DE FORNARI, Vincenzo
Nacque a Genova verso il 1513. Il prestigio di cui godette il padre, Giovanni Battista, permise al D., fin da giovane, di partecipare attivamente alla vita politica della Repubblica. Nel 1534 fu estratto a sorte nella "muda" di ventotto cittadini cui era affidato il compito di proporre la lista dei candidati alla carica di senatore, rinnovata ogni sei mesi; a questo incarico verrà chiamato anche successivamente, nel 1535, dal 1537 al 1539, nel 1541 e nel 1543. Nel 1535 fece parte del Maggiore Consiglio e venne scelto per partecipare al solenne corteo che accompagnò in città il cardinale Gerolamo Grimaldi, legato apostolico in Liguria. L'anno seguente, il 28 gennaio, essendo morto uno dei senatori, Paolo Saoli Rapallo, il D. fu estratto tra gli elettori incaricati di procedere alla surroga; nel 1537 fece parte del Consiglio maggiore e si occupò, con altri, dei festeggiamenti per il Natale; nel 1538 partecipò alla elezione di alcuni ufficiali della Repubblica e nel 1539 venne chiamato per due anni a far parte dei governatori della Maona di Chio. Nel 1541, dovendo giungere in città l'imperatore Carlo V, egli ebbe l'incarico di procedere alla manutenzione delle strade in Piccapietra per il passaggio del solenne corteo; l'anno seguente fece ancora parte del Consiglio maggiore; nel 1544, infine, fu chiamato a far parte dei governatori delle gabelle di Chio.
Attraverso questi incarichi di secondaria importanza nella complessa struttura della Repubblica, il D. ("giovane, per la dolcezza dei costumi e dell'ingegno e per ogni rispetto, ornatissimo", come lo definisce il Bonfadio) poté maturare la necessaria esperienza negli affari politici per essere inviato a Bruxelles, alla fine del 1544, come rappresentante genovese nelle trattative che fecero da sfondo alla pace di Crépy.
Piuttosto difficoltoso fu il viaggio per giungere alla corte imperiale: ammalatosi vicino a Spira e costretto a servirsi di una scorta ridotta per le limitazioni logistiche volute dalle poste fiamminghe, egli dovette rallentare il cammino in mezzo a "barbarissime generationi" con cui era impossibile comunicare. Giunto finalmente a Bruxelles, egli fu ben presto coinvolto nella atmosfera di sgomento e di preoccupazione diffusa tra gli alleati di Carlo V per una pace che sembrava ribaltare i rapporti di forza tra Impero e Francia. Benché circolasse già da tempo la voce che le capitolazioni tra le due potenze fossero state concordate, incerto restava il prezzo che Carlo stava accingendosi a pagare per la pace, dato che non si sapeva se la prevista cessione di uno Stato alla Francia avrebbe riguardato le Fiandre o il ducato di Milano. Principale compito del D. fu quello di intervenire nei modi possibili perché il temuto passaggio dello Stato milanese a Francesco I non si trasformasse in un grave danno per la Repubblica di Genova, tradizionalmente legata da stretti rapporti con la Lombardia e in crisi diplomatica con la Francia, dopo che la città era passata nel 1528 al campo asburgico.
In una lettera del 14 ott. 1544 il D. informava il suo governo sugli avvenimenti militari della guerra tra Inghilterra e Francia e sulla situazione alla corte imperiale: qui si temeva sempre più concretamente che la scelta di Carlo V potesse cadere sul ducato di Milano, la cui importanza strategica sembrava meno delicata di quella fiamminga; essendo inoltre uno Stato acquistato, la sua cessione sarebbe sembrata meno vergognosa rispetto alle Fiandre, Stato patrimoniale; la stessa Maria, sorella dell'imperatore, premeva in tal senso. Due giorni dopo un colloquio col cardinale Granvelle tranquillizzò in parte il D.: Genova era stata posta nelle capitolazioni come città confederata, anche se nessuna garanzia poteva essere offerta che l'atteggiamento francese ostile alla Repubblica sarebbe stato modificato. Inoltre, nelle capitolazioni non era stato possibile inserire alcun articolo in tal senso; tuttavia, il cardinale si impegnò ad adoperarsi perché in Francia venisse pubblicata la remissione delle rappresaglie contro i Genovesi.
Il 18 ottobre il D. venne ricevuto da Carlo V: il colloquio approdò ad un nulla di fatto, perché l'imperatore interruppe bruscamente la perorazione del D., dichiarando che era impossibile modificare gli accordi presi con Francesco I. Del resto, il clima di sfiducia nelle decisioni imperiali era alimentato anche dalla estrema riservatezza da cui era circondato il passo dell'accordo concernente Genova. Il 30 novembre ci fu un altro colloquio tra Carlo V e il D.: alle lamentele avanzate dal rappresentante genovese perché nulla era stato fatto per allontanare le temute ritorsioni della Francia sulla piccola Repubblica, inserendo una clausola specifica riguardante Genova (ricordata nelle capitolazioni solo in termini generali), l'imperatore si giustificò, obiettando che la pace era stata fatta in stato di necessità, data la grave situazione in cui si era venuto a trovare il suo esercito; del resto, la situazione politica e militare era ormai cambiata rispetto al momento in cui, come osservava lo stesso imperatore, essendo prigioniero Francesco I e ostaggi i suoi figli, egli "era in termine che con la penna in mano poteva gionger ciò che li pareva": abile scusa, perché il lavoro diplomatico di Carlo non poteva certo essere turbato dai timori di una piccola Repubblica.
I tentativi compiuti dal D. per sondare il terreno attraverso colloqui con personalità eminenti della corte imperiale non valsero a nulla: per tutto novembre rimase incerto il tenore delle capitolazioni. L'arrivo a Bruxelles del duca d'Orléans alimentò le voci di un possibile passaggio dello Stato milanese sotto la sua persona; il D., tuttavia, non ritenne opportuno compiere la consueta visita di cortesia al duca, provocando un duro rimbrotto da parte del suo governo. Partito l'imperatore alla volta di Worms, ma caduto ammalato di gotta a Gand, parte della corte, compreso il D., si trasferì ad Anversa alla fine di dicembre, per poi fare ritorno a Bruxelles nel gennaio del 1545.
Ormai certa la cessione dello Stato milanese alla Francia, il D. si adoperò perché venisse tenuto conto degli interessi genovesi; nel maggio egli si trasferì a Worms, dove stava per celebrarsi la Dieta imperiale. Un altro colloquio col cardinale Granvelle approdò solo a vaghe promesse, il che, tuttavia, secondo il D., era tutto ciò che si poteva ottenere in quel momento. Ritornato a Bruxelles, egli venne incaricato di adoperarsi per la restituzione di un credito di 18.000 scudi concesso da Genova all'imperatore; la trattativa, trascinatasi a lungo, si concluse con un accordo per il pagamento di 9.000 scudi a titolo di risarcimento per i danni di guerra patiti da Genova. Il 29 ottobre, a Gand, il D. ebbe un altro incontro col Granvelle; trasferitosi, infine, ad Anversa alla fine di novembre, ricevette dal governo l'ordine di lasciare il suo incarico.
Ritornato a Genova, il D. riprese il suo posto nella vita politica e amministrativa della Repubblica: nel 1546, essendo morto Meliaduce Usodimare, membro del Senato, venne estratto nella "muda" incaricata di scegliere il suo successore; sempre nello stesso anno, fece parte del Collegio dei governatori della Maona di Chio, fu elettore di ufficiali minori della Repubblica e di un senatore e divenne membro del Consiglietto, dopo la riforma doriana detta del "garibetto"; nel 1548 venne scelto per partecipare alla elezione di un membro del Senato, incarico rivestito anche l'anno seguente.
Tuttavia, il processo subito dal padre, accusato di aver congiurato contro la Repubblica (1549), finì col travolgere anche il D., la cui carriera politica conobbe una lunga interruzione. Benché egli prendesse ancora parte al Consiglio maggiore (1551, 1559), nessun'altra carica anche di secondaria importanza gli venne attribuita per almeno un decennio. Le liste di ufficiali della Repubblica compilate da Giulio Pallavicino ricordano in questo periodo un Vincenzo De Fornari come partecipante al corteo che accompagnò in città il duca di Medina nel 1557, ufficiale di Chio l'anno seguente e sindicatore minore nel 1559; tuttavia, i membri della famiglia De Fornari di questo nome erano almeno due: il D. e il figlio di Carlo; pertanto, in mancanza della paternità non è possibile identificare chi dei due abbia rivestito tali cariche.
Nel 1561 il D. riprese la sua attività politica, venendo chiamato a far parte del Collegio degli elettori per la nomina di alcuni ufficiali della Repubblica; in seguito, venne scelto dal Consiglietto per nominare il senatore di rinnovo semestrale, incarico da lui rivestito in altri anni (1562, 1563, 1565, 1568, 1570, 1572). Nel 1563 venne eletto censore; l'anno seguente accompagnò il Senato in S. Lorenzo per la messa in suffragio del defunto imperatore Ferdinando e venne scelto nella magistratura incaricata di imporre tasse ai non ascritti al Libro della Nobiltà.Nel 1566 fece parte del Collegio degli straordinari; nel 1569 fu sindicatore minore; nel 1571 fu nominato tra gli ambasciatori inviati a Savona per accogliere don Giovanni d'Austria, ma venne scusato; l'anno seguente, fece parte dell'ufficio di Terraferma al posto di Cristoforo De Fornari. In questo periodo, inoltre, fu ripetutamente membro del Consiglio maggiore della Repubblica e fu scelto anche a far parte del Consiglietto (1569, 1571, 1573, 1576, 1578, 1582). Nel 1576, dopo la grande riforma istituzionale uscita dagli accordi di Casale, il suo nome venne posto nell'urna del Seminario, un collegio ristretto di centoventi membri da cui dovevano essere estratte le magistrature più importanti della Repubblica. Finalmente, la nomina nel Collegio dei procuratori, avvenuta nel 1583, sancì il culmine della lunga carriera politica del D., esempio della nascita di una classe professionale di "uomini di governo" all'interno della Repubblica genovese. Ancora nel 1591 egli venne chiamato a far parte del Consiglio maggiore; non si hanno altre sue notizie dopo quest'anno.
Fonti e Bibl.: Arch. di Stato di Genova, Archivio segreto, Lettere ministri Vienna, 1/2518; Ibid., ms. n. 10, Catalogo dei magistrati della Repubblica di Genova dall'anno 1332 in 1528, c. 73r; Ibid., Collezione Longhi, ms. n. 480: Famiglie nobili, c. 21; Genova, Archivio storico del Comune, ms. n. 285: G. Pallavicino, Consigli grandi e piccoli, cc. 62v, 80, 122v, 160, 196, 266, 282, 298v, 338v, 359v, 362, 380, 382, 404, 406, 428v, 441, 447v, 466v, 468, 479, 490, 506v, 585; Ibid., ms. n. 284: Id., Elettioni de magistrati della Repubblica di Genova dal anno 1528 sino al 1575, cc. 69v, 76v, 84v, 85v, 89, 99v, 104v, 105, 106v, 109v, 114v, 121v, 122, 123v, 124v, 127rv, 148v, 152, 174v, 176, 183v, 202rv, 205, 210v, 213v, 219, 227, 324v, 329v, 332v, 345v, 353rv, 358v, 371, 378v, 380, 389, 392v, 396, 404, 412, 420, 430, 432; J. Bonfadio, Annalium Genuensium ab anno MDXXVIII usque ad annum MDL, Papiae 1586, p. 136; F. Casoni, Annali della Repubblica di Genova, Genova 1799, II, p. 153; IV, p. 96; Inventione di Giulio Pallavicino di scriver tutte le cose accadute alli tempi suoi (1583-1589), a cura di E. Grendi, Genova 1975, pp. 24, 48; V. Vitale, Diplomatici e consoli della Repubblica di Genova, in Atti della Società ligure di storia patria, LXIII (1934), p. 108; J. Delumeau, Vie écon. et sociale de Rome dans la seconde moitié du XVI siècle, II, Paris 1959, p. 897; G. Guelfi Camajani, Il "Liber Nobilitatis Genuensis" e il governo della Repubblica di Genova fino all'anno 1797, Firenze 1965, p. 213.