COTENNA, Vincenzo
Nacque a Lucca il 19 luglio 1772 da Carlo Lodovico e Rosa Libri, e appartenne ad una di quelle famiglie borghesi escluse dal potere politico perché non comprese nel ceto oligarchico della Repubblica. Compì in patria i primi studi di lingua italiana e latina nel seminario di S. Martino e fu poi mandato in collegio a Magliano, in Sabina, ove studiò lettere con ottimi risultati, manifestando subito ingegno precoce e vivezza di interessi. Passato alla università di Pisa, studiò matematica e filosofia, dedicandosi poi agli studi di giurisprudenza in cui si laureava il 3 febbr. 1795. A Pisa frequentò ed ebbe come intimi amici alcuni lucchesi che dovevano di lì a poco divenire protagonisti della vita politica cittadina, in particolare Giuseppe Belluomini e Pietro Martelli Leonardi, due dei principali capi del movimento giacobino lucchese. Queste sue tendenze democratiche si radicarono durante il soggiorno a Firenze; stabilitosi in questa città per far pratica forense, frequentò circoli e salotti di estrema sinistra, mostrando ammirazione in particolare per l'Alfieri, che celebrò in numerosi versi. In uno dei rari soggiorni in patria fu protagonista di un episodio ricordato dai cronisti come motivo del suo radicato odio contro il ceto oligarchico: fu costretto a cedere il posto a teatro ad un ecclesiastico nobile, e abbandonò la sala ostentatamente, creandouno scandalo di cui si occupò anche l'occhiuta polizia della Repubblica. L'arrivo delle truppe francesi in Italia determinò definitivamente il suo orientamento politico. Nell'agosto del 1797 firmava, assieme ad altri giacobini, un appello al Direttorio perché intervenisse nellaRepubblica di Lucca.
È questo il primo di vari tentativi del genere, ascrivibili al C. ed al partito giacobino, che gli procurarono odio in patria impedendogli in pratica di rientrare in città per gran parte del triennio rivoluzionario (1796-1799). La missiva, scritta da Firenze il 9 ag. 1797, fu inoltrata a Parigi mediante il Rambert e conteneva alcune precise accuse contro Lucca, che costituirono poi la base delle richieste francesi contro la città. Vi si denunciava apertamente lo stato di feudo imperiale coerentemente tenuto da Lucca per secoli, citando le occasioni nelle quali si era contribuito alle spese per le guerre imperiali, e in primo luogo l'apporto dato in occasione di quelle contro la Repubblica francese. Si insisteva sulle grandi ricchezze accumulate dall'oligarchia mercantile nel corso dei secoli e il tirannico atteggiamento tenuto dal governo nei confronti dei giacobini.
Arruolatosi nella legione italiana il C. si trasferì da Firenze a Massa non appena questa venne in potere delle armate francesi (1798), ed assieme ad altri fuorusciti, democratici intensificò lacomune lotta politica. A Massa, nel quadro dei difficili e contraddittori rapporti della Cisalpina con Lucca, ideò e diresse, assieme a Giovanni Sforza, Nicolao Giorgini, Ippolito Zibibbi ed altri giacobini, il colpo di mano su Montignoso, realizzato il 12 marzo del 1798.
Penetrati a forza nel piccolo castello, ne cacciarono la guarnigione, abbattendo le antiche insegne e piantando il primo albero della Libertà in territorio lucchese. Con gesto teatrale anzi fu proprio il C. che, al commissario lucchese che gli chiedeva le credenziali e gli ordini scritti del Direttorio, mostrò la sciabola nuda gridandogli "la credenziale è questa". Costretto, al pari degli altri giacobini, ad abbandonare di lì a poco il paese per il diretto intervento del Berthier, il 21 giugno indirizzava, mediante la Gazzetta di Genova, un pubblico appello al governo oligarchico, nel quale invitava il ceto nobiliare a restituire "volontariamente al popolo, prima di doverlo fare a forza con tanto rischio, l'autorità che gli fu usurpata dai vostri avi". Dopo essersi qualificato come un "deciso repubblicano", dichiarava di bramare ardentemente "la rigenerazione politica" del suo paese affinché "il popolo abbia a provarne tosto i benefici effetti senza doverne risentire verun sagrifizio, verun danno".
La presenza a Milano nel settembre del 1798 testimonia il suo impegno nella lotta politica; nella città lombarda tiene operosamente le fila del partito giacobino lucchese, ed interviene presso i generali ed i commissari francesi nel tentativo di controbilanciare l'influenza e l'azione diplomatica degli emissari nobiliari, che già nell'episodio di Montignoso avevanodeterminato una cocente sconfitta per il partito democratico. Il mutare degli eventi politici e militari lo riportarono a Massa nell'ottobre del 1798, e da qui, il 3 genn. 1799, al seguito del generale Miollis e assieme ad altri fuorusciti, marciò su Lucca. I tremila cisalpini della colonna del Miollis si congiunsero nella città con le truppe francesi del Sérurier, che il 4 gennaio dichiarava ufficialmente l'occupazione militare di Lucca da parte dei Francesi.
Intensissima e di primo piano fu l'attività politica del C. in tutto il mese di gennaio 1799, durante il quale il generale francese, pressato da alcuni nobili ben visti negli ambienti transalpini quali Paolo Lodovico Garzoni e Cesare Lucchesini, non ebbe l'opportunità di abbattere il governo oligarchico sostituendolo col partito giacobino. Venne nominato membro della commissione di democratici invitati a discutere con quella degli ex nobili una nuova forma di governo dalla quale non dovevano essere del tutto esclusi gli antichi ceti oligarchici, e in tale veste fu sostenitore dell'ala più intransigente che portò alla piena rottura delle trattative.
Il 15 di gennaio, allarmato dall'atteggiamento equivoco del Sérurier e dai tentativi sempre più audaci dei nobili di riafferrare il potere, si recò a Firenze, assieme a Bernardo Ricci, da Cristoforo Saliceti per caldeggiare un suo pronto intervento a vantaggio del partito democratico, e dopo i contraddittori risultati dei comizi popolari indetti dal Sérurier per il 2 e 3 febbraio, e che avevano dato risultati disastrosi per i giacobini, fu fra coloro che fecero massicce pressioni sul generale ottenendo alfine l'abolizione dell'antico governo e l'istituzione della Repubblica democratica (4 febbr. 1799). Di questa, alla cui costituzione lavorò in seno alla commissione eletta il 14 febbraio, fu ministro per la Guerra e la Marina fino al 17 luglio. In tale data si dimetteva volontariamente dall'incarico, giustificandosi con impegni irrinunciabili che gli derivavano dall'essere "sempre attaccato all'armata d'Italia".
Di lì a pochi giorni (24 luglio) la mutata situazione militare costringeva i Francesi ad abbandonare Lucca, e il C. si rifugiava a Genova dove, agli ordini del Massena, prese parte alla difesa della città. Riparato in Francia, visse a Marsiglia e Lione, mantenendo rapporti con gli altri fuorusciti lucchesi. A Lucca rientrò il 9 luglio 1800 al seguito del generale Launay, e nel governo democratico, prontamente ricostituito, fu ministro per gli Affari Esteri. La Repubblica era stata gravata dal Massena con una contribuzione di un milione di lire tornesi elevata sugli ex nobili, per la cui esazione il generale francese aveva inviato il commissario Anglés. Le difficoltà create da costui furono tali e tante che il C. venne inviato direttamente a Milano, il 3 di agosto, allo scopo di ottenere da Massena il richiamo dell'Anglés, oltre a condizioni di dilazione nel pagamento della forte contribuzione. La sua azione diplomatica fu particolarmente efficace e portò in breve tempo al richiamo del commissario francese, nonché alla riduzione di centomila franchi sulla contribuzione. A Milano ebbe frequenti contatti con il generale Brune e qui rimase fino al 9 ott. 1800, trattando affari di importanza per incarico del suo governo, ed assistendo, impotente, al breve ritorno degli Austriaci in Lucca (15 sett.-9 ott. 1800).
Definitivamente rinforzatosi il governo democratico in Lucca, il C. rientrò in città assieme al generale Clement, e nel marzo del 1801 fu mandato come deputato a Firenze, presso il generale Du Lalois, per trattare il possesso delle artiglierie lasciate a Lucca dal Clement. In tale occasione ebbe frequenti contatti col Murat dal quale, unitamente a Paolo Lodovico Garzoni, riuscì ad ottenere una ulteriore riduzione sull'imposizione elevata dal Massena. La trattativa, condotta dai due deputati lucchesi in modo spregiudicato con l'offrire a Murat denaro e doni, ottenne il pieno risultato prefissosi, legando il generale francese agli interessi della piccola Repubblica democratica.
La venuta a Lucca di Cristoforo Saliceti nel novembre del 1801, e l'ordinamento costituzionale che, per diretta volontà del Bonaparte fu dato alla Repubblica, segna il primo affievolirsi dell'influenza politica del C., all'interno di un partito democratico sempre più diretto e condizionato dall'opera politica e diplomatica di Francesco e Giuseppe Belluomini. Ciò non ostante, per l'antica amicizia che lo legava a Giuseppe, il C. mantenne ancora incarichi e funzioni di notevole importanza.
Nel corso di una solenne seduta del nuovo Corpo legislativo, del quale fu chiamato a far parte, pronunciò un enfatico discorso laudativo nei confronti di Bonaparte e Saliceti, che fu dato alle stampe il 4 genn. 1802; il 6 apr. 1802, per decreto del Saliceti, venne eletto membro della magistratura della Giustizia. In questa sua funzione mantenne contatti intensi con Giuseppe Belluomini nel corso della missione diplomatica di quest'ultimo a Milano e a Parigi, occupandosi particolarmente dei tentativi volti a risolvere i complessi rapporti ecclesiastici, che sfociarono in un tentativo di concordato con Roma, nel 1804.
Inviato nel marzo del 1805, assieme a Cesare Lucchesini, a Milano, come rappresentante della Repubblica presso Napoleone I, vi giunse il 1° di maggio, dopo una lunga sosta a Firenze per motivi di carattere diplomatico. A Milano assistette all'incoronazione di Napoleone a re d'Italia, e ne venne ufficialmente ricevuto in rappresentanza del suo governo. Seguitolo a Genova, per primo ebbe sentore dei nuovi progetti istituzionali per Lucca, e dall'antico protettore della Repubblica, Cristoforo Saliceti, ricevette precise insinuazioni sull'atteggiamento politico più conveniente per Lucca in questa confusa e difficile occasione. Nel darne notizia al suo governo il 2 giugno, tracciò con precisione i nuovi capisaldi della costituzione principesca decisa per Lucca, mostrando inequivocabilmente di essere al corrente di decisioni riservatissime e di grande attendibilità. Fu sulla base delle sue informazioni che il governo democratico decise di prevenire un inevitabile atto di imperio, e redatta una costituzione a carattere principesco, nel rispetto di alcune autonomie conquistate durante il periodo democratico, incaricò il C. e Cesare Lucchesini di presentarla a Napoleone a Bologna. La prevista approvazione e l'assegnazione a Lucca di Felice Baciocchi ed Elisa Bonaparte come principi, segna il finire dell'epoca democratica di cui il C. fu coerente ed importante artefice.
L'atteggiamento che i principi tennero nei confronti del partito democratico fu contraddittorio. All'inizio confermarono incarichi di rilevanza politica ai maggiori fautori dell'ala democratica, ma ben presto le necessità di corte ebbero il sopravvento e il ceto nobiliare soddisfece appieno le esigenze principesche di Elisa. Furono così messi da parte quasi tutti coloro che avevano avuto posizioni di primo piano nel periodo democratico e lo stesso Giuseppe Belluomini, dopo un primo periodo in cui ebbe un incarico di ministro, cadde in disgrazia. Il C. fu nominato senatore da Napoleone, in virtù dell'articolo 27 della nuova costituzione che riservava all'imperatore le prime nomine, e in tale veste lo troviamo regolarmente inserito negli annuari di corte sino al 1811. Sposatosi in questi anni (probabilmente nel 1809) con la fiorentina Gaetana Del Rosso, appartenente ad una distinta famiglia di tradizioni democratiche, ebbe un figlio, Fabricio, morto in tenerissima età nel 1812, e un secondogenito, Guicciardino, anch'egli prematuramente scomparso il 17 ag. 1830.
L'attività politica del C. segnò il passo, mentre, nel clima di interessi coltivati assieme alla moglie, la sua casa di Monte San Quirico assurgeva a centro di vita democratica, circolo letterario, e meta e rifugio di perseguitati politici. Ricomparve sulla scena politica il 16 genn. 1813, quando fu nominato da Elisa Baciocchi suddelegato del circondario di Castelnuovo Garfagnana. Caduto il regime napoleonico, per le sue qualità morali ed umane non subì discriminazioni da parte dei governatori militari che ressero la città sino al 1817. Il primo di essi, il generale austriaco Antonio di Starhemberg, lo inviò come commissario a Piombino, con la funzione, delicata e di rilievo, di ispezionare la contabilità ed i registri del tesoriere di quello Stato, Teofilo Fineschi. Nel novembre del 1814 il C. venne nominato provveditore generale della contabilità delle Comuni dello Stato lucchese, compito al quale accudì sino al 24 maggio 1815. Il 7 dic. 1816, il generale austriaco Werklein, che mantenne il governo di Lucca a nome delle potenze alleate sino alla venuta di Maria Luisa di Borbone, nominò il C. alla direzione del Monte di pietà. In tale incarico restò sino al 3 marzo 1819. È questo l'ultimo ufficio pubblico ricoperto dal C.; solo nel 1835 tentò, con risultato negativo, di essere eletto all'ufficio di bibliotecario palatino presso il granduca di Toscana. Morì a Lucca, nella sua villa di Monte San Quirico, il 20 apr. 1840.
Oltre ad alcuni carmi epitalamici, odi e Sonetti (Lucca 1835) è degna di ricordo una Elegia scritta in morte del figlio Guicciardino (ibid. 1830), e soprattutto una tragedia, Polissena, che mostra, pur nello stile classicheggiante ed accademico, una certa robustezza di pensiero, vivezza di immagini, forza di sentimento e facilità di verso. Scritta nel 1808 e dedicata a Luciano Bonaparte, l'opera venne rappresentata per la prima volta a Lucca l'11 ag. 1809, nel teatro la Pantera, alla presenza di Alessandrina de Bleschamps, moglie di Luciano Bonaparte. Fu poi di nuovo data il 19 maggio 1810, alla presenza dei principi Baciocchi, ed una terza, nel luglio del 1825, questa volta essendo presente il duca Carlo Lodovico di Borbone. Il testo fu per altro stampato (Lucca, tip. L. Guidotti) soltanto nel 1843 dalla vedova, Gaetana del Rosso, che la volle dedicata a don Carlo Luciano Bonaparte, figlio di Luciano.
Questa sua attività letteraria fu assai lodata dai contemporanei che lo stimarono buon poeta e fine letterato. Cesare e Girolamo Lucchesini espressero in più occasioni giudizi lusinghieri sul C.; alcuni suoi sonetti ebbero risonanza nazionale, come quello dedicato ad Antonio Canova, che fu apprezzato dal cardinal Consalvi con lettera del 7 novembre del 1818 (T. del Carlo, p. 248). Per la dignità e l'importanza degli incarichi politici che egli ebbe, e per i suoi interessi letterari fu in contatto con i maggiori uomini del suo tempo come Lazzaro Papi, il Pindemonte, il Botta, il Pellico, il Giordani, il Monti e il Foscolo. Nella immancabile polemica con il romanticismo, egli, rigido classicista, ebbe tuttavia modo di comprendere la grandezza e la validità del Manzoni. Fu anche bibliofilo appassionato e raccoglitore di opuscoli ed opere rare.
La figlia Cleobulina, nata a Lucca nel febbraio del 1810, fu scrittrice e di accesi sentimenti liberali. Allevata nel clima familiare, dove, accanto al C., grande era l'influenza della madre, donna d'ingegno e di cultura, Cleobulina rivelò presto ingegno vivace e robusto, una cultura varia, anche se non profonda, ed una natura esuberante e poliedrica. Sposata con Gabriello Leonardi di Coreglia, anch'egli di orientamento liberale e combattente nella guerra d'indipendenza del 1848, ebbe sette figli, dei quali sopravvissero i soli Vincenzo, Polissena ed Italico.
La sua attività poetica fu profondamente segnata dagli ideali liberali e patriottici; ad eccezione di alcuni versi d'amore e qualche poesia giocosa, il motivo politico prevale costantemente in tutti "i suoi scritti. Ebbe intensi rapporti con il Guerrazzi, ospite più volte, dal 1847, nella villa di Monte San Quirico, e con l'avvocato Carlo Massei, più tardi deputato per Lucca al Parlamento nazionale. Intensi furono anche i rapporti con Giacomo Medici, mediante il quale, durante la fuga di Garibaldi da Roma, tentò a più riprese di fargli giungere soccorsi. Non è provato che Mazzini sia stato in qualche occasione da lei ospitato e nascosto, ma certamente Cleobulina ebbe con lui rapporti di carattere politico ed epistolare. Il 20 giugno 1849 fu arrestata con altri liberali lucchesi compromessi con il governo guerrazziano. Dopo questo episodio casa Cotenna fu sorvegliata e ripetutamente perquisita, soprattutto alla ricerca di Garibaldi che, infondatamente, la polizia riteneva vi venisse nascosto. In queste occasioni andò distrutto gran parte del carteggio politico dei Cotenna. L'impegno nazionale e civile di Cleobulina si accrebbe nel decennio successivo, ed in occasione del moto mazziniano a Livorno del 1857 la sua casa fu nuovamente oggetto di perquisizioni; durante il processo, celebratosi a Lucca nel '58, fu nuovamente arrestata. L'anno successivo si fece promotrice, assieme alla vecchia madre, di opere ed iniziative di assistenza per i volontari, e addirittura seguì il figlio Vincenzo, volontario a sua volta, in Lombardia, assistendo i feriti e partecipando, sia pur nelle retrovie, di persona a numerosi fatti d'armi. Morì a Lucca il 23 dic. 1874.
Fonti e Bibl.: Necr., in Giornale privilegiato di Lucca, 27 apr. 1840, n. 35; Arch. di Stato di Lucca, Archivio Sardini, n. 158: J. Chelini, Zibaldone lucchese, I, pp. 462-463, 534-539; Ibid., Arch. Cerù, nn. 131-133, 136, 185 (H); Ibid., Archivio Garzoni, nr.53 fasc. 1, n. 95 fasc. 224, n. 96 fasc. 79 e 199, n. 162 fasc. 508; Ibid., Archivio Guinigi, n. 101, fasc. 156-157; Ibid., Archivio Sardini, n. 141 fasc. 282-284, n. 144 fasc. 43; Ibid., Anziani al tempo della libertà, n. 766, pp. 380-392. Archivio del comune di Lucca, Stato Civile, Registro di morte del 1874; S. Bongi, Inventario del Reale Archivio di Stato in Lucca, I, Lucca 1872, p. 385; III, ibid. 1880, pp. 89, 210, 222; Almanacco di corte, 1808, p. 71; 1809, p. 79; La Staffetta del Serchio, Lucca 1799; Corrispondenza tra la Commissione provvisoria di governo e il cittadino Anglés prefetto militare presso la Repubblica di Lucca, relativa alla contribuzione del milione imposta dal generale in capo Massena, Lucca 1889; G. Sforza, Ricordi della famiglia Sforza di Montignoso, Lucca 1881, pp. 1-46; T. del Carlo, V. C. e la Repubblica di Lucca allo scoppiar dellarivoluzione francese, in Studi stor. lucchesi, Lucca 1886, pp. 203-257, A. Mancini, Donne letteratee patriotte lucchesi, in La Nuova Antologia, 1ºmarzo 1913, pp. 82-104; Id., La laurea di ungiacobino lucchese, in Bollett. stor. lucch., XIII (1941), pp. 55-58; G. Tori, Lo schema di concordato del 1804 fra la Repubblica di Lucca ela S. Sede, in Riv. di storia della Chiesa in Italia, XX (1966), pp. 5-30; M. Rosi, Diz. del Risorg. naz., II, ad vocem.