DE FILIPPIS, Vincenzo
Nacque a Tiriolo (Catanzaro) il 4 apr. 1749 da Vito e Laura Micciulli.
La famiglia si collocava probabilmente nel "ceto civile" degli uffici e delle professioni: ciò, sia perché lo statuto del collegio Ancarano, che il D. frequentò, prescriveva che gli alunni fossero "di famiglia onorata senza esercizio di arte meccanica, ma capaci degli Uffizi primi ed onorevoli di lor patria", sia perché lo stesso D. ricoprirà poi un incarico tipico di quel ceto, quello di amministratore di terre nobiliari; risulta inoltre che i De Filippis possedevano a Tiriolo beni di qualche entità.
Gli studi del D. iniziarono, come d'uso, con pedagoghi privati; dapprima a Taverna, poi a Catanzaro sotto la guida del frate minore Saragò, cultore di matematica, che poté forse destare nell'alunno l'interesse per questa materia. Al termine degli studi secondari soggiornò a Napoli, dove udì A. Genovesi (che il Capasso disse "maestro amorevole e amico carissimo" del D., senza però motivare tale giudizio); è stato notato che questo contatto e la successiva ammissione all'Ancarano, per la quale si sosteneva anche un esame di diritto, oltre alla familiarità con questioni giuridico-economiche che appare in vane fasi della sua attività, rendono plausibile che a Napoli il D. seguisse con regolarità i corsi giuridici. La parentesi napoletana fu comunque breve, perché nel 1769, superato il concorso, il D. si recò a Bologna come convittore dell'Ancarano divenuto, per iniziativa del Tanucci, una componente importante della struttura educativa dello Stato borbonico, in quanto destinato alla formazione dei funzionari pubblici del Regno; strutture e programmi dei corsi del collegio erano stati toccati dal rinnovamento del medio Settecento, ed esso era collegato organicamente con le istituzioni più qualificate della cultura bolognese dell'epoca: i convittori erano ammessi alle lezioni e dimostrazioni tenute nell'Istituto delle scienze, nonché alle riunioni dell'Accademia che gli era annessa.
Fu questo ambiente scientifico, all'avanguardia nell'Italia di allora, a incidere permanentemente sulla formazione del D., che, seguendo docenti come G. Saladini, F. M. Zanotti, S. Canterzani e forse anche V. Riccati, poté aggiornarsi sui recenti sviluppi italiani ed europei, particolarmente in matematica e meccanica; con il Canterzani, dopo la laurea in filosofia nel 1773 e il ritorno nel Mezzogiorno, il D. terme una corrispondenza non fittissima, ma durevole (il Capasso poté vedere presso gli eredi dei D., a Tiriolo, gli originali di trentatré lettere del Canterzani, dal marzo 1771 al dicembre 1790; più recentemente R. Mazzei ha reperito, nel ms. 2096 della Biblioteca universitaria di Bologna, quarantatré lettere del D. e le minute di trentanove del Canterzani, dal 1773 al 1792). Interesse almeno pari a quello che suscita questo carteggio presenterebbero quelli - anch'essi ricordati nelle fonti - tra il D. e scienziati italiani ed esteri come V. Caravelli, C. Bormet, D. Cirillo o personaggi come il Pagano, ma è possibile che essi - non più menzionati negli studi più recenti - siano andati dispersi, come avvenne per altre carte del D., dopo il suo arresto, seguito al crollo della Repubblica del 1799, e il saccheggio della sua casa di Tiriolo da parte dei sanfedisti.
Tornato nel Regno, il D. si mosse per alcuni anni tra il paese natale e Napoli ricercando una sistemazione come insegnante e fu allora, tra il 1773 e il 1776, che stabilì e ribadì a Napoli rapporti sia con personalità scientifiche (matematici e fisici come il Caravelli e F. S. Poli), sia con esponenti dei circoli illuministicomassonici come il Pacifico e il principe di Cararnanico; anche in seguito i suoi rapporti con quei circoli, a Napoli e in Calabria, saranno così continui da avvalorare l'ipotesi di una sua affiliazione alla massoneria, che però non è provata. D'altronde è ben noto il rapporto tra ambienti massonici e i gruppi giacobini che forniranno ampia parte dei quadri della Repubblica partenopea, ai quali il D. seriz'altro appartenne. La speranza d'ottenere una cattedra e l'altra di conseguire l'incarico di redigere un manuale di analisi per la scuola degli allievi ufficiali si basavano evidentemente sulla protezione del Tanucci, perché dopo l'allontanamento di questo dal governo (1776) il D. si trasferì stabilmente a Tiriolo, divenendo amministratore del principe S. Cigala, titolare del locale feudo. Nelle pause di questo impegno professionale, forse non molto gradito, o forse anche per reagire alla chiusura provinciale, il D. stabilì rapporti con i ristretti nuclei illuministici che iniziavano a formarsi a Catanzaro e in altre località del circondario, e particolarmente col cappuccino Gregorio Aracri professore di matematica nel serrànario catanzarese, poi autore della discussa opera Elementi del diritto naturale (Napoli 1787) e inquisito negli anni '90 dal governo borbonico per le sue simpatie giacobine. I rapporti con l'Aracri, e quelli stretti nei ripetuti soggiorni napoletani, che gli valsero l'ammissione alla Reale Accademia delle scienze, fungono da tramite tra il periodo formativo del D. e gli orientamenti ideologico-politici della maturità; nel 1781 sposò Rosalinda Stella, da cui ebbe più figli (uno, Francesco, sarà poi ufficiale d'artiglieria nell'esercito borbonico). Frattanto continuava i suoi studi di matematica e meccanica, e nelle lettere al Canterzani indicò e discusse alcune sue letture (Euler, d'Alembert, Lagrange), oltre a parlare più volte d'uno scritto sui principi della meccanica cui stava lavorando.
L'operetta, sopravvissuta alle vicende del 1799 e tuttora conservata presso gli eredi, ha per titolo Elementi di meccanica. De' principi della meccanica libri tre. Discussa dal Marcolongo e dal Mazzei, è l'unica del D. (eccettuata quella sul sisma del 1783) la cui completezza sia tale da consentirne una valutazione. Concettualmente, la più consistente delle novità introdotte dall'autore fu il tentativo di derivare il principio dei lavori virtuali da quello dell'equivalenza delle forze, al contrario dell'uso già invalso; la trattazione si sviluppava da pochi principi "metafisici", privilegiando criteri di generalità e derivabilità logica. In tal senso parve al Marcolongo che i tre libri (il primo sul moto in generale, il secondo sulla statica, il terzo sulla dinamica) anticipassero per qualche verso l'idea lagrangiana d'una meccanica analitica; va tuttavia osservato che non solo i mezzi matematici attingibili al D. erano nettamente più limitati e tradizionali di quelli del Lagrange (ed anzi egli condivise le perplessità di certi ambienti scientifici italiani verso gli orientamenti analitici in matematica e fisica), ma che gli scopi stessi dell'opera, come chiarì lo stesso D. dopo aver studiato a Napoli, nell'estate del 1792, la Mécanique di Lagrange, erano più circoscritti: essa voleva essere un manuale senza altro avanzato, ma con esplicita destinazione didattica.
Il D. pensò a lungo di pubblicare gli Elementi, interessando anche il Canterzani, ma a partire dal 1795 le sue vicende personali glielo impedirono. Alle indagini di meccanica se ne unirono altre: nel 1783, in occasione del disastroso sisma calabrese, il D. ne scrisse una relazione in forma epistolare e diretta al Canterzani, arricchita in seguito da considerazioni sull'altro sisma del 1785; lo stimolo a scrivere gli venne probabilmente da un'analisi dei suo corrispondente su un terremoto del 1779 in Emilia, dalla quale recepì l'ipotesi "elettrica" sulla genesi dei terremoti, allora ampiamente diffusa. Lo scritto, accurato nella parte descrittiva e criticamente informato in quella scientifica, è l'unico tra quelli del D. che abbia avuto pubblicazione, sia pure postuma (De' terremoti della Calabria Ultra nel 1783 e nel 1785, a cura di G. B. Caruso, Catanzaro 1905).
Non è invece del tutto chiaro in quale misura siano conservati, tra le carte rimaste ai discendenti, altri scritti segnalati da memorialisti (un saggio sul Bonnet; un Corso di etica e scritti di filosofia e metafisica; problemi di matematica e di fisica, ecc.). Oltre all'attività scientifica, il D. curò varie altre iniziative culturali nell'ambito locale: pensò a scavi archeologici nella zona di Tiriolo, e dopo il terremoto del 1783 partecipò ai dibattiti sulle iniziative di ripresa nella regione; quando la polemica degli illuministi meridionali ottenne un significativo risultato con la soppressione di molti conventi calabresi, il D. fu tra i sostenitori dell'iniziativa, e forse fu tra i responsabili a Catanzaro della Cassa sacra, sorta per amministrare i beni dei conventi soppressi.
Nel 1787 la sua situazione professionale cambiò consentendogli un collegamento tra impegno professionale e interessi culturali; ottenne infatti la cattedra di matematica nelle regie scuole di Catanzaro, dove insegnò per circa sei anni, lasciando un'impronta durevole nella tradizione locale (fu suo allievo anche G. Poerio. che ne ricorderà l'insegnamento come essenziale nella propria formazione). Nel contempo, forse anche grazie alle relazioni epistolari, il nome dei D. acquistò qualche notorietà nell'ambiente scientifico italiano, e fors'anche estero: a questa notorietà va collegata la voce, vaga e non esattamente controllabile anche se verosimile, circa una proposta giuntagli dalla Russia di trasferirsi a Pietroburgo come membro ordinario dell'Accademia delle scienze, proposta che il D. lasciò cadere. La sistemazione didattica, che realizzava un'aspirazione più che decennale, non fu durevole perché nel 1792 chiese l'esonero per motivi di salute, che di fatto era compromessa da una grave forma asmatica; si è però anche supposto che questa fosse una mossa prudenziale per non venir coinvolto nelle polemiche sugli scritti dell'Aracri, cui presero parte suoi colleghi d'insegnamento. Certo è che i suoi legami con gruppi massonici si rafforzarono anche grazie ai soggiorni a Napoli (vi fu a lungo nel 1785-87 e nel 1792), ed è stato osservato che già nel 1790 a Catanzaro esistevano due logge e che nel 1792 il Galanti, giunto in Calabria come emissario dei giacobini napoletani, proponeva il D. come perno d'un gruppo di affiliati da costituire a Tiriolo. Dal 1792, anche per l'interruzione della corrispondenza con il Canterzani, le attività del D. restano oscure fino al 1795 quando, costituita la speciale giunta di Stato per perseguire i nuclei giacobini, presieduta dal Vanni, il suo nome appare tra quelli degli inquisiti; secondo G. Rodinò, il D. fu arrestato, mentre il D'Ayala preferi credere che egli si desse alla latitanza: ma nessuna delle due tesi ha il conforto di documenti precisi;.unico dato certo è che in un regio decreto del 1797, che traeva le conclusioni del lavoro compiuto dalla giunta, il D. compariva tra i rinviati a giudizio.
Costituita la Repubblica partenopea, il D. si recò immediatamente a Napoli - se già non vi si trovava detenuto -fornendo la sua piena adesione, e svolgendo una serie qualificata di incarichi che si può ricostruire integrando l'ufficiale Monitore napoletano con alcune fonti memorialistiche: fu uno dei due membri aggiunti al governo provvisorio il 12 Ventoso (2 marzo 1799), figurando nel comitato per l'Interno; il 3 Germinale (23 marzo) era membro, con P. Baffi e V. Porta, del comitato delle Finanze, con probabili mansioni di presidente (e già il 18 marzo presiedeva la commissione per le Casse di pubblica amministrazione); col decreto dell'Abrial del 25 Germinale (14 aprile) divenne uno dei 25 membri della Legislativa, e il 1° Floreale (20 aprile) sostitui F. Conforti come responsabile dell'Interno.
Questi dati esterni e l'esiguità delle analisi condotte sul suo ruolo non consentono di chiarire con molta precisione la sua azione nelle più ampie vicende della Repubblica; si potrà osservare che il suo pensiero politico filogiacobino non palesa matrice decisamente deistica o ateistica, ma piuttosto pare aver mirato alla conservazione del genuino nocciolo etico della tradizione cattolica, accettata o non combattuto negli aspetti sentiti come positivi: cosi il D. fu sensibile a certe necessità degli ordini regolari e presenziò in rappresentanza del governo a manifestazioni religiose, forse anche intuendo il pericolo di una saldatura tra lealismo borbonico e devozione religiosa; colpi poi con un decreto la stampa d'una traduzione della Thérèse philosophe, uno dei più violenti pamphlets della libellistica anticattolica.
Al profilarsi della reazione sanfedista, il D. fu tra i volontari aggiuntisi alle truppe inviate a fronteggiare il Ruffo, e fu poi tra coloro che si disposero all'estrema difesa dei castelli di Napoli, accettando in seguito di capitolare in cambio del permesso di far vela per la Francia; all'atto dell'imbarco, il 25 giugno, scrisse alla moglie una lettera di ragguaglio su quelle vicende, che è l'ultimo suo scritto noto. là risaputo che gli Anglo-borbonici non onorarono poi l'accordo, imprigionando i repubblicani, tra cui il D.; mentre l'apposito tribunale veniva pronunciando molte condanne a morte, il re Ferdinando IV sospese la esecuzione per circa ottanta condannati, tra i qua!i il D.; l'iniziativa regia, a fronte delle pressioni sanfediste e degli ambienti di corte, non valse che a salvare alcuni condannati e a ritardare le esecuzioni degli altri.
Il D. venne giustiziato a Napoli il 28 nov. 1799., insieme con il Logoteta e l'Albanese.
Fonti e Bibl.: 1799. Proclami e sanzioni della Repubblica napoletana pubblicati per ordine del governo provvisorio, a cura di C. Colletta, Napoli 1863, p. 93; B. Maresca, Racconti stor. di Gaetano Rodinò ad Aristide suo figlio, in Arch. stor. per le prov. napoletane, VI (1881), 2, pp. 274 s., 290; C. De Nicola, Diario napol. 1798-1825, I, Napoli 1906, pp. 108, 110, 126, 355, 383, 389; V. Cuoco, Saggio stor. sulla rivoluzione napoletana del 1799, a cura di N. Cortese, Firenze 1926, pp. 111, 234 s., 309 s., 328; Il Monitore napoletano del 1799, a cura di M. Battaglini, Napoli 1974, pp. 204 s., 304, 421, 440, 532 s., 598, 623; C. Poerio, Vita di G. Poerio, in Giorn. napol. della domenica, 5 marzo 1882, p. 1; M. D'Ayala, Vite degli Italiani benemeriti della libertà, Roma 1883, ad vocem; G. Capasso. Un abate massone del sec. XVIII (Antonio Ierocades). Un ministro della Repubblica partenopea [V. D.] ... Ricerche biografiche, Parma 1887, pp. 35-43; R. Marcolongo, Un trattato di meccanica razionale..., in Atti del IV congr. internazionale dei matematici, s. 4, III, Roma 1909, pp. 488-99; G. Cingari, Giacobini e sanfedisti in Calabria nel 1799, Messina-Firenze 1957, pp. 83, 89, 204, 265; R. Mazzei, Un calabrese del '700, patriota e scienziato: V. D., in Archivio storico per la Calabria e la Lucania, XLIII (1976), pp. 161-99; Diz. del Risorg. nazionale, II, ad vocem.