CORNER, Vincenzo
Questo è il nome dell'autore del compatto poema epico di quasi undicimila decapentasillabi a rima baciata, l'Erotocrito, che costituisce il capolavoro della letteratura cretese e, nel contempo, il testo dalla più dilatata lettura e dalla più diffusa penetrazione, nonché della più accentuata assimilazione e rielaborazione nell'anima e nella fantasia popolari di tutta l'area grecofona, per la quale rappresenta un entusiasmante referente collettivo. Punto di forza, infatti, dell'identità nazionale, è legame e tramite tra le generazioni, patrimonio dell'oralità inventivamente affabulante dei ceti più umili, non a caso, a suo tempo, guardato con sufficienza schizzinosa dai più coriacei fautori d'una lingua aulicamente letteraria esclusiva ed elitaria totalmente sganciata dalla conversazione quotidiana. Riserve che non hanno impedito il suo affermarsi presso i Greci come fonte di tenerezza e fierezza. Esso narra - ambientandola in tempi remoti, in una Atene pagana ove s'adorano il Sole e la Luna, peraltro sede di una giostra di sapore medievale e in rapporto con Bisanzio nonché aggredita dal re dei Valacchi - l'accidentata vicenda dell'amore struggente e tenace tra, appunto, Erotocrito (cioè il tormentato dall'amore), l'eroico e gentile protagonista, e la bella e dolce Aretusa, la virtuosa figlia del re a lui pervicacemente negata. Ma il loro "amore costante nella gioia trovò fine" ché tanti crucci e peripezie vengono felicemente sigillati dalle nozze. Mescidando elementi folclorici e reminiscenze del romanzo bizantino in un impianto ricettivo dell'epica cavalleresca occidentale, il leitmotiv dell'amore (colto dai primi trasalimenti e rossori al reciproco rivelarsi nella mutua determinazione di resistere e superare tutti gli ostacoli) contrastato dà luogo ad un movimentato racconto in cui i valori fondanti sono le virtù - il coraggio, la nobiltà di sentimenti, la fedeltà, la cortesia - d'un mondo, appunto, cavalleresco e feudale. Un favoloso medioevo, allora, d'una serietà, nella sua semplicità tematica, per taluno immune d'ogni punta ironica; mentre, per altri, il poema, pur nella sua idealizzazione, è latamente rinascimentale, con spunti manieristici e persino barocchi e non privo di momenti di distanziamento ironico. Comunque sia, quest'opera cardine della letteratura greca e addirittura costitutiva dello spirito nazionale resta avvolta da un alone di mistero per la sfuggente identità dell'autore che s'affida all'ingegnosità, più o meno documentata, di congetture mai completamente e definitivamente appaganti anche se sempre meno approssimative. Dato certo la fattura cretese, ché, se l'unico manoscritto conservatone - quello, di provenienza corfiota, trascritto attorno al 1710 della British Library - offre il testo risultante dalla circolazione nell'Eptaneso, la prima edizione veneziana del 1713 (cui seguiranno, sempre a Venezia, sede rigogliosissima della tipografia greca, le ristampe del 1737, 1738, 1748, 1758, 1777, 1778, 1789; e, quasi a riecheggiare le vicende politiche per cui la riscossa nazionale sbocca nella soluzione statale, il ritmo delle edizioni veneziane incalza nell'800 con quelle del 1813, 1835, 1840, 1856, 1862) recupera la creticità originaria, qual'era riuscita a conservarsi, dopo la caduta di Creta in mano turca, specie tra gli esuli riparati a Zante. Trattasi - così un lampeggiante passo di Seferis (nel quale meglio si coglie la vitalità d'un testo che, appreso oralmente nell'infanzia, scatena emozioni preletterarie rifuse poi nel registro saggistico d'un'acuminata lettura critica) - della "lingua elaborata" nell'isola prossima al "naufragio" della dominazione ottomana da "generazioni" intese a dire "la cosa che conviene". Un idioma, precisa Stefano Xanthudidis, il primo editore critico dell'Erotocrito, parlato nella parte orientale di Candia, tra il 1550 e il 1669. Quanto all'autore, i versi finali - la cui autenticità ha, però, a suo tempo, suscitato un'ombra di diffidenza e, di perplessità - del poema recitano che "Vincenzo è il poeta e di famiglia Cornaro", il quale, nato ed educato a Sitia - la parte, appunto, orientale dell'isola, "territorio ristretto, dishabitato, sterilissimo" (così, nella relazione, del 1639, del provv. gen. Giuseppe Civran, in Κρητικὰ Χρονικὰ, XXI [1969], pp. 368 s.) -, ivi "compose queste cose che vi scrive. A Castro", vale a dire nella capitale, a Candia, "prese moglie, come consiglia la natura; il resto ha da finire come Dio vorrà". Sciolta o, quanto meno, accantonata ogni residua titubanza sulla verità dell'informazione - d'altronde suona avvalorante, nell'editio princeps, l'attestazione del servita Giovanni Maria Bertolli, che garantisce il rispetto, nell'opera, dei "principi" - e dei "buoni costumi", d'aver, per l'appunto, "veduto il libro greco ... Erotocrito composto da Vincenzo Cornaro di Candia" -, l'autore è, dunque, Vincenzo Kornaros o Cornaro o Corner, il quale, di famiglia d'ascendenza veneziana, risulta da un lato pienamente ellenizzato, dall'altro - questo il risultato delle indagini sulle fonti -lambito dall'influenza, più o meno diretta, della produzione letteraria occidentale.
Quale Vincenzo Corner? Più d'uno affiora con tale nome dalla Creta del '5-'600, sia pure con parvenze evanescenti, poco suscettibili d'ispessimenti biografici. Come scegliere, tra i vari Vincenzo Corner, quello sul quale caricare l'onore e l'onere della composizione dell'Erotocrito? Da scartare, tra quelli così chiamati, il prete ortodosso che firma un contratto nel 1619, il notaio operante a Sitia nel 1619-1636. Rientrata altresì la proposta del Vincenzo Cornaro di Francesco nato nel 1486 e anche quella riesumante il suo nipote omonimo, figlio di suo fratello Andrea, nato nel 1520 presente in vari atti notori tra il 1561 e il 1590. Per Xanthudidis il poeta sarebbe il Vincenzo Corner rammemorato inun graffito sopra una pietra tombale con accanto la data 1677 in una chiesetta nei pressi di Mochlos, nella Sitia, dove sarebbe, allora, rientrato dopo una prolungata permanenza a Candia probabilmente in coincidenza con la definitiva occupazione turca. Un'ipotesi ripresa ed ampliata da Lino Politis, a vedere del quale il poeta sarebbe nato all'inizio del '600 e sarebbe, quindi, d'una generazione posteriore a quella di Giorgio Chortatsis, altro cospicuo autore cretese, avrebbe scritto in gioventù Il sacrificiod'Abramo - un mistero in due atti di circa 1150 versi di quindici sillabe rimate - e, nel pieno della sua maturità espressiva, successivamente l'Erotocrito, di cui l'Innamoramento di due fidelissimi amanti, Paris e Vienna... in ottava rima... (Roma 1626), il rimaneggiamento, cioè, operato da Angelo Albani del romanzo quattrocentesco francese Paris et Vienne di Pierre de la Cypede, costituirebbe la fonte decisiva e inoppugnabile. L'autore del poema, comunque, insiste Politis, è totalmente greco, sensibile alle canzoni e alle favole greche, di famiglia modesta, quanto meno vicina al popolo. Una soluzione, frutto d'un accanito impegno congetturante, messa in discussione e addirittura terremotata da successive ricerche grazie alle quali la figura del poeta si colloca, con meno imprecisi contorni, tra la metà del '500 e il primo '600 ed appartiene alla nobiltà "feudata" d'origine veneta e di questa non dimentica anzi sempre pronta a rivendicarla. Emerge, infatti, un Vincenzo Cornaro, di cui è zio paterno l'omonimo nato nel 1520, dalla biografia non solo perfettamente combaciante coi versi finali del poema che lo dichiarano nato nella Sitia, accasato a Candia, ma che permette anche d'intuire frequentazioni e interessi letterari tali da fargli assumere, credibilmente, il sembiante dell'autore.
Questi è, allora, quel Vincenzo Corner che nasce, il 26 marzo 1553, a Trapezonta, uno dei "casali" del "territorio" di Sitia da Giacomo di Andrea e da Elisabetta di Giovanni de Mezzo. Entrambe le famiglie - la paterna e la materna - appartengono alla nobiltà veneziana: ricchi proprietari terrieri i Corner discendenti dell'Andrea signore di Scarpanto all'inizio del '300; pure padroni di terre i de Mezzo, la cui elegante villa quattrocentesca ad Eitia, sempre nella Sitia, è - quanto agli edifici privati veneziani - l'episodio architettonicamente più rilevante dell'intera isola. Certo né gli uni né gli altri vanno annoverati tra quei nobili impoveriti e ridotti a praticare nei "casali" persino "con le loro mani essercitii rurali", i quali - lamentano le autorità venete - hanno trascurato d'essere "provati" quanto alla nobiltà e quindi sono da questa "caduti", al punto, poi, da vivere "alla greca", da seguire il "rito greco" e da parlare, ormai ignari dell'italiano, solo il greco.
Fratelli del C., oltre a Piero e Benedetto, di cui si sa ben poco, Giovan Francesco e Andrea. Al primo - che vive tra il 1545 e il 1622 sposandosi con una Bon - si propone (ma il progetto subito rientra), nel 1572, il recupero di Scarpanto (cfr., alla Marciana, Mss. It., VII, 124 [= 7421]: G. A. Muazzo, Cronacadelle famiglie nobili venete... a Candia., c. 41r); nel 1591 si reca a Venezia, come "legato" dei "nobili feudati" candioti, venendovi insignito, con decreto senatorio del 14 marzo 1592, del titolo di "cavaliere" e gratificato col dono d'una catena d'oro. Soprattutto culturale il prestigio del secondo che vede la luce a Trapezonta il 26 genn. 1548, si sposa con Agnesina Zen e, rimasto vedovo, di nuovo con Cornarola Zen, e muore tra l'ottobre del 1616 e l'aprile del 1617 residente dal 1573 a Candia, vi ricopre incarichi pubblici; in possesso, come risulta dal testamento da lui dettato (edito da S. G. Spanaki, in Κρητικὰ Χρονικὰ, IX [1955], pp. 379-478), ché impedito dall'"indispositione degli occhi" di scriverlo di sua "mano", il 10 marzo 1611, d'un cospicuo patrimonio immobiliare, con un'abitazione dotata d'una "libraria" con testi "greci, latini et vulgari", può coltivare interessi letterari ed affermarsi, appunto, come letterato. Anche se affidate alla circolazione manoscritta, le sue composizioni in italiano hanno una certa risonanza nel ristretto ambito dell'intellettualità locale quasi tutta concentrata nella città di Candia donde, comunque, ridondano anche a Venezia e Padova. Né sono andate disperse: i "manoscritti", che lo riportano, sono infatti pervenuti a Venezia grazie a Giannantonio Muazzo (1621-1702), un nobile nativo di Creta al quale li aveva trasmessi lo zio paterno Nicolò - questi dev'essere il figlio di Francesco e, se sì, figura tra i "giustitiarii" eletti a Candia nel novembre del 1653 (v. A. L. Vincent, Il poeta del "Fortunatos"... M. A. Foscolo, in Thesaurismata, IV [1967], p. 79); e dovrebbe essere, pure, il dedicatario d'una commedia in greco di Marcantonio Foscolo (cfr. H. Labaste, Une comédie crétoise..., in Byz. Zeitschrift, XIII [1904], pp. 389-397) -, marito di Diana Corner, figlia di Giovan Francesco e nipote, pertanto, d'Andrea. Leggibile, quindi, la produzione di quest'ultimo al Correr e alla Marciana. Andrea ne risulta convenzionale oratore: nell'ottobre del 1584 saluta il capitano partente Girolamo Barbarigo con un'enfasi ignara dell'accusa di peculato che stroncherà la sua carriera; nel 1614 esalta il provveditor generale Gian Giacomo Zane nell'atto di partire (Orazione..., questa, che sarà pubblicata a Venezia nel 1856); piange la morte di Giovanni Querini "condottiero di cavalli" e di Camillo Donà "unico figliolo" di Nicolò provveditore generale nell'isola nel 1593-96; accoglie nel 1598 il neoarcivescovo Tommaso Contarini. D'indubbio impegno la massiccia Historia di Candia, in sedici libri, che, dopo uno squarcio geografico introduttivo, ripercorre le vicende insulari dai "primi habitanti doppo il diluvio" via via sino al 1615, essendo, altresì, arricchita da un'appendice finale con la "distintion et autorità delle fori di Candia... metropoli" nonché con la "descrittione di tutti li regimenti, capi da guerra et altri ministri" veneti nell'isola (ed è desunta da Andrea Corner la Descrittione del sito, dei confini, delle città, de' territorii, del clero greco, di quelle che servino le genti, della contadinanza e della militia italiana e... di Candia con una relatione di Cerigo e descrittione... de Tine approntata nel 1618 da Antonio Franchi, un romano al soldo della Serenissima a Candia). Caratterizzata da un'intensa diffusione manoscritta ora per intero ora a stralci e compendi, l'Historia... è anche indicativa dell'ottica rigidamente classista dell'autore, non per niente definito da Marco Condorato "patricius venetus longa nobilitatis serie gravis largisque fortunae bonis dives", trasparente dai freddi accenni all'operato dei provveditori generali meno riguardosi coi privilegi feudali e più sensibili alle miserevoli condizioni della contadinanza. Disinvolto poeta lirico, Andrea da un lato padroneggia non senza abilità l'italiano, dall'altro è aggiornato riecheggiatore dei vizi e dei vezzi della produzione in voga nella penisola. Scrive brevi liriche sui sette sacramenti e le dedica, in data 1° marzo 1609, a Luigi Lollino, di cui ammira - un riconoscimento che è, anche, spia delle sue aspirazioni e ambizioni - "la cognitione perfetta delle tre più nobili lingue, la greca, la latina e la toscana"; ne I trofei della croce verseggia su e attorno il "sacrato legno", i "chiodi pungenti", il "divo ferro sagrato" e azzarda delle stente "meditationi"; nelle Litanie, dedicate il 15 luglio 1603 al patriarca di Venezia Matteo Zane, canta con facile vena Dio, la Trinità, la Madonna e vari santi. Ai frutti di questa ammanierata ispirazione devota s'aggiungono quelli celebrativi e occasionali delle Rime heroiche e i Madrigali amorosi ove il riciclaggio formale e contenutistico del petrarchismo cinquecentesco conosce - laddove alle "belle chiome" e al "crin aurato" subentrano il "braccio ignudo" e le "poppe belle" - sussulti d'esplicita sensualità anelante ai "baci", ora "desiderati" ora "invidiati", ora "chiesti" ora "rapiti" e sovente "goduti".
Quanto al C., si sposa, nel 1587, con Marietta Zen e si trasferisce a Candia ove vive agiatamente di rendita. Beneficia, infatti, al pari del fratello Andrea, d'un consistente patrimonio: ha immobili nella città di Candia, una "portion di Casal Sofforus" nella castellania della vicina Pediada ove possiede pure un "terzo" del "casal de Trapsanò" (qui sorgeva un tempo il palazzo dei Corner come attestato in G. Gerola, Monumenti ven. nell'isola di Creta, III, Venezia 1917, p. 295), nonché terre a Piskokephalos, un "casale" della Sitia. Presente nella vita pubblica, è avogador di Comun e, il 12 maggio 1591, figura tra i dodici "eletti" per contrastare l'irrigidimento senatorio in merito alle "prove" di nobiltà, in quel momento di tensione tra "nobili feudati" insulari e Venezia nel quale si situa la missione del fratello Giovan Francesco (v., alla Marciana, Mss. It., cl. VII, 1750 [= 8773] Ambascerie dei feudati di Candia, cc. 111r-117r). Il C. è, altresì, uno dei pochi nobili cretesi che non abbandona la città durante l'epidemia del 1591-93 e, anzi, collabora con le autorità venete nel controllo della situazione sanitaria; e, nel 1596, assieme allo scrivano Giovanni Papadopulo, provvede, - su ordine del duca Marcantonio Venier - a far bruciare gli effetti di Fynes Morison obbligato ad una settimana di lazzaretto. Nel contempo frequenta assiduamente l'Accademia degli Stravaganti, fondata, alla fine del '500, dal fratello Andrea che ne è, pure, il presidente. Una frequentazione significativa ché il sodalizio è, in certa misura, fulcro attivante della vita culturale insulare, tramite delle influenze provenienti dall'Italia, sede degli incontri tra intellettualità indigena e letterati di passaggio.
"Picciola republica di virtuosi" lo definisce, nell'orazione inaugurale (stampata a Venezia nel 1856), Andrea; "novo sol d'oriente" che restituisce all'isola il "primiero splendor", inneggia un suo membro, Giovanni Aquila; con un'ode l'esalta da lontano Guido Casoni; "ad celeberrimam ac fiorentissimam academiam Extravagantium" il cretese Marco Condorato dedica riverente il suo De bono universi liber... (Patavii 1593).
E, in effetti, quest'accademia ha - quanto meno - il merito d'unificare i nobili locali con qualche interesse culturale, di fornire un passatempo ai rampolli delle autorità venete durante il temporaneo soggiorno, d'essere aperta a forestieri inquieti e stimolanti come Romano Alberti che vi è "lo Smarrito" o, più ancora,come Giambattista Basile il quale - militare a Candia per le insegne della Serenissima - bazzica come "il Pigro" con gli Stravaganti. Certo ne conserva un grato ricordo se nel frontespizio de Le avventurose disaventure... (Venetia 1612) figura, appunto, "academico stravagante di Creta" e se, anche tra gli Oziosi napoletani, continua ad essere "il Pigro". Vivissima memoria serba soprattutto d'Andrea e del C., "coppia gentil di semidei... / cara gemina luce / del ciel di Creta Castore e Polluce". Entrambi lo ripagano con versi omaggianti. Il C. in particolare, ne loda Il pianto della Vergine, le "carte pie" ove la Madonna "sparge rivi da i lumi / anzi torrenti e fiumi", con un pianto, peraltro, latore d'un "nettare" che, con la sua dolcezza, "i cori molce". Modesti, quasi banali questi versi del C. - come d'altronde i pochi altri presenti in una silloge miscellanea marciana (Mss. It., cl.IX, 174 [= 6283], c. 109) -, epperò tali da attestarlo capace d'usare letterariamente l'italiano. Anch'egli, al pari di tanti lirici della penisola, sa - così nella raccolta marciana - augurarsi che la "pietate" addolcisca il "duro petto" dell'amata sì che cessi il suo languire, effetto di tanta "crudeltate"; anch'egli desidera il "bel viso", il "bianco petto". Un'acquisizione che implica uno sforzo assimilativo, che suppone letture, che non dimenticherà quando vorrà scrivere - con ben diverso impegno - in greco. D'altronde l'accademia è, proprio, occasione dell'incontro e confronto tra lingue e tradizioni letterarie. Felice Creta, scrive Basile, per la presenza degli Stravaganti: "emoli delle Muse", essi "accrescon", infatti, i pregi dell'isola; in essi sono "uniti insieme, il tosco, il latio, e 'l greco".
Occasionale e intermittente verseggiatore in italiano, il C. adopera, con tutta probabilità, di preferenza il greco. In tale lingua è steso un suo pagherò, in tale lingua esiste una sua breve lettera. Se Andrea testa in italiano e in italiano s'esprime come autore, nella sua famiglia il potenziale bilinguismo - una situazione tipica per i nobili non decaduti che, quanto meno, parlano in italiano con le autorità veneziane e usano il greco nella conversazione quotidiana, specie coi sottoposti (è un parente del C., ad esempio, quel Giorgio Corner dilettante d'architettura, che, "havendo la lingua greca", può istruire le maestranze addette alla "costruttion" delle "tre fontane nella città di Candia", come risulta dalla relazione del provveditore generale Francesco Morosini del 1629 edita da S. G. Spanaki a Creta nel 1950, pp. 134-136, 141); e va altresì detto che, se Giovanni Andrea Troilo è l'autore della tragedia greca Rhodolinos (Venezia 1647), un suo parente Girolamo verseggia in italiano -, desumibile dagli atti notori cinquecenteschi che la riguardano ora, appunto, in italiano ora in greco, pare man mano privilegiare quest'ultimo. In greco, infatti, è la donazione materna del 24 genn. 1598 nella quale al C. spetta un sesto dei beni paterni. E, morto il C. nel 1613, in greco testa, il 17 marzo 1616, una delle sue due figlie, Cateruzza - l'altra è Elenetta - sposa a Michele de Mezzo di Francesco; come, pure, in greco testerà, il 15 genn. 1643, la figlia di Cateruzza, Elenetta. Fortemente grecizzati quindi i discendenti del C., non però nel rito, ché le due testatrici riserbano lasciti, donativi, legati solo a chiese e conventi cattolici.
Ragionevole, allora, attribuire al C. membro degli Stravaganti, l'Erotocrito:così non c'è contraddizione tra la familiarità con testi di provenienza occidentale e la scelta espressiva del greco. Quanto al prototipo, indagini recentissime escludono il rimaneggiamento dell'Albani e argomentatamente l'individuano nel volgarizzamento del Paris et Vienne uscito a Treviso nel 1482 e più volte ristampato, specie a Venezia; s'allarga, nel contempo, il ventaglio delle suggestioni e delle reminiscenze. Vale sempre l'attribuzione, per affinità stilistiche, per similarità d'effusione lirica e d'ispirazione drammatica, per analogia nell'elaborazione d'un prototipo- rappresentato, in questo caso, dall'Isacco..., (Venezia 1586) di Luigi Groto -, allo stesso autore anche del Sacrificio... Il suo impianto teatrale riecheggerebbe nell'accentuato andamento dialogico riscontrabile nell'Erotocrito, nelle ravvicinate sequenze sceniche che lo scandiscono. Una reminiscenza teatrale sarebbe la stessa sua suddivisione in cinque canti, non immemore dei cinque atti della drammaturgia rinascimentale italiana. Per Alexiu - il secondo recente editore critico del poema che s'avvale della prima edizione veneziana del 1713, accantonata da Xanthudidis cui inoltre contrappone la adozione d'un criterio grafico e fonetico più rigido e conseguente - l'autore si colloca senz'altro, dato che Il sacrificio... risale al 1600 e l'epopea si suppone scritta nel primo decennio del secolo, nel pieno fulgore della letteratura cretese, quando è ancor vivo il ricordo della guerra veneto-turca del 1570-73 (ed è un cretese, Nicolò Papadopulo, a distinguersi tra i primi cantori di Lepanto), quando vivissimo è l'interesse - e gli Stravaganti fungono da cassa di risonanza - per Ariosto e Tasso (nessuna eco del secondo, comunque, nel poema, molti invece gli ariosteschi, mentre ne affiorerebbero pure di danteschi), per Giraldi, per Groto, per Guarini. Un autore, dunque, coevo, non posteriore, rispetto a Chortatsis. Se così è, questi non può che essere il C.: lo "stravagante" che ha assorbito flussi occidentali per fonderli, nell'autonoma elaborazione d'una tensione poetica originale, nell'Erotocrito, che, popolaresco e raffinato insieme, è divenuto il testo vivo e parlato di moltitudini di grecofoni comportando - in siffatta immensa fortuna, in siffatta lettura nazionale - gli ardui inconvenienti su cui s'esercita l'acribia dei moderni editori critici.
Fonti e Bibl.: noto in Italia grazie a G. Barone, Erotocritos poema erotico del XVI secolo, scritto in greco moderno da V. C., Salerno 1910 e a P. E. Pavolini, L'"Erotokritos" di V. C., in La Rassegna, XXV (1917), pp. 1-11 ed efficacemente sintetizzato in Enc. It., IX, p. 267 e in Diz. lett. Bompiani. Opere, III, Milano 1947, p. 204 (e, per il supposto autore, ibid., Autori, I, ibid. 1956, p. 551), il poema - leggibile nella trad. inglese di J. Mavrocordato, Oxford 1929- è stato edito criticamente a Candia nel 1915 da S. Xanthudidis (valga, comunque, la ristampa, Atene 1968, con introduzione di L. Politis) e ad Atene nel 1980da S. Alexiu, la cui introduzione ripercorre tutto il travagliato itinerario attributivo con esiti innovanti. Rinviando soltanto ai cenni più o meno diffusi, ad vocem, in A. Embiricos, La ren. crétoise, Paris 1960 e B. Knos, Hist. de la litt. néo-grecque, Upsala 1962, e G. Seferis, Poesie e Prose, Milano 1969 e B. Lavagnini, La lett. neoell., Firenze 1969 e M. Vitti, Storia della lett. neogreca, Torino 1971, si indicano esclusivamente, con traduzione italiana del titolo, le ricerche via via lumeggianti, grazie a scavi archivistici e bibliografici svolti a Venezia, la figura del C., tutte apparse in Thesaurismata. E precisamente: N. M. Panaghiotakis, Ricerche in Venezia, ibid., V (1968), pp. 45-158;Id.-A. L. Vincent, Nuovi dati sull'accad. degli Stravaganti, ibid., VII (1970), pp. 52-81;G. C. Mauromatis, Atti greci... della madre... figlia e... nipote di V. C., ibid., XVI (1979), pp. 206-254.Al Mauromatis si deve, altresì la monografia Il prototipo di "Erotocrito", Giannina 1982 che permette di escludere l'Albani e quindi corrobora l'attribuzione al Corner, Sul Sacrificio..., edito ad Atene di G. Megas nel 1943e, di nuovo, con notevole miglioramento, nel 1955, con l'avvertenza che ora il 1635del manoscritto vale come data di trascrizione non di stesura, cfr. M. I. Manoussakas. La litt. crétoise à l'époque vén., in L'Hellénisme contemporain, IX (1955), pp. 115 s.