771 si recò a Todi, l’anno successivo ad Amelia, per poi tornare (dopo una breve permanenza a Civitavecchia, dove si dedicò alla predicazione ai forzati sulle galere) a Visso, a Spello e nel Viterbese.
La sua fama, rapidamente diffusasi in tutta l’Italia centrale, indusse nel 1774 la Curia romana a chiamarlo nell’Urbe. Qui, insediatosi presso la casa generalizia passionista dei Ss. Giovanni e Paolo (dove sotto la sua direzione fiorì una rinomata scuola di sacra eloquenza), si affermò in breve tempo come uno dei più apprezzati predicatori di Roma. La sua intensa attività omiletica, catechetica e missionaria, condotta nelle principali chiese della città santa ma anche nelle borgate e nei rioni più popolari, non lasciò indifferente la gerarchia ecclesiastica, preoccupata dai fermenti di stampo illuministico che stavano agitando la società romana. Durante il pontificato di Pio VI Strambi, il cui credito andava crescendo anche presso molti cardinali che ne ascoltavano assiduamente le prediche, divenne un saldo punto di riferimento della Sede apostolica nella sua opera di denuncia dei mali e dei pericoli della modernità. Dopo la morte di Paolo della Croce, Strambi (che del fondatore dei passionisti divenne il primo biografo, nonché il postulatore nella causa di canonizzazione), assunse un crescente peso nella nuova congregazione, testimoniato dagli incarichi (superiore provinciale, consultore e postulatore generale) che ricoprì nel corso degli anni. La fama acquisita a Roma, dove si era fatto stimare da influenti personalità di Curia, favorì la sua nomina a vescovo di Macerata e Tolentino, avvenuta il 26 luglio 1801.
Nel governo della diocesi marchigiana, di cui intraprese subito la visita pastorale, impresse un’austera disciplina, censurando quell’allentamento di rigore nella vita e nei costumi del clero e della popolazione che aveva riscontrato in diverse parrocchie e luoghi pii. Oltre a rilanciare il seminario (del quale formulò un più severo regolamento), il vescovo intensificò l’impegno missionario, la predicazione, la catechesi, nonché le opere di carità e di beneficenza. Nella sua zelante azione pastorale Strambi incontrò qualche resistenza da parte del capitolo cattedrale, fermo nel rivendicare il rispetto di tradizioni e consuetudini a fronte delle istanze di rinnovamento promosse dal vescovo. Il rinvigorimento dell’apostolato nella diocesi retta da Strambi avveniva in un contesto difficile, reso ancor più complicato dalla repentina evoluzione del quadro politico generale. Nel 1808, infatti, le Marche erano state annesse al Regno Italico, che impose anche qui la restrittiva legislazione napoleonica in materia di culti e di organizzazione della vita religiosa. Strambi, il quale aveva esplicitato il suo dissenso rispetto alle condizioni venutesi a creare per la Chiesa dopo l’annessione disertando il Te Deum celebrato nella cattedrale di Macerata, si rifiutò (seguendo le indicazioni provenienti in tal senso da Pio VII) di prestare il giuramento di fedeltà al governo napoleonico imposto anche ai vescovi e ai parroci. Tale scelta comportò il sequestro dei beni e delle rendite del presule nonché il suo trasferimento forzato a Milano, dove giunse il 10 ottobre 1808, per poi essere condotto due giorni dopo a Novara. Nella città piemontese Strambi rimase un anno: nell’ottobre del 1809 fece infatti ritorno a Milano dove, avendo preso residenza dapprima presso il collegio dei barnabiti, poi nel palazzo del marchese Giovanni Battista Litta Modignani, nipote del cardinale Lorenzo Litta, del quale Strambi era intimo amico, continuò in forma discreta il suo apostolato. Dall’esilio Strambi (che formalmente continuava a governare le diocesi di Macerata e Tolentino attraverso il suo vicario generale) cercò infatti di rispondere alle necessità della sua Chiesa inviando lettere pastorali e modeste sovvenzioni economiche, senza rinunciare a dare alle stampe anche alcune operette devozionali che riflettevano la spiritualità passionista che in lui assunse «un tono più interiorizzato ed ascetico» (De Giorgi, 1995, p. 152). A Milano Strambi venne inoltre a contatto con influenti figure (anche femminili) della nobiltà cittadina che ne ricercavano la direzione spirituale, nonché con importanti esponenti del clero ambrosiano molti dei quali risultavano affiliati all’Amicizia cristiana, il movimento che raccoglieva le istanze antilluministe e controrivoluzionarie del cattolicesimo di impronta conservatrice.
Dopo la caduta di Napoleone, Strambi decise di tornare a Macerata, dove giunse il 14 maggio 1814, giusto in tempo per accogliere Pio VII, di passaggio in città (il 16 maggio) nel viaggio di ritorno a Roma dopo la lunga prigionia.
Macerata era tuttavia occupata (come il resto delle Marche) dalle truppe napoletane di Gioacchino Murat, che il 3-4 maggio subì a Tolentino una decisiva sconfitta a opera dell’esercito austriaco. In quel difficile frangente, nel quale la diocesi marchigiana era divenuta un cruento campo di battaglia, Strambi dovette far valere la sua autorità perché le città e i paesi sottoposti alla sua giurisdizione episcopale non patissero violenze e ritorsioni da entrambe le parti belligeranti.
Finita la guerra il vescovo, che intanto aveva rinunciato agli incarichi precedentemente conferitigli di governatore di Loreto e di amministratore apostolico della Santa Casa, riprese la sua intensa azione pastorale. Oltre al ripristino e al restauro di monasteri, conventi ed edifici di culto che aveva trovato chiusi o danneggiati al suo ritorno, Strambi diede nuovo impulso all’associazionismo confraternale e alle molte istituzioni assistenziali e caritative presenti sul territorio diocesano. Riservò particolare attenzione al ripristino della disciplina del clero e della moralità delle popolazioni, la cui rilassatezza, giudicata eccessiva e imputata agli effetti dell’occupazione francese e del governo napoleonico, venne censurata con un rigore che, in qualche occasione, diede origine a tensioni e incomprensioni.
Affaticato, anche data l’avanzata età, dalle pressanti incombenze del governo della diocesi, l’11 novembre 1823 diede le dimissioni che furono accettate dal nuovo pontefice, Leone XII. Il marchigiano Annibale della Genga, eletto al soglio pontificio il 28 settembre 1823, volle l’anziano padre passionista come suo consigliere e confessore privato. Strambi si recò allora nell’Urbe dove, per qualche settimana, frequentò assiduamente il Quirinale.
Colpito da apoplessia il 28 dicembre 1823, spirò il 1° gennaio 1824 e venne sepolto nella basilica romana dei Ss. Giovanni e Paolo. A Macerata (nella cui cattedrale venne realizzato un cenotafio in suo ricordo), le spoglie di Strambi furono traslate il 12 novembre 1957 e deposte nella chiesa di S. Filippo.
Subito dopo la morte prese avvio il processo di canonizzazione, i cui esiti si ebbero nel Novecento. Beatificato il 26 aprile 1925, venne proclamato santo da Pio XII l’11 giugno 1950, divenendo patrono delle diocesi di Macerata e Tolentino.
Opere. Strambi fu prolifico autore di opere teologiche, morali e devozionali (molte delle quali rimaste manoscritte o pubblicate postume) fra cui Dei tesori che abbiamo in Gesù Cristo nostro Salvatore e dei misteri della sua vivifica passione e morte fonte perenne di tutti i beni, Macerata s.d. [ma 1805]; Raccolta di esercizj divoti e pie istruzioni per facilitare ai fedeli la prattica santa e fruttuosa degli atti di religione, a promuovere ne’ loro cuori la vera pietà, Roma 1819; Il Mese di giugno consecrato al preziosissimo sangue del nostro amabilissimo Redentore, Roma 1820; Il Mese di giugno consecrato al preziosissimo sangue del nostro amabilissimo Redentore, Roma 1829 (queste due opere vennero scritte su impulso di Gaspare del Bufalo, fondatore dei missionari del Preziosissimo Sangue, con il quale Strambi avevo stretto un fraterno rapporto di amicizia); Esercizio di brevi, ed affettuose meditazioni sopra la passione santissima di Gesù Cristo per ogni giorno del mese, Venezia 1836; Raccolta di esercizi divoti e pie istruzioni per un sacerdote passionista con l’aggiunta delle regole di vita per giovanetto e per giovanetta, Napoli 1854. Scrisse inoltre una biografia del fondatore dei passionisti: Vita del ven. servo di Dio P. Paolo Della Croce fondatore della Congregazione de’ Chierici Scalzi [...] Estratta fedelmente dai processi ordinarj, Roma 1786 (varie edizioni aggiornate, l’ultima delle quali è San Paolo della Croce: biografia, Cantalupa 2004).
Fonti e Bibl.: Macerata, Archivio storico diocesano, Sr. I, Vescovi, b. 3, ff. 2, 3, 4, 5, 6, 7, 12; Sr. II, Visite pastorali: b. 19, ff. 1, 2, 3; Sr. IV, Acta Sanctorum: bb. 27, 28a, 28b, 29a, 29b, 30a (e relativi volumi della Positio); Roma, Archivio generale della Congregazione della Passione di Gesù Cristo, Postulazione, Fondo Strambi.
M. Ferruzzi, Compendio della vita del defunto monsignore V. M. S. vescovo di Macerata e Tolentino scritto in latino [...] e nella versione italiana corredato di copiose note dal canonico teologo Pietro Rudoni di Milano e aumentato in questa terza edizione di molte lettere e principalmente d’un breve del sommo pontefice Leone XII, Milano 1826; Ignazio del Costato di Gesù, Vita del venerabile servo di Dio V. M. S., della congregazione de’ Passionisti, vescovo di Macerata e Tolentino, estratta fedelmente dai processi ordinari, Roma 1844; Federico dell’Addolorata, V. M. S., in Bibliotheca Sanctorum, XII, Roma 1969, coll. 1178-1180; F. Menegazzo, S. V. M. S. e l’«Amicizia Cristiana» di Milano, in Memorie storiche della diocesi di Milano, XVI (1969), pp. 145-149; C.A. Naselli, La soppressione napoleonica delle corporazioni religiose. Il caso dei Passionisti in Italia (1808-1814), Roma 1970, pp. 26-38; F. Talocchi, V. M. S., in Storia di Macerata, a cura di A. Adversi - D. Cecchi - L. Paci, II, Macerata 1972, pp. 450-560; F. De Giorgi. La scienza del cuore. Spiritualità e cultura religiosa in Antonio Rosmini, Bologna 1995, pp. 152, 176, 201; P. Cartechini, La diocesi di Macerata nel periodo napoleonico: due vescovi nella bufera, in Lo Stato della Chiesa in epoca napoleonica. Atti del XIX Convegno del Centro studi avellaniti, Fonte Avellana... 1995, s.l. 1996, pp. 436-446; F. Giorgini, Storia dei Passionisti, III, Roma 2000, s.v.; P. Alonso - F. Piélagos, Storia dei Passionisti, IV, Roma 2011, s.v.