FERRAROTTO, Vincenzo
Nacque a Messina nel 1559 da Antonino, originario di Lentini, città nella quale la famiglia Ferrarotto fu ascritta nel 1458 "nella mastra della dignità senatoria" (Mugnos).
Seguendo le orme del padre, va ente giureconsulto che ricoprì varie c iche pubbliche (giudice stradicoziale, giudice del Regio Concistoro), il F. intraprese studi giuridici, che lo portarono, dopo la laurea conseguita a Catania nel 1578, a una fortunata carriera forense e a una fervida attività pubblica, svolta nella città natale, dove egli presumibilmente soggiornò per tutta la vita. Il prestigio del F. nella vita municipale è indicato dalla molteplicità delle sue dignità amministrative, tra le quali spicca quella di giudice della Regia Corte stradicoziale, a cui egli fu chiamato per ben otto volte dal 1583 al 1607. Questa magistratura aveva una grande importanza, nella vita politica di Messina, che, in un periodo di accesa rivalità con Palermo sul piano amministrativo, economico e culturale, cercava un sostegno giuridico alle sue rivendicazioni, che erano anche alimentate dalle ricerche agiografiche e da una storiografia fortemente municipalistica.
A questo sforzo di offrire una legittimazione giuridico-istituzionale alle ambizioni egemoniche della sua città obbedisce l'operetta del F. intitolata Della preminenza dell'officio di stradicò della nobile città di Messina (Venetiis 1593), dedicata al viceré di Sicilia E. de Guzmán conte di Olivares, che ripercorre la storia e le funzioni di una magistratura, a un tempo militare e amministrativa, così caratteristica della vita politica messinese.
Il F. vuole infatti dimostrare l'esclusività dell'ufficio di straticò, che un tempo estendeva la sua giurisdizione al di là dei ristretto ambito cittadino. E a tal fine egli sviluppa un'indagine, in cui l'erudizione, fatta di citazioni e testimonianze, è un argomento che avvalora un preteso diritto. Ed infatti, fermo restando il rispetto per il potere vicereale, il F. vuole conclusivamente mostrare che "l'ufficio di Stradicò di Messina è giudicato il quarto carico di Governo di Stato, che la Catholica Maestà dona in Italia e il secondo che conferisce in Sicilia" (p. 8). E proprio sul prestigio di questo ufficio si potevano fondare le richieste autonomistiche di Messina, come appare chiaro dalle parole del F., secondo il quale "al stradicò solo compatisce la cognitione di Messina e distrittuali quando il viceré è assente dalla città" (ibid., p. 48).
Animato da queste esigenze di carattere politico, il F. suffraga le sue tesi con una trama di speciosi richiami eruditi, che dovrebbero conferire decoro e attendibilità alla sua opera almeno quanto la forza delle argomentazioni giundiche. Ma oltre all'intento apologetico-dimostrativo e al solenne dispositivo retorico-erudito, un terzo dato qualifica la scrittura del F.: l'ambizione trattatistica. Buon conoscitore della pubblicisfica controriformistica, egli è infatti attento a disegnare il profilo ideale del suo personaggio, contemperando gli atti del suo comportamento con i principi della morale religiosa. In questa prospettiva gli obblighi del su " perfetto straticò" coincidono con quelli illustrati nei tanti manuali di funzionari e "segretari".
Agli stessi anni risale un'altra operetta del F. intitolata Ordine militare osservato in Messina l'anno 1594 quando l'armata turchesca bruggiò Reggio città di Calabria (Messina 1596), anch'essa percorsa da un forte senso di dignità municipale.
Il F. rievoca i fatti del settembre 1594, allorché la flotta di Sinàn pascià veleggiò nelle acque dello Stretto, ma non sbarcò in Sicilia, limitandosi a saccheggiare Reggio, sguarnita di abitanti e di difese. Sinán (il rinnegato messinese Scipione Cicala) non era in realtà venuto per compiere una scorreria, ma solo per salutare la madre; e infatti aveva deciso di allontanarsi da Messina, senza abbandonarsi ad alcuna manifestazione ostile. Ma l'episodio offrì al F. il pretesto per celebrare le istituzioni cittadine, pur non dimenticando di rendere omaggio all'autorità spagnola, e dedicando il suo scritto al "generale del mare" G. A. Doria, principe di Melfi, che in verità era intervenuto solo quando lo scenario era da tempo pacificato. La circostanza dell'assedio consentì infatti al F. di magnificare il ruolo di Messina, indicata con l'antico epiteto di "città di Marte", ma soprattutto esaltata nella sua moderna funzione di città-fortezza, assegnatale dalla sua eccezionale posizione topografica. Ma se la "natura" ha privilegiato Messina, che è riuscita da sola ad arginare gli straripanti Turchi, è ancora una volta la "virtù" dei suoi abitanti e, soprattutto, dei suoi funzionari che ha determinato un così memorabile successo. E infatti il F. insiste ancora nell'elogio degli amministratori messinesi e, in particolare, del suo straticò G. Ventimiglia, marchese di Geraci, che "scompartiva gli offici, e le fatiche, riconoscendo ogni cosa, e dando animo a tutti" con il piglio calmo e fiero di "un vero Goffredo" (p. 13).
Scarsissime le notizie relative alla vita privata del F., di cui sappiamo soltanto che "si congiunse in matrimonio con la famiglia Zafarana" (Mugnos) e che ebbe un figlio, Carlo, anch'egli destinato alla carriera di magistrato. Morì nel 1608, presumibilmente a Messina, mentre rivestiva per l'ottava volta la carica di giudice stradicoziale.
Il Della preminenza dell'officio di stradicò ... ebbe una seconda edizione "con additione del dottor don Antonino Ferrarotto" nipote dell'autore (Cosenza 1671). Oltre al citato Ordine militare il F. pubblicò pure il trattato De inimicitiis (Venetiis 1595).
Fonti e Bibl.: G. Mastrillo, Decisionum Consistorii sacrae regiae conscientiae Regni Siciliae, Venetiis 1622, p. 20; F. Mugnos, Teatro genologico delle famiglie nobili titolate feudatarie ed antiche nobili, Palermo 1647, I, p. 275; P. Reina, Delle notizie istoriche della città di Messina, Messina 1668, II, p. 535; G. Renda Ragusa, Siciliae Bibliotheca vetus, Romae 1700, ad Indicem;A. Mongitore, Bibliotheca Sicula, Panormi 174, II, pp. 282 s.; F. M. Emanuele e Gaetani, Della Sicilia nobile, Palermo 1759, III, pp. 241-243, 246 s.; C. D. Gallo, Gli annali della città di Messina, a cura di A. Vayola, Messina 1881, III, p. 118 e passim;G. Oliva, Sinan Bassà (Scipione Cicala) celebre rinnegato del sec. XVI, in Arch stor. messinese, IX (1908), p. 95 n.; G. Giarrizzo, La Sicilia dal Cinquecento all'Unità d'Italia, in V. D'Alessandro-G. Giarrizzo, La Sicilia dal Vespro all'Unità d'Italia, Torino 1989, p. 266.