DANTI, Vincenzo
Nacque a Perugia nella seconda metà dell'aprile 1530 (come si deduce dall'iscrizione tombale - Pascoli, 1730, pp. 293 s. - che fissava la data precisa al 22 apr.) primogenito di Giulio e di Biancofiore degli Alberti, seguito dai fratelli Carlo Pellegrino (che nel 1555 entrò nell'Ordine domenicano con il nome di Egnazio) e Girolamo.
Ebbe dal padre una prima formazione da orafo, ma anche letteraria e matematica; a questa educazione contribuì (Pascoli) Teodora, sorella di Giulio e studiosa di astronomia, matematica e geometria, oltre che autrice di alcuni scritti e pittrice. Non c'è dubbio che l'educazione del D. seguisse, insieme con quella dei fratelli minori, la tradizione famigliare che aveva visto il nonno Piervincenzo Ranaldi assumere il nome Dante per ammirazione di Dante Alighieri e proporsi non solo come artefice, ma anche come studioso e teorico della propria attività.
Il Pascoli vuole che il D. ancora "giovinetto" si recasse a Roma a lavorare sotto la direzione di Michelangelo e Daniele da Volterra (1730, p. 289; 1732, p. 138), anche se nessun documento conferma le circostanze di questo primo soggiorno romano e soprattutto dei suoi rapporti con l'ambiente di Michelangelo. È possibile che il D. sia stato a Roma per qualche tempo, dal momento che, pur essendo stato iscritto all'arte degli orafi di Perugia il 28 genn. 1548 (per il rione Porta Eburnea, come il padre Giulioe il nonno Piervincenzo), il suo nome non appare in contratti sino al 1553. In quell'anno fu affidata a lui e al padre Giulio la statua bronzea di Giulio III per la piazza di Perugia. L'incarico pare troppo importante e il suo ruolo in contratto troppo rilevante rispetto a quello paterno per non presupporre un suo appreddistato autonomo.
A Roma il D. potrebbe essere stato ospite di quel Panfilio Marchesi, scultore (Summers. 1969, p. 4) cui Giulio darà poi notizie in merito alla avvenuta partenza del figlio per Firenze il 5 ag. 1557 (Bertolotti, 1881). Ma difficilmente ebbe allora un diretto contatto con Michelangelo, dal momento che nella Prefazione al suo Trattato delle perfette proporzioni scrive che aveva oltre ventidue anni "quando, mediamente la cognizione e grandezza di tant'uomo, ad attendere a quest'arti e all'imitazione di lui mi disposi"; e quindi solo alla fine del 1552 è ammissibile un rapporto, per di più di "imitazione" creativa, quale il D. la intende, con Michelangelo. Rapporto che dunque meglio si lega al suo viaggio a Roma documentato nel 1554 per la preparazione della statua di Giulio III (Barocchi, 1960, p. 496) o persino alla notizia del Pascoli (1730, p. 291) di un'ulteriore viaggio romano dopo la collocazione della medesima.
L'incarico di realizzare la statua di Giulio III in cattedra da collocare sul fianco del duomo di Perugia di fronte alla Fontana Maggiore, fu affidato con contratto a Giulio e al D. il 10 maggio 1553 (Guardabassi, 1872, pp. 16-24), pochi giorni dopo che i Priori ebbero stanziato (3 e 7 maggio 1553) per l'opera 1000 fiorini d'oro in onore del papa che, per tramite del cardinale Fulvio Della Corgnia, ne aveva ristabilito la magistratura soppressa ed aveva restituito alla città gli altri diritti civili cancellati da Paolo III.
Il 27 maggio 1553 venne acquistata una campana di bronzo di 1000 libbre per la fusione e nell'anno seguente la preparazione del lavoro doveva essere a buon punto, se il 14 maggio 1554 Giulio veniva inviato a Venezia per acquistare ulteriore metallo, e il D. a Roma. Il 7 apr. 1554 il D. si era tra l'altro impegnato con i Priori per l'esecuzione in un mese di una coppa in argento dorato, che fu eseguita in suo luogo dal padre Giulio (ibid., p. 16).
L'8 maggio 1555 i Priori si recavano ad assistere alla fusione della statua che il 21 maggio pote considerarsi terminata, dal momento che in quella data sia il card. Fulvio Della Corgnia, sia il card. Giulio Della Rovere, chiesero che fossero pagati gli autori a seguito dell'apprezzamento del Vignola. A conferma, del ruolo primario del D. nella creazione dell'opera, il lato sinistro della base bronzea reca l'iscrizione "Vincentius Dantius Perusinus adhuc puber faciebat", riportata diversamente ma erroneamente dal Pascoli (1730, p. 290). La statua venne collocata il 20 dic. 1555 su di un piedistallo marmoreo simile a quello ricollocato nella stessa posizione nel 1816, dopo che la statua era stata trasferita e ricoverata per salvarla dalla distruzione (subita invece nel 1798 da quella di Paolo III che era sull'altro lato della piazza). È stato ipotizzato (Summers, 1969, pp. 339-41), sulla base di una miniatura di Giovanni Battista Caporali, che la si volesse originariamente disporre in un'alta edicola come quella di Paolo II piuttosto che su di un semplice basamento, e che ciò abbia dal primo momento influito sulle scelte dello scultore.
Nell'anno della stima della statua di Giulio III il D. ebbe rapporti col Vignola anche per via di due statue che il 24 maggio 1555si impegnò a realizzare per Ascanio Della Corgnia nella cappella di S. Andrea in S. Francesco al Prato a Perugia secondo il modello e disegno del Barozzi (Bombe, 1926). Si trattava forse di statue fittili dipinte a finto marmo (andate perdute con la distruzione della cappella) come il Monumento a Guglielmo Pontano in S. Domenico attribuito al D. (Summers, 1969, pp. 354 s.). Giulio riscosse l'8 maggio 1557 ilpagamento della statua di Giulio III per il D., assente da Perugia e segnalato tre mesi più tardi a Firenze dallo stesso Giulio nella lettera del 5 ag. 1557 al Marchesi (Bertolotti, 1881). L'ultima notizia documentaria della presenza del D. a Perugia resta pertanto l'incarico, affidatogli il 29 marzo 1557, congiuntamente ad Ottaviano di Polidoro Ciburri, per la stima delle pitture eseguite da Giulio di Giovan Battista Caporali nelle case di Baglione di Goffredo Baglioni.
Il trasferimento del D. a Firenze. dove il fratello Egnazio era già alla corte di Cosimo I, non comportò un distacco totale da Perugia, ove, in concomitanza con il saldo del bronzo di Giulio III (12 maggio 1559), venne eletto priore dell'arte degli orafi per il secondo trimestre del 1559, ed intraprese la costruzione di una nuova conduttura sotterranea per la Fontana Maggiore che, rimasta a lungo senz'acqua, gettò nuovamente il 30 luglio. 1561. È forse di questo periodo la Flagellazione in terracotta dipinta (ora al museo Jacquemart-André di Parigi) in cui riecheggia il disegno di Michelangelo per la Flagellazione eseguita da Sebastiano del Piombo e collocata in S. Pietro in Montorio a Roma (Davis, 1985, p. 254).
A dimostrazione del successo del suo Giulio III, nella Firenze di Cosimo I il D. ebbe molto presto (1558) l'importante commissione ducale di un Ercole e Anteo da gettare in bronzo per la villa di Castello. Ma la sua affermazione a corte fu fortemente danneggiata dalla fusione non riuscita (Vasari, p. 631), che suscitò le ironie dei concorrenti, fra cui quelle, in sonetto, del Cellini (Mabellini, 1892, p. 307).
Il D. si dedicò allora a temi di più modeste dimensioni e di minore impegno tecnico, e dopo aver realizzato, nello stesso 1558, una grata "della nuova cappella" in Palazzo Vecchio (Vasari, p. 631), eseguì alla fine del 1559, in due parti saldate, il rilievo in bronzo di Mosè e il serpente (Firenze, Museo naz. del Bargello), forse destinato ad antependium dell'altare della cappella di Leone X in Palazzo Vecchio (J. Pope Hennessy, Italian Bronze...,1963, p. 64). Ancora alla fine del 1559 realizzò l'unica opera diversa ma altrettanto esemplare, il cosiddetto Sportello, bassorilievo in bronzo (Firenze, Museo naz. del Bargello) destinato a chiudere l'armadio delle carte personali di Cosimo I nell'appartamento del duca progettato dal Vasari. Lo stesso disegno di insieme dello Sportello e le sue scansioni dipendono dal Vasari (Davis, 1985).
In questo rilievo (pesato il 23 genn. 1561) il D. offre un'altissima dichiarazione di adesione alla maniera di Michelangelo e rappresenta nel riquadro centrale il Rogo dei libri di Numa Pompilio (Davis, 1985, pp. 232 ss.), da intendersi come ammonimento sulla riservatezza delle carte ivi racchiuse. È stato proposto dal Summers (1972, pp. 185-98) che nei primi anni dell'attività fiorentina il D. si legasse al Bandinelli, apprendendone la tecnica della scultura in marmo, che non possedeva. Si spiegherebbe così anche la datazione al 1559 di una Flagellazione in marmo (Kansas City, Rockhill Nelson Gall.), simile a quella di Parigi attribuita al D. (Middeldorf, 1928, pp. 299-306; Summers, 1969, p. 37), anteriore cioè alla Deposizione in bronzo di Washington (National Gallery of Art) datata 1560-61 (C. Seymour Jr., Masterpieces of Sculpture in the National Gallery of Art, New York 1949, p. 181 n. 44). Ma ciò è stato contestato in considerazione del legame del D. col Vasari, avversario del Bandinelli e progettista della maggior parte delle opere cui si lega l'attività scultorea del D. in Firenze, e di argomentazioni stilistiche (Davis, 1985, pp. 246 ss.). Mentre intorno al 1560 è databile il calco in gesso di Cristo che caccia i mercanti, ora a Perugia, presso la Galleria naz. dell'Umbria.
Solo dal 1560, anno in cui partecipò anche al concorso per la Fontana di Nettuno, D. tornò alle grandi figure con L'Onore che vince l'Inganno (Firenze, Museo naz. del Bargello: Summers, 1969, p. 145), gruppo in marmo realizzato per Sforza Almeni, perugino e camerlengo di Cosimo I, che aveva introdotto il D. a corte ed alla cui cerchia erano legati anche il Vasari e il Varchi.
Si tratta di un'opera di notevole efficacia nella rappresentazione del nudo e delle deformazioni delle figure di tecnica sorprendente. L'opera fu oggetto di un distico del Varchi (Sonetti spirituali, Firenze 1573) e di un sonetto del Bottonio (ed. 1779); il D. rispose con un altro sonetto (Schlosser, 1913-14). Collocato nel cortile di casa Almeni in via de' Servi, il gruppo scultoreo gli riaprì la via dei temi impegnativi e monumentali in marmo, piuttosto che in bronzo, come il fallito Ercole e Anteo. Di simile ispirazione è il modello in terracotta della Virtù che vince il vizio del 1560 circa (Firenze, Museo nazionale del Bargello).
Come dimostrano le lettere del Vasari e del Borghini, il D. rimase legato all'Almeni oltre il 1563, periodo al quale possono risalire opere di scultura per la sua villa Rondinelli a Fiesole, come una fontana cui apparterrebbe un Putto non finito che si trova nella villa (Summers, 1969, p. 150).
Il successo come scultore in marmo gli procurò probabilmente una nuova commissione ducale, il Monumento a Carlo de' Medici, terminato nel 1564 (H. W. Frey, Neue Briefe von Giorgio Vasari, Burg b. M. 1940, p. 50) e collocato nel 1566 sul portale d'ingresso all'interno del duomo di Prato, di cui Carlo era stato prevosto. Nello stesso periodo (1562-63) si situerebbe inoltre la Leda e il cigno del Victoria and Albert Museum (attr. di Keutner, 1958, pp. 427-31), forse parte di un gruppo di fontana (Pope Hennessy, 1964, pp. 457 s.), non finita; è stata recentemente attribuita a Giuliano Dandi di San Gimignano (H. Mac Andrew, Italian Drawings in the Museum of Fine Arts, Boston, Boston 1983, p. 24 n. 16).
Ma il più ampio segno del successo e dell'inserimento del D. nell'ambiente fiorentino si ebbe nel 1564, in occasione delle esequie di Michelangelo, per le quali fu eretto un catafalco in S. Lorenzo di cui resta anche uno schematico disegno forse del D. stesso (Summers, 1969, p. 432). Al D. fu affidata una delle quattro sculture basamentali in terracotta dipinta a finto marmo, "una statua grande più che naturale, che sotto n'aveva un'altra come soggetta e vinta, di simile grandezza, ma raccolta in diverse attitudini e stravaganti" (Vasari, pp. 300 s.), del tipo dunque già inaugurato con L'Onore che vince l'Inganno, raffigurante L'Ingegno che vince l'Ignoranza, cui va forse connessa la terracotta con La virtù che vince il Vizio, a lungo poi conservata nella sacrestia di S. Lorenzo (Wittkower, 1964, p. 162, n. 8).
Sempre al D. fu affidato per l'addobbo funerario della chiesa, il dipinto del Trionfo della Fama sul Tempo e sulla Morte. È significativo che soltanto due mesi dopo le esequie di Michelangelo, e cioè il 9 maggio 1564, il D. venisse nominato console della Accademia fiorentina del disegno cui apparteneva come membro sin dalla fondazione (1563), per esservi poi camerlengo il 18 ott. 1565 e ancora console nel 1568.
Altro incarico ufficiale che il D. ottenne nel 1564 fu quello con contratto approvato il 9 giugno da Cosimo I per l'allegoria in marmo dell'Equitàe Rigore, da collocarsi con le armi medicee, anch'esse scolpite, in testata al nuovo edificio degli Uffizi sotto la supervisione del Vasari (J. Lessmann, Studien zu einer Baumonographie der Uffizien G. Vasaris..., Bonn 1975, pp. 215 ss.).
Terminato il gruppo in questione nel 1566, il D. scolpì nel 1568 un Perseo che doveva esser posto al centro delle due figure (lasciato incompleto, fu portato e terminato da altri a Pratolino nel 1577 per tornare più tardi a Boboli) e ancora un ritratto idealizzato di Cosimo I che, finito e collocato nel 1572-73 circa, venne a sua volta sostituito dall'attuale figura di Cosimo del Giambologna per essere sistemato nella sala dei Cinquecento (ora al Museo nazionale di Firenze).
Per le nozze di Francesco de' Medici, figlio di Cosimo, con Giovanna d'Austria, sorella dell'imperatore Massimiliano II, nel dicembre 1565, il D. approntò una statua equestre in terracotta dipinta di Cosimo I vittorioso sulla Frode collocata in piazza S. Apollinare (Summers, 1969, pp. 228-236); ne restano solo alcuni ipotetici disegni preparatori e il ricordo in un sonetto elogiativo di Timoteo Bottonio (ed. 1779). Realizzò anche una Visitazione a rilievo da collocarsi accanto al portale principale di S. Maria del Fiore, anch'essa perduta.
Il 18 ott. 1565 la presenza del D. è comunque di nuovo documentata a Perugia, ove nello stesso anno eseguì un rilievo con la Visitazione e da dove inviò nel 1566, a Cosimo I a Firenze, il bronzo di Avle Metelis (l'Arringatore), trovato nei dintorni di Cortona. Nel 1576 fu poi pagato per undici figure e due grifoni per l'altare di S. Bernardino nella prima cappella a destra del duomo di Perugia, realizzato da Federico Barocci in stucco ed andato distrutto nel 1796-97.
L'impegno letterario, ma anche accademico del D., in sintonia con la tesi di Benedetto Varchi, doveva essere già allora saldo e riconosciuto, se il 26 sett. 1565 veniva accettato anche nell'Accademia fiorentina, riservata a letterati e non a meri artisti. Del resto, alla morte del Varchi, nel dicembre dello stesso anno, il D. ne avrebbe addirittura occupato le stanze nel convento degli Angeli (Vasari, p. 633); mentre per il suo stesso nome e per la tradizione familiare, egli stesso fu probabilmente attratto dallo studio dantesco cui il Varchi si era dedicato.
Testimonianza originale ed articolata della adesione del D. agli ideali accademici del tempo e insieme alla lezione aristotelica di Benedetto Varchi (del quale citerà più spesso il De amore e il Sulla generazione del corpo umano, per non parlare del De partibus animalium di Aristotele) è la sua pubblicazione a Firenze nel 1567 de Il primo libro del trattato delle perfette proporzioni di tutte le cose che imitare e ritrarre si possono con l'arte del disegno. Dedicato a Cosimo de' Medici (21 aprile, senza indicazione di stampatore), fu ristampato nel 1830 a Perugia a cura di G. B. Vermiglioli e poi dalla Barocchi (1960). Nella Prefazione il D.annuncia il contenuto degli ulteriori quattordici libri, che però non vennero mai pubblicati. Ben otto di questi dovevano essere dedicati all'anatomia; gli altri alla configurazione ed ai movimenti dei corpi, ai segni delle emozioni, alla rappresentazione di storie, al paesaggio e agli animali, all'architettura, alla pratica del disegno "in universale". L'insistenza sull'anatomia è del resto presente già nel Primo libro ed è strettamente legata all'elogio di Michelangelo.
Poiché il fine del D. trattatista è quello di permettere anche ai meno dotati di procedere con regola "intorno a tutte le parti del disegno", l'originalità della sua proposta consiste nel tentare di tramutare, attraverso lo studio dell'anatomia e della natura aristotelicamente intesa, le "seste negli occhi" di Michelangelo, nelle "seste del giudizio"; e cioè di fondare su di una sistematica conoscenza dei fini della natura la rappresentazione dei corpi, ricostruendo a posteriori l'insegnamento di Michelangelo (Barocchi, 1960, pp. 324 ss.; 1971, II, p. 1526). Chiarificatrice del suo metodo è la distinzione che il D. introduce tra l'"imitare" e il "ritrarre" la natura, ove l'"imitare" implica il portare a perfezione, in aristotelica congruità con i fini naturali, i corpi troppo spesso imperfetti. Il D. come già Michelangelo, rifiuta del resto di ricercare la proporzionalità canonica dei corpi tramite rapporti matematico-geometrici o astratte tipologie formali, e trova piuttosto bellezza nella varietà delle diverse proporzioni derivate dalla conoscenza dell'anatomia, e quindi della finalità naturale delle parti.
L'esame della silloge Della Pittura e Della Scultura cavata dalli XV libri delle arti del disegno di Vincentio Danti Scultore, che costituisce, la tav. 44 de Le scienze matematiche ridotte in tavole che il fratello Egnazio, erede delle sue carte, pubblicò a Bologna nel 1577, ha dato l'opportunità (Daly Davis, 1982, pp. 63-84) di estendere il giudizio all'intero piano dell'opera collegandola ad ulteriori fonti. Per quanto concerne l'uso delle parti anatomiche, il D. si sarebbe riferito a Galeno, da cui avrebbe anche tratto i concetti di "parità" e "conformità". Nel suo commento, Egnazio fa riferimerito, alle Due regole del Vignola (1583) e alle teorie sul cristallino dell'occhio di Juan Valverde de Hamusco, le stesse fonti, probabilmente, anche per il Danti. Il trattato del D., attraverso Valverde e il suo maestro, risale dunque anche in questo caso a Michelangelo e ne esalta l'esempio, ma non contiene le sue idee né le riflette in modo diretto. Mentre per l'architettura ancora Egnazio, nel commento alle Due regole, farebbe intendere un richiamo del D. agli scritti del padre Giulio sull'architettura e sugli ordini, forse antropomorfici, nella tradizione quattrocentesca di Francesco di Giorgio (Daly Davis, 1982).
Per l'architettura, il D. annuncia tuttavia il ritorno alle "seste materiali", e cioè alle proporzioni matematiche adottate dai contemporanei e da lui rifiutate per la scultura: lamenta cioè l'assenza, ai suoi tempi, della originalità creativa dei primi "ritrovatori" degli ordini architettonici, ma giunge poi ad ammettere per l'architettura un diverso e quasi superiore genere di "imitazione": perché dal murare, derivato dalle stratificazioni naturali visibili nelle cave, si giunge in tal caso ad inventare "chimere" e "composti artifiziali". Contraddizione per cui da un lato sembra che il D. non colga gli sviluppi anticanonici dell'architettura di Michelangelo (Barocchi, 1960, pp. 324 ss.; 1973, II, pp. 1716 s., 1763 n. 1, 1767 n. 1), ma che dall'altro intuisca l'applicazione dell'antropomorfismo anche in quest'arte del disegno (Tafuri, 1966, pp. 150 s.) oltre che dell'"imitazione".
Allo stesso 1567 potrebbero appartenere due opere del D. menzionate dal Vasari (VII, p. 633), il ritratto di Benedetto Varchi, mai rintracciato, e la Madonna con Bambino, ora in S. Croce, oltre ad un S. Andrea in argento.
Il 27 giugno e il 2 luglio 1568 il D. era comunque a Serravezza per procurare i marmi necessari a Firenze per il Giambologna e nel 1569 terminava, soprattutto per ciò che riguarda il Cristo (Keutner, 1977, pp. 370-80), il gruppo marmoreo del Battesimo di Cristo per la porta del battistero cui il Sansovino aveva lavorato dal 1502 al 1505. Per la porta meridionale iniziava poi nel 1570, per terminarlo nel 1571, il gruppo della Decollazione del Battista, che segna il suo ritorno a sculture in bronzo di grande dimensione. Prima della fine del 1570, anno in cui aveva la bottega a S. Pietro Scheraggio, realizzò inoltre il modello e la statua, in terracotta tinteggiata a finto marmo, di S. Luca per l'omonima cappella nella SS. Annunziata di Firenze, ove fu collocata nel 1571 insieme con la statua, del medesimo materiale, di Cosimo I come Giosuè (le due opere tuttora si conservano in situ; l'attribuzione del Cosimo al D. è incerta: cfr. C. Davis, in G. Vasari [catal.], Firenze 1981, pp. 301 s.).
Ancora al 1571-72 appartiene il Monumento funebre del beato Giovanni da Salerno (in marmo) in S. Maria Novella, attribuito al D. (A. Cecchi, Vasari e Rossellino..., in Antichità viva, XIV [1984], pp. 124-27).
A sfatare ogni pregiudizio in merito alle capacità del D. come scultore in bronzo e fonditore, il 19 dic. 1571 egli fu inoltre preposto alla fonderia granducale di cannoni (Thieme-Becker, p. 385). Ma anche le sue capacità di architetto furono messe alla prova negli ultimi anni del soggiorno fiorentino, poiché Egnazio narra che il D. elaborò una pianta ovale per la chiesa di S. Lorenzo dell'Escorial, allora in costruzione, inviata direttamente da Cosimo a Filippo II, e inoltre il D. fu certamente nella commissione dell'Accademia del disegno riunitasi nel giugno 1572 (con B. Ammannati, A. Bronzino, V. de Rossi, F. Sangallo, Z. Lastricati) per esprimere un parere su ventidue disegni approntati per la chiesa, inviati al Vignola per una sintesi poi presentata a Gregorio XIII.
Il Borghini (1584, p. 522) riferisce che il matrimonio con Angela Cristostomo e il "ritiro" a Perugia, proprio intorno al 1572,giustifichino la mancata partenza del D. per l'Escorial in Spagna.
Ancora nel biennio 1572-73 il D. eseguì in Firenze la Venus Anadyomene, statuetta bronzea per lo studiolo del granduca attribuitagli sulla base della descrizione del Pascoli (Keutner, 1958, p. 428 n. 10) e il citato ritratto marmoreo di Cosimo I.
Tornato definitivamente in patria, nel 1573 donò all'Accademia del disegno di Perugia, fondata nello stesso anno, e cui appartenne dall'inizio, le copie in gesso dei quattro Tempi del giorno di Michelangelo nella cappella Medici di S. Lorenzo, eseguite a partire dal 1570 circa con l'aiuto di Egnazio.Il 20 luglio 1573 venne inoltre nominato per cinque anni architetto pubblico di Perugia, e il 15 giugno 1575 è documentato un parere del P. in questa veste; nel 1574 si obbligò (il 19 aprile) a eseguire per 100 scudi il dipinto su tavola di una Crocifissione per l'altare della cappella di Giovanna Baglioni Della Corgnia in S. Fiorenzo di Perugia (perduto), che venne poi saldato per 200 scudi il 20 giugno 1576 al fratello Girolamo.
Al 1575 viene fatto plausibilmente risalire anche il risanamento delle mura di Perugia e del palazzo dei Priori per quanto riguarda le finestre e lo scalone, opere attribuite al D. dal Borghini (1584) e dal Baldi, oltre che dal Vermiglioli (1829) il quale anticiperebbe i lavori al 1561.Di essi non si fa tuttavia menzione nell'elenco dei meriti del D. compilato in occasione della sua assunzione nel 1573 (Scalvanti, 1898, p. 10), e tali lavori vanno pertanto ritenuti successivi al suo rientro definitivo a Perugia.
Colto da febbre improvvisa, il D. fece testamento in Perugia il 21 maggio 1576 (Archivio di Stato di Perugia, not. O. Aureli 1566-86, cc. 97r-98r); e qui morì il 26 maggio dello stesso anno.
Venne sepolto nella tomba di famiglia nella basilica di S. Domenico (il busto è di Valerio Cioli) dove si trova l'iscrizione del fratello Egnazio, erede delle sue carte.
Oltre alle opere già citate si ricorda il suo Capitolo contro l'alchimia, in rima, pubblicato da J. D. Summers, 1969, pp. 505-12.
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