GIACONI (Giacconi), Vincenzo
Nacque il 3 febbr. 1760 a Tremignon (oggi nel comune di Piazzola del Brenta), piccola località presso Padova, da Francesco Giacon e Pasqua Corrà. Nonostante nei registri battesimali la sua famiglia sia iscritta come Giacon (Meneghelli, p. 35 n. 4), egli si firmò sempre Giaconi o Giacconi e così lo chiamano anche i biografi contemporanei.
Di famiglia molto modesta, dopo aver ricevuto la prima istruzione, il G. si trasferì a Venezia per dedicarsi all'attività artistica. Nella città lagunare entrò nella bottega di Marco Alvise Pitteri, a quel tempo uno dei più famosi specialisti del bulino, dove apprese a disegnare e a incidere. La prima opera firmata dal G., mentre lavorava ancora presso il maestro, è un rame con S. Filippo Neri ascrivibile intorno al 1780. Tra 1784 e 1785 realizzò molte incisioni tra le quali una Beata Vergine del Buonconsiglio di sua invenzione, una Madonna da G.B. Mingardi, un Redentore su disegno di Pietro Moro. Il suo nome cominciò a diffondersi con la pubblicazione, nel 1788, del ritratto di Jusuf Pascià gran visir, da un dipinto di Ferdinando Tonioli, e l'anno seguente con il ritratto del doge Ludovico Manin, da un dipinto di B. Castelli. Il G. cominciò a essere conosciuto anche fuori del Veneto quando diede alle stampe un ritratto dello scultore Antonio Canova che abbraccia l'amico pittore Giovanni Martino Boni, tratto da un quadro di questo stesso artista. Meneghelli riporta una lettera, datata 3 marzo 1796, con la quale Canova ringrazia il G. per l'incisione inviatagli e afferma che fu molto apprezzata anche da G. Volpato e R. Morghen.
Tra le incisioni più rimarchevoli si ricordano una Fuga in Egitto da A. Elsheimer; il ritratto del pontefice Pio VII, eseguito nel 1800 dal disegno di N. Schiavone tratto da un dipinto di B. Castelli; una Madonna col Bambino su disegno di F. Novelli da un dipinto di G. Lazzarini, pubblicata nel 1812 e lodata anche da Ippolito Pindemonte (Meneghelli, p. 22). Il G. incise anche un ritratto del proprio maestro M. Pitteri, per la Galleria degli artisti e dei letterati veneti del Settecento pubblicata nel 1824 da B. Gamba.
Il G. incise sia da proprie invenzioni sia da opere dei contemporanei Carlo Bevilacqua, Giovanni Battista Cignaroli, Giovanni Battista Cipriani, Iacopo e Vincenzo Guarana, Giuseppe Longhi, Francesco Maggiotto, Teodoro Matteini, Giovanni Battista Mingardi, Francesco Novelli, Marco Alvise Pitteri e altri. Trasse anche incisioni da opere di celebri artisti del passato, tra cui un S. Francesco da Domenichino, un S. Giuseppe da Guido Reni in pendant con una Madonna da Annibale Carracci, un Redentore su proprio disegno tratto da Iacopo Robusti detto il Tintoretto.
Moschini, che aveva ricevuto informazioni direttamente dall'esecutore testamentario del G., fornisce l'elenco completo delle incisioni dell'artista, poco più di centocinquanta, tra le quali numerosi soggetti religiosi e ritratti. Sono del G. anche i rami per l'opera Oracoli, auguri, aruspici, sibille, indovini della religione pagana tratti da antichissimi monumenti…, su disegno di Iacopo Guarana, pubblicata a Venezia nel 1792. Il suo capolavoro fu, sempre secondo Moschini, il ritratto di Cosimo I de' Medici, da un disegno di G. Longhi, pubblicato come frontespizio dell'Elogio e ritratto di Cosimo de' Medici, di G.G. Bottari e pubblicato a Padova nel 1819 a cura di A. Meneghelli - F. Prezzolo. Anche tale ritratto, insieme con uno di Paolo Sarpi eseguito su disegno di T. Matteini, era stato elogiato da Canova, che in una lettera del 7 ott. 1818, li giudica entrambi eseguiti "con gusto e maestria squisita" (Meneghelli, p. 24).
Il G. morì a Venezia il 17 luglio 1829. L'amico abate Meneghelli compose e fece collocare un'epigrafe in sua memoria nel chiostro del convento del Santo a Padova.
Nelle numerose incisioni il G. seguì la tecnica del maestro M. Pitteri "a un solo taglio" (ibid., p. 9), consistente in una serie di segni sulla matrice paralleli, verticali o diagonali, senza incroci. Fece anche uso della puntasecca, a differenza del maestro, per dare maggior morbidezza ai particolari, e a volte usò anche la tecnica della granitura per trattare le carni. Alcune incisioni, che vanno sotto il nome del G., come i Dottori della Chiesa latina appaiono eseguite in maniera differente perché, avverte Moschini, l'intervento diretto dell'incisore era stato minimo: le matrici per l'acquaforte erano state preparate da Antonio Baratti e il G. si era limitato a ritoccarle col bulino.
Fonti e Bibl.: Gazzetta privilegiata di Venezia, 24 e 27 luglio 1829; A. Meneghelli, Notizie dell'intagliatore V. Giacconi padovano, Padova 1829; N. Pietrucci, Biografia degli artisti padovani, Padova 1858, pp. 133-136; G. Moschini, Dell'incisione in Venezia (sec. XIX), a cura della R. Accademia di belle arti di Venezia, Venezia 1924, pp. 99-110; R. Pallucchini, Mostra degli incisori veneti del Settecento (catal.), Venezia 1941, pp. 114 s., 120; T. Gasparrini Leporace, Il libro illustrato nel '700 a Venezia (catal.), Venezia 1955, p. 22; A.M. Comanducci, Dizionario illustrato dei pittori…, II, Milano 1962, p. 841; L'opera completa del Canova, Milano 1976, p. 84; U. Thieme - F. Becker, Künstlerlexikon, XIII, p. 578; Dizionario encicl. Bolaffi…, V, p. 396.