MANENTI, Vincenzo
Nacque a Orvinio (già Canemorto), nel Reatino, nel 1600 da Lucia e da Ascanio, pittore che era stato allievo di C. Roncalli.
Tra i dipinti di Ascanio visibili a Rieti, si ricordano il S. Giovanni Battista tra la Maddalena e s. Eligio (vescovado), S. Alessandro papa tra due donatori e la Madonna del Rosario (S. Francesco), le Storie di s. Bernardino, affresco dell'oratorio omonimo e il S. Andrea apostolo, conservato nel Museo civico.
Secondo Orlandi il M. mosse i primi passi nella bottega del padre, i cui insegnamenti furono utili per recepire tanto le teorie artistiche della cosiddetta cerchia dei Crescenzi, con la quale Ascanio era in contatto, quanto la cultura figurativa del tardomanierismo d'ascendenza romana. Parallelamente, il M. accolse anche le novità del classicismo di marca emiliana e gli aggiornamenti linguistici provenienti da Roma: o con la mediazione delle opere presenti in Sabina (di G.F. Romanelli, A. Sacchi, G. Gimignani, G. Cerrini, G.A. Galli detto lo Spadarino) o attraverso la conoscenza diretta dei cantieri romani più importanti.
Queste due componenti si rivelarono fondamentali nell'elaborazione di un repertorio formale personale, peraltro decisamente stereotipato, che il M. seppe diffondere oltre i confini laziali, a conferma di un successo duraturo e piuttosto insolito per un autore che scelse deliberatamente di operare in provincia. Le personalità cui il M. si sarebbe riferito furono da principio il Cavalier d'Arpino (Giuseppe Cesari), con il quale, si ipotizza, collaborò nella basilica di S. Pietro (Tozzi, p. 105); in un secondo momento il Domenichino (Domenico Zampieri) che fu, forse, il suo vero maestro. Proseguendo un cammino intrapreso dal padre, il M. volle specializzarsi in scene di soggetto sacro con forte valenza ritrattistica, rivelatrici di molteplici rimandi a quel "linguaggio ecumenico e cordiale, di larga disponibilità e accessibilità, didatticamente incisivo e emotivamente coinvolgente" elaborato nei primi anni del Seicento, a dimostrazione di un vero e proprio culto per la "figura tornita, isolata nello spazio, impettita e inquieta" (Il cavalier V. M., 2003, pp. 2 s.) che si ravvisa in molti personaggi da lui dipinti.
Risulta difficile ricostruire la prima attività del M. anche perché, oltre a mancare fonti documentarie utili, le cinquanta piccole immagini di S. Sebastiano per M. Boncompagni citate in un documento d'archivio del 1616 (Del Frate, p. 17 n. 8) sono andate perdute. Va inoltre considerato marginale il suo intervento nel S. Pietro Martire tra i ss. Girolamo e Maria Maddalena (Tivoli, chiesa di S. Biagio), dipinto ascritto recentemente al catalogo paterno. Negli anni Venti il M. dovette allontanarsi da Orvinio, perché fu accusato di aver aggredito una fanciulla in seguito a una crisi di gelosia. Raggiunto dal genitore, trovò riparo in Abruzzo grazie al favore dei nobili Ricci, originari di Rieti, che tra il 1629 e il 1630 gli allogarono la decorazione di alcuni possedimenti familiari.
Distrutto nel 1703 il palazzo di Montereale in seguito a un violento sisma, qualcosa degli affreschi del M. di soggetto mitologico è ancora possibile osservare nella villa Ricci Valentini a Mopolino. L'episodio con Diana e Atteone dimostra egregiamente la cultura bipolare del Manenti. Da un lato s'individuano forti legami con il Cavalier d'Arpino, che aveva dipinto lo stesso tema nel 1601 (Parigi, Louvre), soprattutto nella fedeltà allo schema compositivo. Dall'altro, il M. attribuì più spazio all'arioso e luminoso paesaggio e ingentilì le movenze delle ninfe affidandosi a una luce che modella i corpi morbidamente, sulla falsariga della pittura romano-bolognese. Del Frate (p. 18) ha ipotizzato che anche la Madonna con Bambino tra i ss. Giuseppe e Domenico, conservata sull'altare della cappella Ricci, nella locale chiesa di S. Flaviano, debba collocarsi tra le prime prove, soprattutto per la fisionomia di Giuseppe, che ricorre con una certa frequenza nella successiva produzione del Manenti.
Subito dopo il M. rientrò in Sabina, presumibilmente a Rieti (Tozzi, p. 11), e sposò Beatrice De Amicis nel 1631. Evidentemente fu riabilitato dalla cittadinanza, poiché dopo il 1633 gli fu concesso il titolo di cavaliere e fu accettato tra gli amministratori locali. In seguito il M. affrescò, a Rieti, le lunette sovrastanti i portali della cattedrale (Vergine e santi).
Non sono esempi di grande valore, anche a causa di vaste ridipinture, e tuttavia la particolare valenza devozionale delle scene valse al M. il successivo ingaggio per l'ornamentazione di due cappelle interne. Nel frattempo egli si era spostato nel chiostro nuovo del convento di S. Domenico, per realizzare alcune lunette con Storie di s. Colomba, attualmente considerate la sua prima impresa pubblica autonoma (1634). Anche in questo caso gli episodi sono di difficile lettura a causa di una diffusa consunzione e di numerosi rifacimenti. In generale le scene sono ancora poco affascinanti, forse per l'eccessiva rapidità d'esecuzione e manifeste incertezze nella resa dei volumi, ma rivelano straordinarie doti di colorista raffinato e guizzi d'ingegno nel racchiudere le vicende della santa entro scenari architettonici in prospettiva.
In quegli anni il M. si impegnò nella ricerca di un linguaggio il più possibile svincolato dalla tarda maniera assorbita durante l'apprendistato. A tal fine, dopo aver lavorato a Poggio Mirteto e a Fara Sabina, si sarebbe recato a Roma, come testimonia una lettera del 10 maggio 1635 inviata dal padre al governatore di Rieti (Del Frate, p. 9 n. 10). L'esito positivo del viaggio è visibile nelle cappelle della cattedrale reatina, segnatamente in quella dedicata a S. Giuseppe che ospita diversi riquadri ad affresco, sia sulla cupola sia sulle pareti laterali. Proprio l'Apparizione della Vergine a s. Martino di Tours (1636) rivela il deciso superamento del linguaggio formale di partenza a favore di una capacità narrativa più spigliata e cromaticamente delicata: l'apertura verso il paesaggio, l'aggetto della mitria del santo, la particolare lucentezza del piviale, l'accurato scorcio della mano sinistra di Martino e i volti delle figure femminili si richiamano apertamente a uno stile romano che si sostanzia di naturalismo e classicismo. Una certa sensibilità per il contesto naturale e l'addolcimento delle linee improntano anche le Storie della vita della Vergine, in uno dei tre ambienti dell'episcopio cittadino che egli fu chiamato a ornare nel 1637. All'interno dell'edificio l'operato del M. fu piuttosto vasto e su soggetti diversi, che, oltre alle scene mariane, prevedono stemmi dei vescovi reatini e figure di santi a monocromo.
È evidente la tendenza del M. a dilatare oltremodo le scene, col risultato di rivelare un certo impaccio; pur tenendo conto che codeste scelte compositive dovevano incontrare il gusto attardato della committenza, sarà forse il caso di ammettere che al M. la tecnica ad affresco fu meno congeniale della stesura su tela, soprattutto per le figure - qui monumentali ma decisamente troppo statiche - per le quali talvolta egli fu costretto al recupero di stilemi arcaizzanti. Le composizioni sembrerebbero essere addirittura calchi ingranditi di due episodi perugineschi dipinti per la chiesa di S. Maria Nova a Fano.
Nello stesso segmento cronologico si può collocare la tela raffigurante la Madonna con Bambino tra i ss. Bartolomeo e Bruno per la certosa di Trisulti (1637-40), giustamente sottratta al catalogo del Cavalier d'Arpino e ricondotta al Manenti. Mostra, infatti, una "sacra conversazione" il cui schema compositivo vale come firma del pittore: ai lati le figure intere dei santi, uno dei quali rivolto al cielo mentre l'altro osserva lo spettatore, e al centro la Vergine poggiante su morbide nuvole e circondata da angeli. Sempre nell'ambito delle opere attribuibili al M., trova valore anche l'ipotesi avanzata da Del Frate (p. 22) relativa a due cappelle decorate ad affresco nella chiesa dei Ss. Vincenzo e Anastasio a Rignano Flaminio, fino a qualche anno fa ignorate dagli studiosi.
La prima, dedicata ai santi titolari che sono anche i protagonisti delle Storie ivi dipinte, si caratterizza per un uso estremamente sciolto della pennellata e per colori raffinati, cui si aggiunge il ricorso alla prospettiva nel riquadro con l'Assunta. La data 1636 riscontrabile sull'arco d'ingresso potrebbe confermare la datazione degli episodi. L'altra, la prima cappella a destra, è di poco posteriore, in quanto le Storie della vita della Vergine ripropongono moduli figurativi già enunciati dal M. nel citato episcopio reatino.
Il secondo matrimonio del M. (con Margherita Oddi da Moricone) risale al 1638, subito prima di un'intensa campagna decorativa nei luoghi di culto di Subiaco, di cui restano opere soltanto al Sacro Speco e in S. Maria della Valle. Una testimonianza di maggiore ampiezza è invece quella data dalle Scene di storia locale e da una Madonna in adorazione del Bambino rinvenuti dopo il 1960 nel palazzo dei Priori di Rieti. Il filo conduttore della decorazione sembra essere la duplicità dell'esercizio del potere, con una netta sottolineatura della protezione mariana nei confronti della città. L'inserimento degli stemmi del vescovo F. Guidi da Bagno e del pontefice Innocenzo X costringono a una datazione d'ampio respiro, compresa fra il 1639 e il 1655. Sempre a Rieti sopravvivono alcune scene a monocromo per il palazzo della famiglia Vincentini (oggi sede della prefettura), che gli allogò anche gli ornamenti - distrutti, tranne una tela nella cappella privata - nella residenza extraurbana di Terria. I soggetti ruotano attorno a tre temi: Divinità olimpiche, Fatiche di Ercole e Scene della Gerusalemme liberata. Sembra che in quest'impresa il M. si sia avvalso per l'ultima volta della collaborazione del padre, che in casa Vincentini aveva redatto il proprio testamento. La prima metà del quinto decennio è il riferimento temporale per alcune tele conservate in diverse località dell'Umbria, dove il M. operò con un certo successo; nel 1643, però, egli era sicuramente al lavoro nel paese natio, presso la chiesa di S. Maria di Vallebona, nel santuario omonimo. Ulteriori testimonianze del suo operato si possono rintracciare a Montopoli Sabina (1645), a Subiaco (1646), a Rieti (1647) e a Farfa, dove si stabilì nel 1648 a decorare il refettorio dell'abbazia benedettina. Il secondo viaggio in Umbria è databile al primo quinquennio degli anni Cinquanta e si svolse tra Narni, Norcia e Ancarano; in quest'ultima località è conservata, presso la chiesa di S. Benedetto, la tela con la Madonna del Rosario priva delle usuali rappresentazioni dei Misteri, oggetto di un furto avvenuto pochi anni fa.
Questa iconografia fu proposta dal M. in più occasioni senza varianti (un'accolita di santi, con espressioni ispirate, che ricevono i rosari dalla Vergine col Bambino sospesi su nubi); ma, se rivela l'adesione a una tradizione antecedente e consolidata senza innovarla, merita comunque un riconoscimento per la accurata resa dei tessuti e l'acutezza dei ritratti.
Completamente nuova è, invece, l'impostazione della decorazione murale che avvolge la cupola della chiesa di S. Antonio al Monte a Rieti. L'Incoronazione della Vergine denuncia l'influenza delle vaporose e fluttuanti spazialità barocche, con richiami a soluzioni di G. Lanfranco e di Pietro Berrettini da Cortona, pur senza convincere completamente nella resa dello scorcio illusionistico. Verso il 1655 il pittore sostò per la terza volta a Subiaco e la Mensa di s. Gregorio Magno, nel refettorio di S. Scolastica, può considerarsi tra i suoi capolavori. Inedito e immediato è il riferimento all'opera omonima del Veronese (P. Caliari), soprattutto per l'uso massiccio di architetture e la notevole galleria di ritratti. Molto spazio viene concesso al paesaggio e al profilo di Roma, delineata sulla destra coi suoi edifici più rappresentativi. Successivamente il M. tornò nella cittadina d'origine e continuò a dipingere nel territorio circostante. Tra i quadri del periodo più tardo è da segnalare la Comunione della beata Colomba, per la chiesa reatina di S. Pietro Martire (1659), assai delicata nella fattura e nella resa degli atteggiamenti.
Il M. morì a Orvinio il 19 marzo 1674.
Fonti e Bibl.: P.A. Orlandi, L'Abcedario pittorico, Bologna 1719, p. 416; L. Lanzi, Storia pittorica dell'Italia( (1809), a cura di M. Capucci, I, Firenze 1968, p. 364; La certosa di Trisulti. Cenni storici, Tournai 1912, p. 29; Pittura del Seicento e del Settecento. Ricerche in Umbria, 1, Treviso 1976, pp. 19, 39, 68, figg. 11, 42, 67, 106, 115, 118, 132, 300; 2, ibid. 1980, p. 460, fig. 635; V. Di Flavio, Artisti del Seicento a Rieti, in Lunario romano, X (1981), pp. 294-299; G. Benazzi, in Pittura del Seicento. Ricerche in Umbria (catal., Spoleto), a cura di L. Barroero, Perugia 1989, pp. 191 s.; V. Di Flavio, Ascanio e V. Manenti pittori sabini del XVII secolo, in Lunario romano, XIX (1990), pp. 127-140; L. Barroero - L. Saraca Colonnelli, Pittura del '600 a Rieti, Rieti 1991, ad ind.; Sei-Settecento a Tivoli. Restauri e ricerche (catal., Tivoli), a cura di M.G. Bernardini, Roma 1997, p. 49, scheda 4; I. Tozzi, V. M. "Sabinus Pictor", Roma 2000; Il cavalier V. M. e il suo tempo (1600-1674) (catal.), a cura di I. Del Frate - G. Guarnieri, Orvinio 2000; Il cavalier V. M. e il suo tempo. Atti del Convegno, Orvinio( 2000, a cura di B. Fabjan, Roma 2003.