GARIONI, Vincenzo
Nacque a Montebelluna (Treviso) il 19 nov. 1856 da Giovanni e da Teresa Violin. A sedici anni, completati i primi studi nel paese natale, entrò nella Scuola militare di fanteria e cavalleria di Modena, dalla quale uscì tre anni dopo con il grado di sottotenente. In seguito, militò nel 6°, 7° e 9° reggimento bersaglieri sino a raggiungere il grado di capitano, per poi passare, nel 1884, nel corpo di stato maggiore. In questa nuova posizione, fu destinato prima al XII corpo d'armata, poi al 44° reggimento di fanteria, quindi alla divisione di Livorno e infine, con il grado di colonnello, al comando del 24° reggimento di fanteria.
Considerato dai suoi superiori uno degli ufficiali più preparati e brillanti, il 16 luglio 1900 gli fu assegnato l'incarico di comandare il corpo di spedizione in partenza per la Cina, un contingente di 1965 soldati che si imbarcò a Napoli tre giorni dopo.
Il compito del G. era estremamente difficile e delicato: prendere parte a una spedizione internazionale che accorreva in Estremo Oriente per combattere i boxers, membri di una società segreta cinese che avevano assediato il quartiere delle legazioni a Pechino e compiuto massacri di occidentali e di cinesi cristiani nelle province. Quindi, con scarse truppe, modesti equipaggiamenti e attrezzature ridotte, doveva competere con i contingenti di Gran Bretagna, Francia, Russia, Germania, Giappone e Stati Uniti, molto più forniti di mezzi e armamenti. Per di più, non possedendo l'Italia alcuna concessione in Cina, quando il corpo di spedizione giunse il 29 agosto davanti al porto di Tong-ku, capolinea della ferrovia per Pechino, il G. si trovò in grandissima difficoltà perché non c'erano sulla terraferma aree disponibili per gli Italiani e neppure i pontoni e i rimorchiatori per condurre a termine le operazioni di sbarco.
Con l'aiuto degli alleati, il G. riuscì ugualmente a sbarcare il contingente italiano che, a scaglioni, fu avviato per ferrovia a Tientsin. E già il 9 settembre egli poteva partecipare al primo combattimento contro i boxers occupando la località di Tu-liu. Una parte delle forze italiane, intanto, aveva raggiunto Pechino, che era stata liberata dalle truppe internazionali il 14 agosto. Nelle settimane successive, tanto i reparti italiani stanziati a Pechino quanto quelli che presidiavano Tientsin parteciparono a vari scontri per annientare le ultime sacche di resistenza. In particolare, si distinsero nelle operazioni che portarono all'occupazione delle città di Chan-ai-Konan e di Pao-ting-fu e nella spedizione contro Kalgan, dove si erano ammassati forti contingenti di boxers e di truppe regolari imperiali.
Le operazioni che portarono all'occupazione di Pechino e all'annientamento delle forze cinesi furono condotte con estrema durezza e crudeltà, senza risparmiare le popolazioni civili. "Ogni freno è stato spezzato - scrisse in quei giorni un testimone degno di fede, L. Barzini - si direbbe che la bestia umana abbia preso il sopravvento sull'uomo. L'assassinio, il saccheggio e l'incendio non hanno risparmiato né una casa né un fuggiasco. I francesi come i loro amici cosacchi, i tedeschi come i giapponesi, tutti senza distinzione, si sono precipitati in questa corsa al crimine" (Corriere della sera, 29 sett. 1900). Fu indubbiamente merito del G. e dei suoi ufficiali se il contingente italiano adottò un comportamento molto diverso, evitando di partecipare a saccheggi e a inutili e infamanti stragi.
Concluse le operazioni militari e avviati i negoziati di pace, il corpo di spedizione italiano fu ridotto di due terzi. Il 4 ag. 1901, il G. si imbarcò a Tong-ku con 1221 uomini e dopo quaranta giorni di navigazione giunse a Napoli, dove, ad accogliere le truppe, c'era Vittorio Emanuele III. Il sovrano volle ricompensare l'alto ufficiale - "Per la molta intelligenza e la grande energia con cui ha retto il comando delle truppe in Cina" - con il titolo di cavaliere dell'Ordine militare di Savoia.
Dopo il suo rientro in patria, il G. fu trasferito nel corpo di stato maggiore e nel 1905 fu promosso maggior generale. Con questo grado comandò la brigata "Casale" e poi la brigata "Roma". Successivamente, fu nominato comandante della Scuola centrale di tiro di fanteria e in seguito della Scuola di applicazione di fanteria. Promosso tenente generale nel 1911, nello stesso anno gli fu affidato il comando della divisione territoriale di Padova. Nel marzo del 1912 il G. fu inviato in Tripolitania, dove il corpo di spedizione al comando del generale C. Caneva incontrava molte difficoltà nel piegare la resistenza degli Arabo-Turchi.
Tra il 10 aprile e il 31 maggio, al comando di 12.000 uomini, il G. lanciò una vasta offensiva al confine con la Tunisia per dare il colpo di grazia al contrabbando di armi e di viveri a favore degli Arabo-Turchi, ma i risultati furono assai modesti. Anche l'operazione che il G. organizzò, il 5 ag. 1912, contro la città di Zuara non fu risolutiva perché gli avversari non accettarono il combattimento e si ritirarono senza subire perdite. La pace di Ouchy con la Turchia tolse d'imbarazzo le truppe italiane, che non erano state capaci di battere sul campo Libici e Ottomani.
A guerra finita, il 1° giugno 1913, il G. fu nominato governatore della Tripolitania, incarico che mantenne sino alla fine del 1914. In questo torno di tempo il G. cercò di completare l'occupazione della Tripolitania, ma disponeva di mezzi del tutto inadeguati per poter vincere la resistenza dei patrioti libici, i quali, seppure privati dell'appoggio della Turchia, erano ancora in grado di ostacolare l'avanzata degli Italiani verso l'interno.
Per occupare il Fezzàn, una regione vasta come l'Italia, e per di più desertica e impervia, il G. allestì una colonna forte di appena 1100 uomini e di due batterie di cannoni da montagna, e ne affidò il comando al tenente colonnello A. Miani. Partita ai primi di agosto, in sette mesi, dopo aver battuto per tre volte i guerriglieri libici, la colonna italiana raggiunse finalmente Murzuch, a più di 1000 km dalla costa. Ma si trattava di un'occupazione puramente simbolica perché il Miani non disponeva dei mezzi per difendere il territorio conquistato. Quando, infatti, allo scoppio della prima guerra mondiale, i partigiani libici poterono godere di nuovo del sostegno della Turchia e persino di quello degli Imperi centrali, il Miani non fu in grado di resistere alla controffensiva libica e si ritirò a precipizio verso la costa abbandonando per strada cannoni, fucili e milioni di cartucce. Di questo rovescio, paragonabile, per il numero dei morti, a quello di Adua, il G. fu in parte responsabile, non avendo saputo prevedere le conseguenze catastrofiche della spericolata marcia attraverso il Fezzàn.
Richiamato in patria alla vigilia del primo conflitto mondiale, il G. era stato nominato comandante del I corpo d'armata in territorio dichiarato in stato di guerra. Al comando di queste truppe diresse le operazioni che condussero al passaggio dell'Isonzo e alla conquista delle alture di Monfalcone. Comandò successivamente il II corpo d'armata e nel luglio del 1917 assunse il comando del corpo d'armata territoriale di Genova. Posto alle dipendenze del ministero delle Colonie, il 1° ag. 1918 fu nominato per la seconda volta governatore della Tripolitania e reggente il governo della Cirenaica.
Al suo arrivo a Tripoli, il G. ebbe la sgradita sorpresa di apprendere che i patrioti libici, approfittando del fatto che gli Italiani occupavano ormai soltanto alcune città della costa, avevano proclamato la Giumhuriyya at-Trabulsia, ossia la Repubblica di Tripolitania. La prima reazione del G. e del ministro delle Colonie G. Colosimo fu quella di usare ancora una volta la forza per piegare la "ribellione" araba. Furono infatti inviati in Libia ben 80.000 soldati, 200 cannoni, 1000 mitragliatrici, 40 aeroplani, gas tossici e lacrimogeni. Ma pur disponendo di un corpo di spedizione ben più agguerrito di quello di Caneva nel 1911, alla fine il G. lo utilizzò soltanto come strumento di pressione e scelse, d'accordo con Colosimo, la via delle trattative con la Giumhuriyya.
A consigliare al G. una pace di compromesso fu soprattutto la consapevolezza che la guerra, anche se vittoriosa all'inizio per la schiacciante superiorità degli Italiani in uomini e mezzi, non sarebbe comunque stata né facile né breve. In base a queste considerazioni il G. autorizzò il generale G. Tarditi ad aprire con i patrioti libici i negoziati, che si conclusero, il 21 apr. 1919, nella località di Khallet ez-Zeitun, con la concessione di uno statuto, massima apertura italiana alle aspirazioni indipendentistiche arabe, che il fascismo, appena giunto al potere, si affrettò ad abolire.
Il 16 ag. 1919, pur avendo condotto in porto con molta abilità e determinazione i negoziati di pace e pur avendo risparmiato ai Libici e agli Italiani un altro bagno di sangue, il G. fu inaspettatamente richiamato in patria e sostituito con un funzionario civile, V. Menzinger, privo di ogni autorità e prestigio. Promosso generale di corpo d'armata nel 1923, il G. fu collocato in congedo cinque anni dopo.
Morì a Venezia il 24 apr. 1929.
Fonti e Bibl.: A. Tosti, La spedizione italiana in Cina (1900-1901), Roma 1926, passim; G. Licata, Notabili della terza Italia, Roma 1968, ad indicem; A. Del Boca, Gli Italiani in Libia. Tripoli bel suol d'amore, 1860-1922, Roma-Bari 1986, ad indicem.