GIURA, Vincenzo
Nacque a Roccanova, nel Potentino, il 14 dic. 1847, da Raffaele e da Angiola Continanza; ancora adolescente si trasferì con la famiglia a Napoli, dove si dedicò all'arte dell'oreficeria. Nella ex capitale borbonica, la sua affermazione professionale e commerciale fu molto rapida e già negli anni Settanta avviò un piccolo laboratorio con alcuni operai.
Sebbene i gioielli da lui ideati e prodotti attingessero a un'antica tradizione, il carattere precapitalistico dell'attività stentava a reggere la concorrenza dei manufatti stranieri e nazionali. Questa difficoltà, largamente diffusa nella realtà artigiana locale, spinse il G. ad avviare un radicale processo di trasformazione delle strutture: l'esigenza che egli intese soddisfare fu principalmente quella di favorire il livello di formazione professionale delle maestranze nella convinzione che ciò avrebbe contribuito ad accrescere la competitività dell'azienda.
Pertanto, nel 1883, il G. colse al volo l'occasione offertagli dall'Istituto d'arti e mestieri Casanova di impiantare un'officina di oreficeria nei locali della scuola: egli stipulò una convenzione per la quale la natura della sua azienda restava privata, come pure quella dell'istituto, mentre gli studenti-lavoratori ne costituivano la manodopera. L'attività veniva esercitata come nelle altre officine cittadine e, in cambio dell'uso gratuito dei locali, il maestro d'arte aveva l'obbligo di insegnare il mestiere agli allievi, avvalendosi della loro opera retribuita con "una ragionevole mercede" (L'Istituto Casanova…, p. 14).
L'iniziativa creò le premesse per il successo del G. che, risolto così il problema produttivo, poté aprire un importante punto di vendita in via Roma, la principale arteria del centro cittadino. Inoltre, con una accorta politica di pubbliche relazioni, il G. si attivò per ottenere i più ampi riconoscimenti della sua attività.
Nel 1889 Umberto I gli conferì il brevetto della Real Casa mentre, nel 1893, il ministro di Agricoltura, Industria e Commercio lo propo-se per la croce di cavaliere della Corona d'Italia. Anche nelle varie mostre ed esposizioni cui partecipò, il G. ottenne le più ambite onorificenze: all'Esposizione generale di Torino, nel 1884, i lavori eseguiti dalla sua officina ebbero il diploma d'onore, massimo premio ottenibile; nel 1885, questi stessi lavori furono presenti all'Esposizione internazionale di Anversa; nel 1890, alla Mostra del lavoro che ebbe luogo a Napoli, ai prodotti del G. fu conferita la medaglia d'argento; infine, nel 1892, all'Esposizione di Palermo, il G. fu presidente della sezione oreficeria ed arti affini e i suoi lavori - un bracciale con gemme e un fermaglio con brillanti (margherita con foglie) - conquistarono nuovamente il diploma d'onore.
L'ascesa nelle più alte sfere della gerarchia commerciale napoletana consentì al G., ormai in età matura, di avvicinarsi alla Camera di commercio, organismo, all'inizio del secolo, elitario ed esclusivo, dove fu facilmente eletto consigliere, carica che mantenne ininterrottamente per circa vent'anni. La vita pubblica del G. ben presto si estese anche ai numerosi circoli e associazioni commerciali che, proprio in quel torno di tempo, rivendicavano una maggiore visibilità; di tali associazioni egli fu spesso presidente, e tra queste la più importante fu quella dei commercianti e industriali - fondata nel 1883 dal banchiere e deputato E. Arlotta -, che il G. guidò per quindici anni. Per il tramite di tale associazione, la quale aveva il fine prevalente di sostenere comitati elettorali, il G. entrò in politica riuscendo eletto consigliere comunale di Napoli alle elezioni del 17 luglio 1904.
Presentatosi nella lista cattolico-moderata, il G. fu molto vicino al sindaco F. Del Carretto, che allora raccoglieva i successi conseguenti alla prima e parziale attuazione della legge speciale per Napoli. Tuttavia, quando le successive inadempienze della giunta provocarono la caduta dell'amministrazione e una spaccatura all'interno della coalizione cattolico-moderata, il G. fu tra gli ex collaboratori di Del Carretto che passarono all'opposizione, costituendo il Fascio liberale.
Il riformarsi dell'antica maggioranza intorno a uomini autorevoli, come i senatori N. Avarna e F. Doria, e i giovani ma già illustri avvocati E. De Nicola e G. Porzio, decretò l'insuccesso dell'opposizione e, alle elezioni comunali del 24 marzo 1907, il G. non fu rieletto.
Nel dicembre 1904, a conclusione di un lungo periodo di riconoscimenti per la sua attività di orefice, il G. fu nominato cavaliere del lavoro e, a conferma del suo spiccato attivismo, si segnalò tra i maggiori organizzatori dell'Ordine.
Nel 1911 fu tra i promotori del primo congresso dei cavalieri del lavoro, tenutosi a Torino, in coincidenza con le celebrazione del cinquantenario dell'Unità d'Italia; tra il 1913 e il 1914 partecipò ai lavori preparatori e poi alla nascita dell'Associazione nazionale dei cavalieri del lavoro, avvenuta in occasione del secondo congresso; nel gennaio 1915, con l'approvazione dell'atto costitutivo, fu chiamato a far parte del primo consiglio direttivo dell'Associazione (Fondazione nazionale dei cavalieri del lavoro, p. 27).
Con lo scoppio del primo conflitto mondiale, l'attività del G. subì una brusca battuta d'arresto: la chiamata alle armi di molti fra i suoi allievi-operai impose la chiusura temporanea dell'officina. La generale fase di trasformazione delle attività da civili a belliche indusse, quindi, il G. a tentare una radicale riconversione produttiva, volta a soddisfare la crescente domanda di armi e munizioni, collegandosi ancora al Casanova che, completamente militarizzato, mutava la sua struttura di scuola d'arte e mestieri, in quella di istituto professionale industriale. Ma, nonostante il sostegno dell'amico U. Masoni, membro del Comitato regionale per la mobilitazione industriale di Napoli, l'iniziativa non ebbe successo, soprattutto per le notevoli difficoltà incontrate nel reperimento dei macchinari.
Non è, tuttavia, da escludere che in questo fallimento abbia inciso anche la nascita della Partenopea - la cooperativa napoletana per la produzione di materiale di guerra promossa dal presidente della Camera di commercio, G. Mauro, al fine di porre un argine al grave fenomeno del subappalto -, la quale contribuì certamente a ridurre le occasioni per il proliferare disordinato di attività improvvisate.
Nel marzo 1916, il G. fu costretto a rinunciare al suo progetto di riconversione e a sgombrare definitivamente i locali della scuola (Archivio dell'Istituto Casanova, Relazione del 13 marzo 1916).
I problemi legati alle grandi trasformazioni del mondo industriale napoletano, concretatisi durante il conflitto, furono trattati dal G. anche in sede camerale.
Insieme con altri consiglieri e con il presidente Mauro, egli si adoperò particolarmente perché fosse costituita, nel 1917, la Commissione generale per lo studio dei problemi economici per il dopoguerra, al cui interno il G., in qualità di rappresentante degli interessi dei commercianti, fu chiamato a presiedere un gruppo di lavoro incaricato di analizzare i problemi del settore della lavorazione dei coralli, delle oreficerie e affini (Russo, p. 374). Gli esiti finali cui approdò la commissione furono molto deludenti: comunque, avendo questa sottolineato l'importanza dell'istruzione professionale e tecnica per le maestranze, e auspicato la costituzione di un ente per lo sviluppo dell'ambiente industriale, si arrivò alla nascita, sempre nel 1917, dell'Unione regionale industriale, grazie alla quale inizialmente si poterono meglio coordinare le richieste di un più valido sostegno alla categoria da parte degli organi preposti alla mobilitazione e che poi, nel dopoguerra, aderì alla nascente Confindustria.
Uscito indenne dalle tumultuose elezioni della Camera di commercio del 1919 - che misero fortemente in discussione la gestione Mauro - il G. fu per i successivi due anni presidente della deputazione di borsa, contribuendo fortemente alla caratterizzazione della borsa di Napoli come piazza principalmente rivolta allo scambio dei titoli di Stato. Nel luglio del 1920 egli prese apertamente e polemicamente posizione contro il provvedimento del governo Giolitti sulla nominatività dei titoli azionari e obbligazionari, mirando a escludere dal decreto i titoli di Stato.
A nome della deputazione il G. presentò una dettagliata relazione, scritta su sollecitazione dello stesso governo e sulla spinta emotiva del forte ribasso dei corsi determinato dalle indiscrezioni sul provvedimento, in cui si denunciavano i rischi di burocratizzazione, di limitazione allo scambio e di una sostanziale onerosità delle procedure che avrebbero reso l'attuazione non conveniente perfino dal punto di vista del gettito fiscale. In alternativa si proponeva la riduzione del tasso d'interesse e la conversione volontaria dei titoli secondo uno schema di imposizione secca più gravosa che avrebbe trovato largo credito nei decenni successivi, a partire dal secondo dopoguerra. Particolare attenzione era dedicata anche agli effetti perversi e duraturi di interventi di natura forzosa in una materia delicata come l'emissione di titoli del debito pubblico e di fronte a una crescente necessità da parte dello Stato di ricorrere, in un regime di libero mercato, al risparmio dei cittadini (Tartaglia, p. 33). La parte finale della relazione, più propriamente politica, costituiva un deciso atto di accusa all'ultimo Giolitti, criticato in particolare per le concessioni in materia di orario di lavoro, e proponeva, qui davvero con scarsa lungimiranza, il ritorno alle dieci ore, di cui una avrebbe dovuto essere versata dai lavoratori allo Stato per ridurre il deficit di bilancio (Roma, Arch. centr. dello Stato, Ministero dell'Agricoltura…, b. 387, Sulla nominatività dei titoli di Stato, 1920, pp. 4-7).
Dopo il 1921 il G., ormai anziano, si ritirò progressivamente da ogni attività in organismi politici e di categoria, dedicandosi all'impegno di trasmettere l'avviato commercio di oreficeria al figlio Raffaele.
Il G. morì a Napoli il 9 febbr. 1926.
Fonti e Bibl.: Roma, Arch. centr. dello Stato, Ministero di Agricoltura Industria e Commercio, b. 387, ff. a, b, c; Presidenza del Consiglio dei ministri, 1920, b. 595, f. 6/1, n. 1192; Ibid., Arch. stor. della Federaz. naz. dei Cavalieri del lavoro, f. pers.; Napoli, Arch. dell'Istituto Casanova, Registri delle tornate mensili e adunanze generale dei soci (si vedano gli anni dal 1883 al 1916); L'Istituto Casanova alla esposizione generale italiana in Torino, Napoli 1884, pp. 14 s.; Fondazione nazionale dei cavalieri del lavoro, I cavalieri del lavoro 1901-1926. Nel XXV anniversario della fondazione dell'Ordine al "merito del lavoro", Roma 1926, pp. 27, 44; Napoli e i napoletani. Guida generale pratica illustrata della città e della provincia, Napoli 1930, p. 501; A. Scirocco, Politica e amministrazione a Napoli nella vita unitaria, Napoli 1972, p. 153; N. De Ianni, Operai e industriali a Napoli tra Grande Guerra e crisi mondiale: 1915-1929, Genève 1984, p. 50; G. Russo, La Camera di commercio di Napoli dal 1808 al 1978, a cura di G. Alisio, Napoli 1985, pp. 338, 374; P. Basso, Un esperimento filantropico lungimirante: l'Istituto Casanova di Napoli dalle origini alla seconda guerra mondiale (1869-1940), tesi di laurea, Università di Salerno, a.a. 1997-98, pp. 97, 155; F. Tartaglia, Fisco e mercato finanziario in Italia 1914-1945, Napoli 2000, p. 33. Circa l'attività di consigliere comunale del G. sono stati consultati anche i quotidiani partenopei relativi agli anni 1904-07 (in particolare: Il Mattino, Il Pungolo, Il Mezzogiorno). Per la ricostruzione del contesto sociale in cui il G. visse e operò, si vedano inoltre: R. Colapietra, Napoli tra dopoguerra e fascismo, Milano 1962; P. Macry, Borghesi, città e Stato. Appunti e impressioni su Napoli (1860-1880), in Quaderni storici, n.s., XIX (1984), 56, pp. 339-384; Napoli, a cura di G. Galasso, Bari 1987; L'artigianato in Campania. Ieri e oggi, a cura di F. Balletta, Napoli 1991; D.L. Caglioti, Associazionismo e sociabilità d'élite a Napoli, Napoli 1994.