ERCOLANI, Vincenzo
Nacque a Perugia intorno al 1457 da Antonio, originario di Olmeto, località situata nel contado perugino, trasferitosi con la famiglia in città a metà del sec. XV.
Sin da giovane si dedicò allo studio del diritto e a soli ventun anni conseguì la laurea in legge all'università di Perugia. Nel 1478 fu chiamato a leggere diritto canonico in questa stessa università, ma durante i primi tempi del suo insegnamento si trovò a rivaleggiare col collega Francesco di ser Battista, anch'egli giurista, che cercò con ogni mezzo di farlo rimuovere dall'incarico. Il legato a Perugia, cardinale Giovanni Arcimboldi, tentò di risolvere la controversia proponendo all'E. di trasferirsi alla cattedra di diritto civile e promettendogli anche un aumento di stipendio di 12 fiorini annui. L'E. accettò il nuovo incarico; tuttavia, non solo non ebbe l'aumento di salario, ma neppure riuscì a placare i sentimenti di invidia del suo rivale, il cui figlio Matteo un giorno lo assalì violentemente, sfregiandolo in volto. L'E. stesso (che, in seguito a questo episodio, ebbe anche il soprannome di Vincenzo del Fregio) espose il fatto in un memoriale presentato al governatore di Perugia il 7 marzo 1488, in cui richiedeva anche un aumento di salario di 13 fiorini annui.
Nonostante la grave offesa ricevuta, continuò a dedicarsi all'attività accademica e agli studi giuridici con passione e impegno sempre maggiori, tanto che nel 1502 fu nominato avvocato concistoriale. In questa occasione si recò a Roma, dove, nell'assumere l'incarico, pronunciò di fronte al Collegio concistoriale alcune brevi orazioni di ringraziamento e quindi sostenne alcune dispute giuridiche, che furono poi pubblicate a Perugia nel 1506 con il titolo Quaestiones sive dubia solemniter disputata de diversis materiis. In seguito a questa nomina, il 12 giugno 1503, il papa Alessandro VI gli inviò un breve con cui gli veniva aumentato il salario di 110 ducati annui; ma per la morte del pontefice, avvenuta due mesi dopo, la delibera non ebbe effetto. Successivamente l'E., insieme con il collega Camillo Baglioni, inviò un'istanza al nuovo papa Giulio II, affinché rendesse operanti le disposizioni del suo predecessore.
L'E. non si dedicò solamente all'attività accademica, poiché la reputazione e la fama di giurisperito da lui raggiunta gli procurarono molteplici incarichi da parte del governo della città anche come ambasciatore. All'inizio del 1507 si recò infatti con altri due oratori per richiedere a Giulio II di non mutare la moneta in uso a Perugia, il "carlino", sostituendolo con il "giulio", e per discutere in merito a questioni giurisdizionali relative al contado perugino. Il 27 ag. 1508, con un decreto del cardinale Raffaele Riario, l'E. fu nominato, insieme con Camillo Baglioni, avvocato della Camera apostolica di Perugia. In questo stesso anno partecipò alla stesura del nuovo testo delle leggi suntuarie della città, che fu poi confermato e approvato dal pontefice.
In seguito alla morte di Giulio II e ai numerosi tumulti scoppiati nel territorio dello Stato pontificio, nel 1513 venne inviato con una ambasceria a Spoleto per comporre la lite esistente tra questa città e i Trevani per una questione di confini, e, per gli stessi motivi, vi ritornò nel 1515. Nel 1516, il 15 luglio, l'E. fu chiamato allo Studio di Pisa con l'incarico di leggere diritto civile per tre anni, con il cospicuo salario annuo di 750 ducati d'oro. Tuttavia dovette fermarsi poco tempo a Pisa, dato che nel 1517 venne inviato a Roma, con Vincenzo Signorelli, a ringraziare il papa Leone X, per l'elezione a cardinale del perugino Francesco Armellini. All'inizio del 1518, insieme con Niccolò Montemellini, venne nuovamente inviato a Roma per ringraziare il pontefice dei provvedimenti presi in favore di Perugia, che avevano contribuito a liberare la città dalle bande di ribelli, e per trattare alcune concessioni di carattere giurisdizionale. La missione ebbe esito positivo: al governo di Perugia fu consentito pertanto che, in alcune cause civili, le sentenze potessero essere appellate al Collegio dei dottori della città; al capitano del Popolo furono restituite quelle competenze giudiziarie che in passato aveva col podestà; il legato di Perugia doveva risiedere nella legazione, i benefici vacanti della diocesi di Perugia potevano essere concessi ai soli perugini; sotto l'autorità dell'abate di S. Pietro furono ridotti i monasteri femminili di S. Margherita e S. Caterina.
Nel 1520 l'E. ebbe un altro incarico di notevole rilievo, essendo stato eletto tra i sessanta maggiori cittadini deputati alla riforma del governo di Perugia per tre anni. Nel 1521, in seguito alla nomina del nuovo legato di Perugia nella persona del cardinale di Cortona Filippo Silvio Passerini, l'E. fu inviato con Ranaldo Montemellini a Foligno per riceverlo e sollecitare la sua entrata in città. In occasione dell'assedio posto alla città da Gentile Baglioni nel 1522, l'E. collaborò con il Passerini prendendo parte a numerose missioni di pace al campo nemico. Sempre nello stesso anno venne incaricato di recarsi a Roma con altri oratori per rendere omaggio al nuovo pontefice Adriano VI: ma la missione non ebbe luogo a causa del sempre più ampio propagarsi della peste. Si recò a Roma nel 1524, poco dopo l'elezione di papa Clemente VII, per trattare importanti questioni giurisdizionali. Nel 1525 l'E. venne inviato, con Piermatteo degli Alessandri a Cortona dal Passerini per sollecitarlo a prendere provvedimenti contro gli abitanti del contado perugino che si rifiutavano di inviare sussidi alla città e di pagare i debiti. Sempre nel 1525 si recò da solo a Firenze dal Passerini per richiedere che venissero confermati allo Studio perugino e agli studenti i privilegi e le immunità già riconosciuti dalla legislazione romana e municipale.
Nel 1526, essendo stato deciso di stampare il primo volume degli statuti perugini, l'E. venne incaricato di riordinarne il testo. L'anno seguente, nel maggio, fece parte di una ristretta commissione di cinque giuristi deputati a riformare i capitoli del nuovo Consiglio dei cinquecento, definendone le competenze. Nel 1528 venne inviato come ambasciatore presso il papa Clemente VII, che si trovava a Orvieto in seguito al sacco di Roma. Durante questa permanenza il giurista trattò direttamente con una commissione giunta da Perugia per risolvere la questione del debito di 10.000 ducati che la città aveva con la Camera apostolica. Sembra anche che il pontefice, in questa occasione, abbia consultato l'E. in merito alla richiesta di divorzio presentata da Enrico VIII, re d'Inghilterra, nei confronti della moglie Caterina d'Aragona. Successivamente, poiché la decisione del papa e della Curia romana tardava ad arrivare, gli ambasciatori inglesi da Roma richiesero direttamente all'E., il 16 dic. 1531, di esprimere il proprio parere giuridico al riguardo.
Nel 1529 l'E. venne eletto, insieme con altri quattro cittadini, per coordinare l'opera del vescovo di Veroli, Ennio Filonardo, vicedelegato apostolico, presso il pontefice, sempre per questioni giurisdizionali relative al territorio umbro e alla città di Perugia. Nel febbraio del 1535 l'E. venne incaricato di stilare il nuovo documento con cui veniva concesso al popolo perugino la partecipazione in forma più ampia e allargata al Consiglio maggiore della città, e nel settembre dello stesso anno, in occasione della venuta a Perugia del nuovo papa Paolo III, fu eletto fra i sei ambasciatori deputati a riceverlo. In questa occasione l'E. pronunciò anche un discorso in latino per ringraziare il pontefice della visita effettuata negli stessi giorni al Collegio dei giureconsulti, il cui testo è conservato nell'operetta di M. Podiani, De felicissimo Pauli IIIpontificis maximi adventuPerusiam urbem ac praestitiscivitatis officiis libellus, stampata a Perugia nel 1535. Nel 1537 Paolo III lo nominò cavaliere aureato, con altri illustri perugini come Luca Alberto Podiani.
Negli ultimi anni di vita l'E., pur essendo divenuto cieco, continuò l'insegnamento allo Studio perugino, di fronte ad un numero sempre maggiore di studenti.
L'E. morì a Perugia il 15 apr. 1539, a circa settantasette anni, e venne sepolto con grandi onori nella chiesa di S. Domenico, nella cappella di S. Tommaso d'Aquino. Nel testamento, che aveva steso nel 1525 e rinnovato nel 1537, lasciò eredi i due figli Antonio Felice e Giovanni Battista: sappiamo infatti che si era sposato con una certa Eusebia di Annibale, anche se non si conosce la data del matrimonio.
La fama raggiunta dall'E. come studioso di diritto fu amplissima: nel corso del sec. XVI il suo nome era infatti noto in tutta Europa, grazie anche al suo insegnamento e alla produzione letteraria, rivolta soprattutto all'esegesi e alla discussione di questioni giuridiche. Scrisse infatti le seguenti opere: Quaestiones sive dubia solemniter disputata de diversis materiis, Perusiae 1506; Super titulo de legatis primo ad legem Falcidiam et ad Senatus consultum Trebellianum comentaria, ibid. 1507, in cui sono trattate numerose questioni relative alla legge Falcidia e al Senato consulto Tribellianico; Super secunda Digesti novi lectura insignis, ibid. 1509; Lectura in primam Digesti novi partem, ibid. 1510, preceduta da una lettera di Gian Giacomo da S. Elpidio allo stesso E.; In primam Infortiati partem, ibid. 1510; Responsio facta cuidam R. P. in Curia tum degenti ipsum instanter requirenti ut scriberet quid de iure sentiret. In quaestionibus sive dubiis super quaestionibus composit quoddam opus idem R.P. trasmisit, ibid. s.d. Dell'E. rimangono anche alcune Repetitiones accademiche e soprattutto trecento eruditi consilia (distinti in due libri), conservati manoscritti nel cod. 402 della Biblioteca dell'Accademia Etrusca di Cortona, che evidenziano ulteriormente l'ampiezza della sua preparazione giuridica. Un consilium dell'E. è conservato anche in Arch. di Stato di Firenze, Carte Strozziane, s. III, 45/5, c. 65. All'E. è stato anche attribuito erroneamente il Tractatus de negotiis probandis, il Tractatus de appellationibus et attentatis e altri scritti che sono invece opera di Francesco Ercolani.
Fonti e Bibl.: Molteplici documenti sulla vita e sull'attività dell'E. sono conservati presso l'Arch. di Stato di Perugia: ad esempio Bolle e brevi IV, cc. 70, 170; Archivio Camerale IV, c. 170ter; V, cc. 100, 102, 113, 126; VI (Diversorum. 1492-1511), cc. 46v, 47, 126; presso la Bibl. comunale di Perugia, ms. 1457: A. Mariotti, Memorie estratte dai libri esistenti nell'Arch. della Camera apost. di Perugia, cc. 42 ss.; presso la Bibl. naz. di Firenze, Postillati 17: P. Pellini, Dell'istoria di Perugia, III; si veda inoltre, M. Mantua, Epitome virorumillustrium, Patavii 1555, n. 230; G. Crispolti, Perugia Augusta, Perugia 1648, pp. 351 s.; C. Cartari, Advocatorum Sacri Concistorii syllabum, Romae 1656, pp. XCIV-XCVI, CCCVIII; L. Iacobilli, Bibliotheca Umbriae, Fulginiae 1658, pp. 273 s.; A. Oldoini, Athenaeum augustum, Perusiae 1678, pp. 330-332; A. Mariotti, De' perugini auditoridella Sacra Rota romana, Perugia 1787, pp. 55 s., 59, 142; A. Fabronio, Historiae Academiae Pisanae, I, Pisis1791, pp. 98, 277-279; V. Bini, Memorie istoriche della perugina università, Perugia 1816, pp. 395-400, 417, 594; C. Bontempi, Ricordidella città di Perugia..., a cura di F. Bonaini, in Arch. stor. italiano, XVI (1851), pt. 2, p. 376; T. Cuturi, Le tradizioni della scuola di diritto civile nell'Univ. di Perugia, Perugia 1892, pp. 65 s.; D. Maffei, La donazione di Costantino nei giuristi medioevali, Milano 1969, p. 333; G. Ermini, Storia dell'Univ. di Perugia, I, Firenze 1971, pp. 513-515, 547; G. Mazzatinti, Inventari dei manoscritti delle biblioteche d'Italia, XX, p. 27; P. O. Kristeller, Iter Italicum, ad Indices.