GERACE, Vincenzo
Nacque a Cittanova (Reggio di Calabria) il 29 giugno 1876, primogenito di otto figli, da Giovambattista e Maria Angiola Giovinazzo.
Negli anni della prima giovinezza il G. seguì la famiglia nei trasferimenti dovuti alla professione del padre, magistrato di carriera: a Nicosia, nel 1886, dove iniziò gli studi ginnasiali; più tardi, nel 1894, a Catania, dove frequentò il liceo e si iscrisse alla facoltà di lettere. Dopo due anni, in crisi intellettuale, interruppe gli studi e si ritirò a Sciacca, dove rimase dal 1898 al 1900, dedicandosi a letture disordinate e alle prime prove poetiche. Nel 1901, trasferitosi a Palermo, riprese gli studi universitari, in cui ebbe a maestro G.A. Cesareo.
Pur non giungendo mai alla laurea, negli anni palermitani il G. cominciò a partecipare attivamente alla vita culturale della città: collaborò, infatti, al quotidiano L'Ora, pubblicò un poemetto, Il fonte della vita (Palermo 1901), e stabilì fervidi contatti con il mondo intellettuale siciliano, in cui spiccavano, tra le altre figure di rilievo, M. Rapisardi e G. Gentile, attraverso il quale ebbe modo di conoscere personalmente B. Croce.
Alla fine del 1909, la necessità di trovare una sistemazione spinse il G. a trasferirsi a Roma. Qui portò a termine un romanzo a sfondo autobiografico, iniziato nel 1907, La grazia (Napoli 1911), che gli fruttò, ex aequo con L. Siciliani, il premio Rovetta per il biennio 1911-12.
Ambientato in un paesino della Calabria, segue la vicenda interiore di un giovane, Lorenzo - in cui facilmente si può riconoscere la fisionomia morale del G. - in preda a una profonda crisi di valori che lo porta a interrogarsi con inquietudine sulla vita e su Dio. Questa riflessione spinge il protagonista ad abbandonare i vizi giovanili per convertirsi a una disciplina di umiltà che, una volta trasferitosi a Roma, intende testimoniare in un romanzo. Come ebbe a notare G.A. Borgese (La grazia, in La vita e il libro, terza serie, Bologna 1928, pp. 157-163), tra i più attenti critici del G., l'opera, pur mostrando alcuni lati deboli (assenza di una solida tecnica narrativa, mancanza di unità psicologica del personaggio), rivelava comunque l'energia rappresentativa di "uno che ha letto molte volte l'Inferno dantesco, e ha letto poco Balzac e Flaubert" (p. 160).
Questo primo successo letterario, tuttavia, non comportò un significativo miglioramento della situazione economica del G., il quale, nel 1912, accettò l'impiego propostogli dal Croce presso la Biblioteca della Società napoletana di storia patria. Trasferitosi a Napoli, l'assidua frequentazione con Croce e l'intensificarsi degli studi filosofici, determinarono una sua iniziale, decisa, adesione all'idealismo seguita da un altrettanto radicale distacco sancito dal saggio Storia ideale dell'Io, scritto nel 1913 ma pubblicato più tardi, con altre prose critiche e filosofiche, nella raccolta La tradizione e la moderna barbarie (Foligno 1927).
Il volume, che consta di molti saggi pubblicati a più riprese dal G. su quotidiani e riviste, espone in modo esaustivo le idee che sono alla base della sua poetica: in sintesi, di fronte allo sbandamento dell'arte, e in particolare della poesia, italiana contemporanea - i cui fenomeni più evidenti il G. identifica nel futurismo e nel frammentismo - è necessario porre nuovamente al centro della creazione artistica l'etica, intesa come imperativo categorico kantiano, e dunque aliena da dogmatismi e professioni di fede. Solo la conquista di una compiuta personalità etica, capace di superare la dialettica dei distinti teorizzata da Croce, può dare vita a una poesia in cui naturalezza istintiva e costruzione intellettuale arrivino a quella compiuta sintesi stilistica di cui, nella tradizione italiana, il migliore esempio è costituito da G. Leopardi. L'opposizione all'estetica crociana, che rischia di ridurre l'intuizione alla sensazione, come hanno mostrato - continua il G. - le malintese interpretazioni vociane, è formulata attraverso il ricorso a una poetica in molti punti ispirata dall'attualismo gentiliano; a quelle che ritiene le improvvisazioni e i balbettii dell'arte contemporanea, egli oppone il ritorno alla tradizione ottocentesca (Leopardi e Carducci) e, ancor più indietro nel tempo, al canone classico dell'imitazione. Anzi la pratica dell'imitazione è - sempre secondo il G. - segno di una serietà di impegno che, ponendo il poeta a confronto con la storia, lo spinge ad abbandonare il solipsismo individualistico e ad affrontare la ricerca espressiva con spirito critico, coniugando, dunque, istinto creativo e consapevolezza tecnica in una superiore unità, il lirismo, in cui poesia e filosofia, natura e volontà trovano la loro sintesi, in modo affine a quanto accade nel coevo "musicismo" di J. Royère.
Alla morte del padre, nel 1915, e anche per il deteriorarsi dei rapporti con Croce, il G. rientrò a Roma per assistere la madre. Ma non vi rimase a lungo, in quanto l'anno dopo fu richiamato alle armi e, dopo aver seguito il corso accelerato per allievi ufficiali a Torino, venne destinato in servizio territoriale a Venezia con il grado di sottotenente. Interventista acceso, ottenne successivamente di essere inviato alla milizia attiva nel 4° e 5° reggimento di artiglieria a Fortezza, in Alto Adige, quindi, per l'aggravarsi di una malattia intestinale che lo aveva tormentato fin dall'adolescenza, fu trasferito presso il forte di Mestre.
L'esperienza bellica aiutò il G. a uscire dalla sterile irresolutezza generata dalla sua inquietudine intellettuale, inducendolo a chiarire a se stesso le ragioni di un suo totale impegno nell'attività poetica. Ottenuto il congedo, tornò a Roma, quindi, dal 1919, insegnò italiano a Bari nel locale istituto tecnico finché, nel 1921, la legge Croce - che impediva l'esercizio dell'insegnamento a chi non possedesse un titolo accademico - lo costrinse a rientrare a Roma.
In questi anni, grazie anche agli incoraggiamenti di A. Tilgher e A. Anile, il G. si era dedicato intensamente all'attività letteraria, pubblicando, nel periodo barese, novelle e poesie su Il Tempo, La Rivista di Milano e la Nuova Antologia e collaborando, nel periodo romano, come critico letterario, a diversi quotidiani (Il Popolo, Il Giornale d'Italia, La Stampa, La Sera). Di questi anni sono anche alcune accese polemiche letterarie: con Croce, a proposito del saggio su Leopardi, cui il G. contrappose vari interventi su Cronache letterarie (confluiti poi con il titolo Contro Croce a proposito del suo saggio sul Leopardi, in La tradizione e la moderna barbarie, cit., pp. 175-272); con Tilgher, intorno all'originalità dell'arte (Thovez poeta, in La Sera, 2 ott. 1929); con E. Cozzani su G. Pascoli (Per un giudizio sul Pascoli e Ancora per un giudizio sul Pascoli, in L'Indice, I [1930], rispettivamente 5, p. 3 e 7, p. 5).
Nel 1926 arrivò anche un importante riconoscimento all'attività poetica del G., con il premio di poesia dell'Accademia Mondadori, cui aveva partecipato su sollecitazione di Borgese, pur fra molti contrasti e incomprensioni che ritardarono la pubblicazione della raccolta che aveva ottenuto il premio, La fontana nella foresta (Milano 1928).
Questa silloge si articola in cinque sezioni che scandiscono una sorta di percorso iniziatico: Eros, la prima, è di ispirazione amorosa e vitalistica; Psiche, in cui prendono il sopravvento malinconia e delusione, contiene il poemetto eponimo della raccolta, La fontana nella foresta, narrazione di un episodio della fanciullezza del G. in cui la scoperta del complesso edipico viene sublimata attraverso la rievocazione poetica; Dionisos, include uno dei componimenti più intensi, L'ospite ignoto, che mette in scena una personalità scissa, animata da violente passioni; Thanatos, è caratterizzata dai toni cupi della morte e del nulla, in piena evidenza nel componimento finale della sezione, L'indivisibile compagno; Urania, segna il definitivo approdo a un'atmosfera di contemplazione e di serenità raggiunta attraverso l'arte e il rapporto con il divino, inteso in chiave panteistica. Chiude il libro Negli orti di Academo, un gruppo di epigrammi satirici in cui il G. difende, con piglio bonariamente ironico, il suo modo antimoderno di fare poesia, anticipando per molti aspetti la polemica antiermetica di G. Noventa.
Per il resto l'ispirazione del G., anche nel postumo Variazioni musicali (a cura di G. Gerace, Milano 1934) è fortemente determinata dal suo ricollegarsi ai classici, sia greco-latini (Anacreonte, Catullo, Virgilio) sia italiani (Dante, Petrarca, Leopardi, Carducci, D'Annunzio), con talune incursioni nella poesia romantica inglese (P.B. Shelley, J. Keats); il più scoperto esercizio di imitazione, come pure le movenze musicali ispirate alla poesia del passato, vengono rivissute dal G. in chiave personale e, per dirla con U. Saba, "onesta", ma inevitabilmente incorrono nella retorica, laddove la radice dell'ispirazione sia meno intensamente rielaborata.
Nonostante il successo ottenuto al concorso, l'attenzione alla poesia del G., giudicata troppo tradizionale e démodée, svanì presto. L'amarezza che ne conseguì contribuì probabilmente all'aggravarsi dell'ulcera duodenale di cui soffriva da tempo.
Sottoposto a intervento chirurgico, il G. morì a Roma, il 18 maggio 1930. Il 20 ag. 1923 aveva sposato Giulia Becciani, da cui ebbe due figli, Giovan Battista e Leonetta.
Nella sezione Manoscritti della Biblioteca nazionale di Roma sono conservati gli epistolari del G. con F. De Cristo (A.156.31), A. Mortier (29 ag. 1927 - 4 apr. 1930: A.154.5-20), A. Onofri (lettera del G. del 6 maggio 1911: ARC.2 A.22.49), A. Tilgher (1914-22: ARC.9 A.978-982), E. Vitta (lettera del G. del 12 maggio 1930: A.154.21). Gran parte della sua produzione edita è dispersa in riviste: oltre a quelle già citate, collaborò anche a La Roma letteraria, Le Opere e i giorni, Nosside; inoltre si ricordano in particolare: Il tradizionalismo del linguaggio poetico, in La Fiera letteraria, III (1927), 46, p. 1; Scherzi ed epigrammi, in Nuova Antologia, 1° sett. 1928, pp. 306-311; Un umanista e poeta francese. A. Mortier, ibid., 16 ott. 1929, pp. 454-466; Avevamo una casa rusticana, in L'Indice, I (1930), 2, p. 3; L'usignolo, ibid., 8, p. 3; 9, p. 3; Lettere a P. Varvaro, in Il Tempio, VI (1930), 5-6, pp. 4-6; Lettera ad A. Mortier, ibid., 12, p. 1.
Fonti e Bibl.: C. Baccari, V. G., in Le Fonti, VIII (1926), 10-12, pp. 169-173 (con una rassegna di Critiche su "La grazia" alle pp. 209-216); M. Puccini, G., in L'Ambrosiano, 8 dic. 1927; E. Titta Rosa, Il poeta dell'Accademia Mondadori, in La Fiera letteraria, III (1927), 50, pp. 1 s.; C. De Francesco, La fontana nella foresta di V. G., Messina 1928; L. Fiumi, Punti sugli i, in Giornale di Genova, 7 nov. 1928; P. Gorgolini, Italica. Prose e poesie della terza Italia (1870-1928), II, Torino 1928, pp. 926-931; E. Montale, Poeti del Novecento, in La Fiera letteraria, IV (1928), 5, p. 5; N. Sapegno, Neoclassicismo romantico, in Il Baretti, V (1928), 2, p. 6; A. Gallippi, V. G.: l'uomo e l'artista, Polistena 1929; B. Migliore, Bilanci e sbilanci del dopoguerra letterario, Roma 1929, pp. 118 s.; C. Pellizzi, Le lettere italiane del nostro secolo, Milano 1929, pp. 159, 369, 471; G.A. Borgese, G., in Corriere della sera, 24 giugno 1930; A. Mortier, Études italiennes, Paris 1930, pp. 89-105, 144 s., 174; G. Cartella Gelardi, V. G., Torino 1931 (contiene una bibliografia degli scritti pubblicati in riviste); N. Giunta, V. G. Commemorazione nel primo anniversario della morte del poeta, Napoli 1931; P. Visconti, Oltre la soglia del Tempio, Napoli 1931 (con bibliografia della critica sul G.); Cittanova per V. G., Polistena 1933; F. Bernardini, Perché ridiamo?, Milano 1934, p. 239; G. Camposampiero, La poesia italiana contemporanea, Roma 1938, pp. 292-296; A. Galletti, Storia letteraria d'Italia. Il Novecento, Milano 1939, pp. 558-561, 563, 577, 666; F. Biondolillo, I contemporanei. Panorama della letteratura italiana odierna, Padova 1948, pp. 27, 112-114; G. Cultrera, Scrittori del Novecento, I, Catania 1949, pp. 125-147; E.M. Fusco, La lirica, II, Milano 1950, pp. 317-321; A. Piromalli, La letteratura calabrese, Cosenza 1965, pp. 202 s., 250; V.G. Galati, La poesia di V. G. e la polemica sulla tradizione, Cosenza 1967; A. Piromalli, "Calabresità" e cultura popolare, in Problemi, 1982, n. 64, pp. 156-172; V. Tinacci, Alcune note sul carteggio Croce-Aleramo con una divagazione su V. G., in Critica letteraria, XX (1992), 76, pp. 511-518; L. Aliquò Lenzi - F. Aliquò Taverriti, Gli scrittori calabresi, II, Reggio Calabria 1955, pp. 26-28.