CUTELLI, Vincenzo
Nacque intomo al 1542 da una famiglia che, annoverando tra i suoi membri giuristi e pubblici amministratori, fin dall'origine appartenne alla mastra civica catanese. Il giovane C., già laureato in medicina e in teologia, studiò anche a Roma presso il cui Studio, il 15 ag. 1570, si laureò in utroque iure con una tesi di diritto canonico "de filiis presbiterorum" e in diritto civile "de tutoribus".
Lo stesso anno si recò. in Spagna, per volontà, sembra, della famiglia. Particolare curioso: subì, durante il viaggio, un assalto di corsari. Alla corte godeva de favore di Filippo II, che lo aveva nominato cappellano regio e gli andava affidando incarichi delicati, come la visita del vescovato di Tortosa. Nel 1576, forse accondiscendendo a un suo desiderio, lo "presentò" per il vescovado di Catania. Il C. sollecitò personalmente la emanazione della bolla pontificia, fermandosi lungo tempo a Roma. Nel Viaggio verso l'Italia gli capitò nuovamente un infortunio: un naufragio nel quale perdette ciò che portava con sé, con conseguenze anche nella salute, e che lo costrinse a chiedere un consistente prestito alla famiglia. La bolla pontificia di nomina a vescovo di Catania fu emessa infine l'11 sett. 1577 e fu resa esecutoria in Sicilia l'11 sett. 1578, qualche tempo dopo che egli aveva preso possesso del vescovado (l'8 o 9 luglio).
Fin dal 1576, appena designato per l'importante carica, il C. aveva denunciato lo stato di rovina materiale e di dissesto patrimoniale della Chiesa catanese, che attribuiva all'incuria dei predecessori. Negli anni in cui fu a Catania continuò energicamente nell'azione di ricostruzione del patrimonio della Chiesa, urtando ovviamente contro gli interessi di persone influenti, compresi i suoi stessi familiari; ma ebbe in questo (trattandosi d'altronde di una Chiesa di regio patronato) l'appoggio del sovrano e del viceré. Quest'ultimo gli concesse senza alcuna difficoltà "littere favorabiles" invitando ufficiali spirituali e temporali a prestargli aiuto a sua richiesta, anche carcerando a suo nome; dietro suo suggerimento, affiancò il fisco al visitatore ecclesiastico delle chiese di Val di Noto, Pedro Butron (1580) né donsiderò del tutto infondate le accuse di parzialità mosse dal C. nei confronti del giudice della Monarchia, Nicola Stizzia, che era stato incaricato di decidere nelle cause di reintegrazione del patrimonio della Chiesa catanese (1581-1582). Nel frattempo (1579) gli era stata assegnata dal sovrano una merced di 4000 scudi "per una volta", e gli era, stato riconosciuto il diritto di riscuotere frutti maturati della sede vacante fin dal giorno della sua "presentazione" al vescovado.
Si trattava di 1600 onze, che il C. destinò ai lavori di riparazione e abbellimento della chiesa, commissionando tra l'altro il coro ligneo (tuttora conservato) che diede luogo a una accesa polemica con i giurati di Catania a causa dello spostamento dall'abside dei loro sedili. Ne derivò una serie di ripicche, avendo essi occupato il posto riservato al sovrano, mentre il vescovo si era fatto apprestare un talamo più alto e vasto del dovuto. Dovette intervenire il viceré, imponendogli di ripristinare ogni cosa secondo l'ordine stabilito (1581). I giurati non desistettero e mossero al vescovo una serie di accuse, tra le quali proprio quella di avere deturpato e sfigurato l'interno della cattedrale, facendo ridurre a pezzi, per poi riutilizzarle "sacre immagini su tavola", e trasferendo fuori della chiesa varie sepolture, tra. cui quella di Artale d'Alagona.
L'intransigenza del C. - che, è bene sottolinearlo, non era diretta al proprio tornaconto personale - creò uno stato di grave tensione anche nei rapporti con lo Studio di Catania, del quale era cancelliere, per una prerogativa spettante di diritto al vescovo. Egli intendeva far valere la propria giurisdizione sia civile sia penale e addirittura il diritto di elezione, nei confronti del rettore e del vicerettore dello Studio, che peraltro le riforme introdotte nel 1579 dal Colonna intendevano affrancare dall'ingerenza dell'autorità ecclesiastica. Le notizie riferite dai biografi a questo punto sono contraddittorie, almeno per quanto riguarda la successione cronologica dei fatti a partire dal 1582.
Secondo il Pirri Gregorio XIII richiamò il C. a Roma, dove sarebbe stato addirittura incarcerato. Dalle fonti risulta che tentò di andare in Spagna, per sostenere di persona le proprie ragioni presso il sovrano, ma non è chiaro se vi si recò veramente.. là certo invece che avvenne, ai primi del 1582, il viaggio a Roma. Ormai il vescovo non era più nelle grazie del viceré; senz'altro gli aveva nociuto di aver sempre strenuamente sostenuto la superiorità della giurisdizione ecclesiastica nei confronti di quella temporale. L'ostilità peraltro non era aperta; incaricando il segreto di Messina di perquisire i bagagli dei vescovo, per accertare che egli o il suo seguito non esportasse generi o danaro senza licenza, e di controllare anche le navi provenienti da Catania, il Colonna raccomandava "che il negocio vadi secretissimo".
Nel 1583 (e non 1585) il C. era di nuove a Catania, dove ripresero i contrasti con lo Stizzia, da lui definito "nemico capitale della sua casa e della sua famiglia" e con il vicario apostolico, nominato dal pontefice, Matteo Sammaniato, che del resto neppure il Senato di Catania voleva riconoscere, se prima non fosse intervenuto l'assenso del vescovo. Questi poi tornò a Roma (dove nel frattempo aveva corso il giudizio contro di lui), probabilmente prima del 1589, dato che già nel 1587 il sovrano aveva "presentato" l'inquisitore Correonero per la Chiesa di Catania, vacante a seguito della sentenza definitiva con la quale il papa, "suis culpis et demeritis", aveva privato il C. della dignità vescovile.
La bolla papale che nomina il Correonero è del marzo 1588 ed è esecutoriata nel 1589, anno in cui il nuovo vescovo prende possesso della sede. Al C. restava assegnata una pensione annua di 600 scudi sulle rendite della Chiesa catanese.
Ancora il Pirri riferisce che durante il soggiorno romano il C. lavorò nella Biblioteca Vaticana per redigere un Catalogo dei vescovi catanesi, lavoro che però andò perduto. Morì a Roma in fama di santità il 28 giugno 1597; aveva cinquantacinque anni, come è ricordato nella iscrizione che la sorella Maria Cutelli Platamonte fece apporre sulla sua sepoltura nella chiesa romana di S. Andrea delle Fratte.
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