COSTANZI, Vincenzo
Nato a Preturo (in provincia dell'Aquila) da Francesco e da Rita Nardi il 21 marzo 1863, conforme all'esempio dei suoi corregionali che, dopo l'Unità e scissi gli Abruzzi dalla compagine storico-culturale del Regno di Napoli, gravitavano quasi universalmente su Roma, s'iscrisse, terminati gli studi medi nella provincia nativa, alla facoltà di lettere della capitale, e alla Sapienza si laureò nell'87 col Beloch, che vi professava storia antica, ed era l'insegnante di gran lunga più prestigioso e seducente del gruppo "classico".
Il magisterio del Beloch e la scelta della storia antica decisero dell'attività scientifica e dell'esistenza del C.; il quale, tuttavia, iniziò, appena laureatosi, un lungo tirocinio di professore di greco e latino nelle scuole secondarie, terminandolo al liceo "Cesare Balbo" di Casale Monferrato. L'insegnamento medio (che era, allora, la via normale di maturazione e successivamente di accesso all'università, come insegna l'esempio di non pochi fra i migliori laureati di Roma: per es., E. Romagnoli, P. Egidi, V. Ussani, ecc.), giovò grandemente al C., che vi perfezionò la propria, tosto eccellente, conoscenza del latino e, più ancora, del greco, la quale rimase il contrassegno più notabile dell'opera sua di studioso.
Cresciuto in una facoltà universitaria dove, a prescindere dal Beloch, non si professava che, lato sensu, filologia, e imperando la storiografia filologico-erudita, solo temperata poco di poi dall'incipiente storiografia economico-giuridica, cioè (sostanzialmente) istituzionale e sociale, quasi naturalmente il C. si appropriò la metodica della scuola e vi si attenne costante, impegnato in ricerche minute di fonti e di cronologia, successivamente di etnografia e d'istituzioni o costituzioni, massime del mondo greco: non senza ereditare dal Beloch filologo e critico, cioè dal minor Beloch, alcune premesse alla ricerca e alcuni pregiudizi di metodo. Per esempio, il privilegiamento della storia greca, anche per reazione al mommsenismo (donde la stessa posizione critica del C. nei confronti del Mommsen, qui pure il Mommsen sistematico e giurista nel quale i contemporanei - a torto - riverivano il vero e maggior Mommsen; cfr., a riprova, la memoria del C., I gemelli di Roma e la diarchia consolare, in Annali d. univ. toscane, XXXII[1913]); l'avversione all'"etruscheria" (donde il costante, vittorioso impegno del C. a rivendicare, di contro alla cosiddetta tradizione erodotea, l'origine non lidio-transmarina, ma indigeno-italica, e forse anche terramaricola, degli Etruschi; cfr. Leonardo, II, [1926], pp. 331, 348 s.); il presupposto (germanico-"bismarckiano", preesistente al Beloch, ma condiviso da lui e dai suoi discepoli) dell'"unità nazionale", anche, o massime, nell'ambito della storia greca; e l'assidua indagine cronologica, genealogica, ecc.; col vantaggio, peraltro, della serietà della ricerca e dell'affrancamento dalla retorica del nazionalismo e della "romanità".
Altrimenti dal suo maestro, ma in sostanziale conformità con i propositi e i programmi della storiografia "filologica", la premessa, cioè, dell'analisi e raccolta dei "materiali", nell'attesa che maturassero i tempi, e gli uomini, per la "sintesi" avvenire, il C. fu sempre e soltanto scrittore di articoli, memorie, "contributi", recensioni e perfino, talvolta, quisquilie erudite, con una singolare abilità e competenza - e con un'altrettanto singolare incapacità di maturazione, di progredire col progredire del tempo e dei metodi, dunque di aprirsi a nuovi problemi, o al ripensamento degli antichi -.
La sua produzione, copiosissima e non mai raccolta, né dal C. né da altri, spazia, perciò, in quasi ogni campo della storia greca (meno, forse, in quello della storia ellenistica) e della storia romana, dov'egli, tuttavia, preferì analizzare le arcaiche strutture dell'Urbe e della Repubblica e alcuni episodi del basso Impero (felicissimo, per es., il saggio sulla catastrofe di Stilicone, in Boll. d. Soc. pavese di storia patria [1904]); ed è curioso che, dichiarata più volte la sua critica perplessità dinanzi al libro di E. Meyer (Caesars Monarchie u. das Prinzipat des Pompeius), non prendesse, tuttavia, mai posizione sul problema della crisi della Repubblica e della continuità, od antitesi, fra Cesare ed Augusto. Tanto più curioso, anzi, in quanto il C. non mancò mai d'intervenire in discussioni o polemiche alle quali dessero avvio la scoperta di nuovi testi (dall'Athenaion politeia aristotelica alle Elleniche di Ossirinco, il cui autore inclinò a individuare nell'alquanto misterioso Cratippo) o scritti "provocatori", come l'opuscolo di C. Pascal sui cristiani e l'incendio di Roma (cfr. il saggio del C. Briciole sul così detto incendio neroniano, Torino 1901, a conclusione d'un dibattito nel Boll. di filol. class., dicembre 1900 e febbraio 1901, dov'è significativamente contradditorio il giudizio su Tacito, ritenuto, per un verso, non imparziale, mentre, per altro verso, il C. nega "potesse rimanere nell'incertezza sulle cause dell'incendio"; dove, adunque, si dà per dimostrato appunto quod est demonstrandum).
Il bagaglio scientifico del C. già negli ultimi anni del secolo scorso doveva, tuttavia, riuscir più che sufficiente per assicurare all'autore una cattedra universitaria. Le traversie concorsuali del C. furono, però, numerose, anche per l'emergere di temibili concorrenti quali Ciccotti e De Sanctis. Nel concorso, vinto da quest'ultimo (aprile 1900), per la cattedra di Torino, il C. riuscì quarto, ma fu dichiarato "eleggibile" con voti 33/50. Mentre la facoltà pisana chiedeva il concorso per professore straordinario alla cattedra di storia antica, vacante dopo il trasferimento a Napoli di E. Pais, temporaneamente supplito da A. Crivellucci, il C. partecipava al concorso per straordinario a Pavia, riuscendo (novembre 1901) secondo con voti 45/50. Dopo reiterate sollecitazioni della facoltà pisana, il ministro della Pubblica Istruzione concesse che il C. vi entrasse da supplente per l'anno accademico 1902-03, mentre il C. partecipava al concorso per ordinario a Messina, riuscendo secondo con voti 36/50: donde, finalmente, la nomina a straordinario in Pisa nel giugno 1902 (e la promozione a ordinario con decreto 17 maggio 1906), dopo avere nell'anno accademico 1903-1904 esercitato anche la supplenza di storia moderna.
Da Pisa il C. non si mosse più. Vi fu preside della facoltà di lettere nel 1917-1918 e nel 1927-1929, e in Pisa morì il 1º nov. 1929.
Può stupire che, insegnante nella forse più variegata ed aperta delle facoltà italiane, dove per oltre un ventennio professarono gli uomini più diversi per età, origine, metodo e formazione (Jaia e Pascoli, Flamini e Gentile, Valgimigli, Donadoni e Anzilotti, alla cui memoria il C. dedicò la seconda edizione del suo commento al secondo libro di Erodoto, Torino 1926), il C. sia rimasto, se non indifferente, impervio, almeno, e immutabile sempre dinanzi al risorgimento storiografico, di marca prevalentemente idealistico-crociana, dell'Italia novecentesca. La riprova è nell'articolo che gli richiese il suo ex allievo L. Russo, per un bilancio de Gli studi di storia antica nell'ultimo venticinquennio (in Leonardo, II [1926], pp. 328-333): diligente elenco di nomi e di titoli, coraggioso nella menzione dei "perseguitati" Ciccotti, Ferrero, ecc., ma senza alcun discernimento psicologico-critico né alcuna capacità d'intendere l'humanitas e le guise anche di storici cui personalmente era molto vicino, come il Beloch e il De Sanctis.
Pisa, perciò, diede al C. solo un maggiore spazio bibliografico, la possibilità, generosamente coltivata, d'un'assidua collaborazione alle riviste dell'università, fossero gli Studi storici del Pais, fossero gli Annali delle università toscane, dove il C. pubblicò le sue (quantitativamente) maggiori memorie, tosto discusse e rapidamente "superate" dalle due successive generazioni; per es., il Saggio di storia tessalica (voll. XXVI-XXVII[1906 e 1907]), rimasto in tronco, né più ripreso, quando si comincia a delineare una "storia" della Tessaglia (e dove mancano totalmente lo sfondo culturale e lo sfondo sociale, penesti, cavalleria, e ripercussioni sulla tarda o mancata origine delle poleis) e gli Studi di storia macedonica sino a Filippo (XXXIII [1915]) donde (anche per l'osservato pregiudizio belochiano della razziale "grecità" dei Macedoni, negata dallo stesso Isocrate) esula totalmente, mai sostituito da quello d'una presunta "unità", il problema del rapporto antitetico polis-monarchia (ed è significativo anzi che il C., pp. 119 ss., prendesse posizione contro il giovanile, e in verità rivoluzionario e magistrale, saggio isocrateo del Rostagni, superamento in radice dell'interpretazione unitario-tradizionale del IV secolo greco). Quest'assenza di problematica, mentre limita d'assai la fruttuosità delle ricerche sullo svolgimento organico della storia e tessalica e macedonica, inficia e compromette ancor più gli scritti "ellenistici" del C. (per es. la sterile ricerca su La pace fra Antigono e i dinasti coalizzati contro di lui nel 311, in Annali, n. s., I [1916]; e l'ambiziosa monografia su L'eredità politica di Alessandro Magno, ibid., III [1918], dove il frantumarsi dell'Impero e i tentativi per salvaguardarne l'unità e la governabilità impaludano in una serie slegata di notazioni crenologiche e cronologiche).
Meglio, nel contempo, si affermava, o si riaffermava, il C. grecista e filologo, il quale dette ottima prova di sé nell'accurata versione della Politica aristotelica (Bari 1926), una cui edizione minore tosto seguì, presso il medesimo editore, nella "Piccola biblioteca filosofica" destinata alle scuole, e donde probabilmente deriva anche il volumetto divulgativo (Bari 1927) Le costituzioni di Atene e di Sparta, dotto e informato manuale di Staatskunde, con i pregi e i difetti del "genere", cioè una visione essenzialmente statico-istituzionalistica delle costituzioni, non colte, invece, e rappresentate nel loro farsi, cioè nel diverso divenire della storia.
Perciò, se riesce giustificata e faziosa la villana suffisance onde si parlò del C. e dell'opera sua, negli anni Venti e Trenta in ispecie, non gli sopravvive, tuttavia, che un nobile esempio di austerità scientifica e di umana onestà.
Bibl.: Un affettuoso profilo biobibliogr. del C. dettò il suo ex allievo pisano F. Arnaldi, in Riv. di filolol. e d'istruz. classica, n. s., VIII (1930), pp. 390-394. Un elenco parziale degli scritti "greci" del C. presso A. Momigliano, Contributo alla storia degli studi classici, Roma 1955, pp. 317 ss. Giudizi (forse troppo benevoli): sulla Storia tessalica, di A. Ferrabino, in Entaphia Pozzi, Torino 1913, p.108; su Studi di storia macedonica di A. Momigliano, in Filippo il Macedone, Firenze 1934, p. 3, n. 1; sulle Costituzioni, di G. De Sanctis, in Scritti minori, Roma 1972, VI, p. 349; VI, 2, p. 802.