DAMINI, Vincenzo
Nato a Venezia intorno alla fine del sec. XVII, fu prevalentemente pittore di quadri con soggetti storici; ricordato dalle fonti anche come ritrattista, si formò a Venezia accogliendo i modi del Piazzetta e del Bencovich, ma soprattutto di Giovan Antonio Pellegrini, che seguì in Inghilterra intorno al 1720.
L'ambiente artistico inglese lo allontano in maniera non sempre determinante dal maestro; divenuto richiesto decoratore, produsse numerose opere, anche di soggetto religioso. Nell'anno 1730, in seguito a non chiarite vicende, dall'Inghilterra ritornò in Italia insieme con il pittore Giles Hussey (1710-1784), che aveva svolto il suo apprendistato in Inghilterra dal 1727 presso il Damini. I due, dopo essere passati brevemente per Venezia, si divisero a Bologna. Il D. proseguì per Roma e andò successivamente in Abruzzo: all'Aquila e dintorni è documentata la sua attività fino al 1741.
I primi dipinti inglesi testimoniano l'appartenenza stilistica del D. a quella corrente "patetico-chiaroscurale" di tradizione veneziana, basata su forti sbattimenti luministici, che si sviluppò sulla base delle ultime influenze caravaggesche mediante l'opera dei "tenebrosi", e alla quale appartennero Piazzetta e Bencovich. In una fase successiva il D. meglio svilupperà un linguaggio che saprà fondere il contenuto patetico di questa corrente con il decorativismo degli aspetti formali in precedenza appresi da G. A. Pellegrini (Pallucchini, 1960).
In un bozzetto con Agar ed Ismaele nel deserto, venduto a Londra nel 1977 (Sotheby's Sale, n. 120, 19 ottobre), attribuito al D., evidente risulta l'accostamento ai modi stilistici del Pellegrini in una serie di minuscoli "colpi" di pennello realizzati lungo i bordi del panneggio, anche se non sinuosi e fluidi come quelli del maestro. Lo schema coloristico è decisamente scuro e il D. mai si convertirà completamente agli schiarimenti luministici del Pellegrini. Diversamente da quest'ultimo egli preferì toni freddi, conformandosi al rococò tenebroso rappresentato in forma meno fiammeggiante da Francesco Palazzo e Giambattista Mariotti.
L'abbandono del colore luminoso per il tenebrismo del Bencovich e del Piazzetta è evidente in due dipinti della Gemäldegalerie di Kassel. Il primo con il Giudizio di Mida, erroneamente attribuito per molti anni a Pietro Damini pittore veneto del primo Seicento, mostra una certa asprezza nei risalti formali, una maggiore foga nel modo di delineare le tinte e recentemente è stata ipotizzata in esso l'influenza di pittori austriaci tardobarocchi (Lehmann, 1980). Nel secondo, con Il sacrificio di Isacco, si suole trovare conferma di un breve ritorno del D. a Venezia dopo la partenza del 1720, presentando tale dipinto molte affinità stilistiche con il Martirio di s. Giacomo del Piazzetta, completato nel 1722, in S. Stae a Venezia. D'altronde non è questo l'unico caso in cui il D. sembra aggiornato ai lavori piazzetteschi del '22 e non ad altri successivi.
Sicuramente databile al tempo del decennio inglese è il dipinto con Eduardo III e il "Principe nero" ricevono Giovanni II di Francia, precedentemente nella collezione H. D. Molesworth e venduto a Londra nel 1963 (Young, 1979, fig. 6), in cui il D. cambia il modo di proporzionare le figure, collocando piccole teste su corpi allungati in un'atmosfera che sembra voler rendere soprattutto effetti scenografici e teatrali.
Nella Giuditta con la testa di Oloferne del Ringling Art Museum di Sarasota in Florida, vi sono contatti stilistici col Pellegrini, anche se la monumentalità delle figure si perde nella eccessiva abbondanza di pieghe fluenti, somiglianti a carta crespata e in bagliori di luce tremolante. Due dipinti, il primo con la Famiglia di Dario davanti ad Alessandro del Museo nazionale di Varsavia (Young, 1979, fig. 7), precedentemente attribuito a Giovan Battista Pittoni, il secondo con il Sogno di Giacobbe della collezione Frieberg di Berlino, presentano maggiori qualità decorative e abbondante teatralità gestuale.
L'artista verso la fine dei terzo decennio riesce a sviluppare uno spirito rococò e unisce la scura gamma cromatica ad una grande libertà di esecuzione e scioltezza di forme che lo porterà ad eseguire alcune imprese decorative. Infatti del 1727 sono gli affreschi di Lincoln eseguiti in collaborazione con il suo allievo Hussey. Il primo fu l'affresco con l'Ascensione della chiesa di St. Peter at Arches, demolita nel 1932; attualmente, soltanto un bozzetto della chiesa di St. Giles (sempre a Lincoln) documenta quella decorazione estremamente legata alla maniera del Pellegrini (Young, 1979, fig. 5). Il secondo lavoro è una serie di quattro rappresentazioni di ampia dimensione con Vescovi, allora viventi, sulle pareti del transetto settentrionale della cattedrale di Lincoln. L'ultima fase dell'attività del D. in Inghilterra sembra essere rappresentata da due grandi tele con soggetti tratti dal Vecchio Testamento: Re Salomone e la regina di Saba del Museo centrale di Northampton e Giuseppe che interpreta il sogno del Faraone della Coll. Ganz di New York (Young, 1979, fig. 13), in cui l'artista raggiunge il culmine della sua estrosità decorativa. Tale fase coincide con la realizzazione che sintetizza il percorso figurativo del D., che è il Muzio Scevola davanti a Porsenna (Wadsworth Atheneum a Hartford, Conn.), in cui i bagliori di luce tremolante invece che dissolvere le forme, le accentuano, dando ordine ed equilibrio ad una composizione affollata, piena di Movimento. Il dipinto, spesso citato accanto alla Volumnia davanti a Coriolano, di ubicazione ignota, è di provenienza inglese e si pensa possa essere stato realizzato dopo il ritorno dell'artista in Italia. L'ispirazione del tema iconografico potrebbe essergli derivata da un dipinto di identico soggetto eseguito dal Piazzetta, attualmente nel palazzo Barbaro a Venezia (Cunningham, 1964).
Dopo essere ritornato dall'Inghilterra, fin dalle sue prime espressioni in terra abruzzese il pittore sembra perfettamente adeguarsi ad un tipo di linguaggio pittorico che mostra contatti con la cultura napoletana e in particolare con Francesco Solimena, realizzando veri e propri "viraggi chiaroscurali", memori in ogni caso di un gusto bencoviciano-piazzettesco. La conoscenza dell'opera solimenesca può anche essere avvenuta prima di questa fase, magari mediante il Piazzetta, quando nel 1710 opere del pittore napoletano si vedevano a Venezia in casa Baglioni, Canal o Widman (Bologna, 1958).
La maggior parte delle opere eseguite dal D. all'Aquila sono firmate e datate. Nella chiesa del convento di S. Giuliano sono del 1737 il S. Giovanni da Capistrano alla battaglia di Belgrado, l'affresco con l'Adorazione dei Magi, precedentemente ritenuto del 1745, "che nel fluttuare dei panneggi ricorda ancora i modi del Pellegrini" (Pallucchini, 1960), e il S. Bernardino e s. Giovanni da Capistrano. Nella stessa chiesa il dipinto con S. Antonio e s. Diego che adorano il Crocifisso è del 1738, mentre dell'anno successivo è il dipinto dell'altare maggiore con S. Pasquale Baylon; nel coro si conserva inoltre il S. Gennaro, patrono di Napoli, rappresentato con il Vesuvio fumante nello sfondo, del 1740 circa; nella cupoletta il D. eseguì quattro ovali con Gli Evangelisti.
Nel Museo nazionale d'Abruzzo dell'Aquila vi sono il S. Tommaso d'Aquino e Carlo II d'Angiò innanzi alla Vergine e a s. Tommaso, ambedue del 1739, provenienti dalla chiesa di S. Domenico. In S. Silvestro, sempre all'Aquila, si trova al primo altare a destra il dipinto datato 1740 con il Battesimo di Cristo di un serrato chiaroscuro, vicino stilisticamente al S. Nicola da Tolentino con il Vizio incatenato ai piedi e alla Madonna che appare a s. Agostino e s. Monica della chiesa di S. Agostino, del 1741, che presentano equivalenze formali e tipologiche, non solo coloristiche, con il Solimena. Datato 1741 è anche il dipinto raffigurante la Sacra Famiglia in S. Margherita. Nella chiesetta di S. Antonio da Padova vi è il dipinto con S. Antonio da Padova che riceve il Bambino Gesù dalla Madonna, considerato tra le migliori composizioni dell'artista eseguite all'Aquila (Lehmann Brockhaus, 1983, p. 418). Per quanto riguarda l'attività svolta dall'artista nei dintorni dell'Aquila, si conserva nella parrocchia di S. Giovanni Evangelista a Casentino, frazione di Sant'Eusanio Forconese, un dipinto con S. Brigida davanti al Crocifisso. Altre opere si conservano nella chiesa di S. Maria di Paganica all'Aquila e nella Pinacoteca del Museo civico di Teramo. Non si ha alcuna testimonianza della sua tramandata fama di ritrattista (Vertue, Walpole, Edwards), ma si conosce qualche documento della sua attività disegnativa.
Essa si limita ad uno studio a penna che raffigura Bacco ed Erigone e si collega alla realizzazione del Giudizio di Mida di Kassel (Fiocco, 1965) e ad un disegno del Museo Correr a Venezia con Venere e Marte (inv. 4621) in cui ritroviamo il tono pellegriniano della resa dei nudi in un segno morbido e ingentilito da stilemi rococò. La figura di Marte può richiamare nella posa sofisticata il demonio accosciato ai piedi di s. Nicola da Tolentino nella chiesa di S. Agostino a L'Aquila e riconduce a contatti con la scuola napoletana per la particolare ricerca plastica presente nel segno.
Il D. morì all'Aquila nel 1749 circa.
Fonti e Bibl.: S. Vertue, Notes, published by the Walpole Society, XXII, London 1934, 3, p. 108; H. Walpole, Anecdotes of Painting in England [1765-1771], II, New Haven 1937, p. 44; E. Edwards, Anecdotes of Painters, London 1808, p. 150; L. Serra, Aquila monumentale, L'Aquila 1912, pp. 91 s., tavv. LXIX, LXXI; F. Bologna, F. Solimena, Napoli 1958, pp. 163 ss.; R. Pallucchini, La pittura veneziana del Settecento, Venezia 1960, pp. 125 s., figg. 324-27; C. C. Cunningham, V. D. Gaius Mucius Scaevola before Lars Porsena, in Wadsworth Atheneum Bulletin, s. 5, 1964, n. 17, pp. 19 ss.; F. J. Watson, Italian Art and Britain (catal. della mostra), London 1964, p. 90, n. 192; G. Fiocco, Cento antichi disegni venez. (catal. della mostra), Venezia 1965, p. 27, n. 67; Painting in Italy in the Eighteenth Century. Rococò to Romanticism (catal. della mostra), Chicago 1970-71, n. 20; E. Young, V. D. in England, in Arte veneta, XXXIII (1979), pp. 70-78, figg. 2-14; Kassel, Staatliche Kunstsammlungen, Italienische, französische u. spanische Gemälde des 16. bis 18. Jahrhunderts, a cura di J. M. Lehmann, Fridingen 1980, pp. 108-11; Disegni antichi del Museo Correr di Venezia, a cura di T. Pignatti, Venezia 1981, p. 14, fig. 225; M. A. Pavone-V. Pacelli, Enciclopedia Bernardiniana. Iconografia, Napoli 1982, p. 159, fig. 591; O. Lehmann Brockhaus, Abruzzen und Molise, München 1983, ad Indicem; Disegni e incisioni della raccolta Marucelli (catal.), Firenze 1984, p. 49; U. Thieme-F. Becker, Künstlerlexikon, VIII, p. 345 (con bibl.); Diz. encicl. Bolaffi, IV,p. 110.