CIVERCHIO, Vincenzo
Nacque a Crema (come si desume dalle molte opere firmate e dal testamento in cui si autodefinisce "Civis Cremensis") tra il 1460 e il 1470 da antica famiglia "scritta tra le nobili benché senza titolo", stando alla testimonianza di Pietro Terni storico cremasco suo contemporaneo (in Caffi, 1883, p. 330).
Secondo Michiel "Maestro Vincenzo" era soprannominato "El Forner", lettura errata a detta del Caffi dell'epiteto "Fanonus", riportato nei documenti, a conferma della sua estrazione aristocratica non da stirpe di fornai (ai Civerchi era intitolato un quartiere di Crema; nel 1405 sono menzionati tra gli ottimati della città). L'equivoco del Vasari, il quale identificò il C. con Vincenzo Vecchio, è responsabile della confusione della sua personalità con quella del Foppa, quindi dell'attribuzione, fino alla fine del sec. XIX, degli affreschi di S. Pietro Martire in S. Eustorgio. Particolarmente controversa fu la sua formazione: milanese per Lomazzo, veneziana per Ridolfi (data la dipendenza di Crema da quella repubblica), tra i seguaci di scuola veneta per Lanzi. Un primo profilo critico attendibile del C. fu delineato dal Caffi (1883), ancora oggi fonte insostituibile, e da E. Ferrari (1919), che, in base alle notizie allora note sull'artista, già documentato nel 1491 a Brescia, ne ipotizzarono un alunnato presso il Foppa, presente in città l'anno precedente per l'esecuzione degli affreschi nella loggetta del palazzo pubblico.
Il primo esordio finora noto dell'artista è rappresentato dalla pala della parrocchiale di Travagliato, firmata e datata 1490, con l'Andata al Calvario sormontata dalla Deposizione (Panazza, 1963).
Il dipinto innesta sullo schema lombardo, di derivazione dalla quasi coeva Pietà di Berlino del Foppa (già in S. Pietro in Gessate), una esasperazione espressiva ed un cromatismo che, più che di origine butinoniana, si è voluto leggere in direzione dell'ambiente cremonese legato a Ferrara, tra il Della Corna e il giovane Boccaccino (Panazza).
Il C. compare per la prima volta a Brescia, l'8 apr. 1491, quando è ordinato un pagamento di lire 10 per le pitture dell'arma del podestà Donato nel suo palazzo, in favore di "Vincenzo de Crerria", che il 13 aprile risulta alloggiato in casa di Ludovico Martinengo. Nel 1493, alla partenza del Foppa per Pavia, i rettori della fabbriceria della cattedrale di Brescia affidano al C. una prova di particolare impegno: l'incarico di affrescare la cappella maggiore con episodi tratti dalle Scritture e dalla vita della Vergine, che furono pagati 20ducati d'oro l'8 luglio 1493, 10 ducati d'oro il 21 nov. 1493 e saldati il 31 genn. 1494. Gli affreschi, rintonacati nel corso del XVII secolo, stilisticamente non dovettero discostarsi molto dal polittico, di poco successivo, per la chiesa di S. Barnaba a Brescia, ora in Pinacoteca, raffigurante S. Nicola da Tolentino tra i ss. Sebastiano e Rocco, sormontati dalla Pietà ed originariamente entro ricca cornice intagliata e dorata (già sostituita nel 1883, quando lo vide il Caffi).
Si avvertono in quest'opera, firmata e datata 1495, elementi di cultura prettamente lombarda, nella direzione segnata dagli allora più autorevoli giovani capiscuola, da Butinone allo Zenale, particolarmente per la monumentale eroicità conferita ai personaggi con inserimento anche di desunzioni leonardesche nel paesaggio e nell'uso di sottigliezze chiaroscurali.
A questi anni giovanili appartengono il S. Francesco siglato, proveniente da S. Francesco a Crema, già in collezione Lochis e il tabernacolo di devozione privata con l'Annunciazione, entrambi alla Carrara di Bergamo; la Natività di Brera e la tavoletta, entro cornice scolpita, della collezione Grignani a Cremona.
Il soggiorno bresciano del C. continuò senza soluzione di continuità fino allo scadere del secolo: sempre in duomo eseguì altri affreschi perduti, fra cui una Cavalcata sul monte Palosso, di cui è conservata memoria nelle provvisioni municipali del 10 dic. 1496 e del 28 genn. 1497 (Panazza, 1963, p. 979). Nel 1498, grazie alla lunga permanenza a Brescia, ne ottenne la cittadinanza, comparendo nelestimo di quell'anno nella "quadra quarta di San Faustino" (Fenaroli, 1877).
Plausibilmente andranno scalati entro il primo decennio dipinti in cui più sentita è l'adesione all'ambiente figurativo milanese dello Zenale, del Bramantino e della cerchia leonardesca tra Boltraffio e Marco d'Oggiono: la Natività con s. Caterina di Brera, con monogramma ad iniziali intrecciate, già in collezione Cavalli-Calini a Brescia, quivi giunta da un oratorio della periferia della città; il S. Rocco, già in collezione Brunelli a Brescia, poi Stramezzi a Crema, e la Deposizione diS. Alessandro, firmata e datata 1504. La tavola duramente giudicata dalla Ferrari per il suo eclettismo, a metà tra Lombardia, Veneto e Ferrara, con aspetti connessi alla tradizione scultorea più espressiva dei mortori padani, fu utilizzata come termine di confronto per espungere dal catalogo del C. la Deposizione di S. Giovanni, ascritta invece allo Zenale. Analogamente la Pietà di S. Afra fu restituita a P. Caylina il Giovane. Poco più tardi della pala di S. Alessandro il C. dipinse, in Brescia, gli affreschi della piccola cappella a fianco dell'abside del Carmine, dove gli scomparti con la Resurrezione e l'Incontro del Cristo con la Vergine ribadiscono le già sottolineate propensioni per i modi di Butinone e Zenale, sorprendentemente con riferimenti alla ormai già arcaica cultura del polittico di Treviglio. Mentre nel riquadro del Cristo e la Maddalena il pittore imposta il proprio linguaggio più in direzione veneto-bresciana, con una tenerezza formale non lontana dal Ferramola. Intorno a questi anni sono da collocare l'affresco con Deposizione nel convento di S. Pietro in Oliveto a Brescia, la Madonna del latte del Museo di Castelvecchio a Verona, le due tavolette di Vicenza e la Madonna con Bambino dell'Albertina di Torino.
Nel 1507 il pittore si trasferisce a Crema (dove peraltro la sua presenza è già registrata anche nel 1500), per eseguire lavori oggi non più reperibili e pone la propria residenza presso l'Ospedale del Comune (P. Temi, in Ferrari, 1919, p. 117). Il primo ottobre di quell'anno si impegna dinnanzi al notaio Luigi Zurla, con i rappresentanti della Magnifica Comunità di Crema, a dipingere, entro il Natale, una tela con S. Marco tra la Giustizia e la Temperanza, da sistemarsi in una sala del Consiglio del Comune per conto del Monte di pietà. Il dipinto, sempre secondo lo storico contemporaneo Terni, fu inviato in Francia da Bemard de Richaud. governatore di Luigi XII a Crema, che lo fece sostituire con le insegne reali (Caffi, 1883, p. 337; Ferrari, 1919, p. 26).
La progressiva affermazione del pittore in patria è testimoniata, oltre che da importanti commissioni pubbliche a destinazione civile, anche da incarichi per opere di soggetto religioso.
Intorno al 1510 (a detta del Braganti, riportato in Ferrari, 1919, p. 118; invece intorno al 1525, secondo Caffi, 1883, p. 338) il C. dipinse perduti affreschi nelle sale al piano terreno del palazzo pubblico, con "molti ritratti dal naturale" di illustri cremaschi campiti entro gli archetti e nel 1513 restaurò, rielaborandolo in assoluta libertà, l'antico affresco del duomo raffigurante la Madonna in trono e santi, cui la Comunità di Crema riservava particolare devozione (Cambiaghi, 1961, p. 216).
I primi anni di soggiorno in Crema non furono però esclusivi e la sua attività continuò ad espletarsi anche nella provincia bresciana, dove fu sicuramente presente nel 1511, quando, il 21 novembre, presso il notaio Zamara di Chiari stipulò un contratto di apprendistato alla propria bottega con "Io. Petrum Filium d.mni Zamboni de Gandino habitatorem de Claris" (Panazza, 1963, p. 983 n. 2). Nel 1512 il C. siglò e datò l'affresco con la Pietà e i ss. Rocco e Sebastiano nella pieve di Nave, insieme con altri due S. Rocco e una Flagellazione, tutti di particolare interesse per il precoce assorbimento della ventata giorgionesca portata da Romanino e per le puntuali citazioni da Altobello Meloni, importante punto di riferimento dell'età matura. Questi dati compaiono con meno accentuata evidenza negli affreschi della chiesa di S. Maria di Campagna a Travagliato, raffiguranti la Deposizione, sulla facciata, e l'Assunta, firmata e datata 1517. Essi presentano consonanze più persuasive con le opere cremasche di Benedetto Diana, unitamente alla vitalità combositiva dell'eccentrico cremonese Altobello. È riconducibile a questo momento anche il Battesimo di Cristo di St.-Nicolas des Champs a Parigi, variante dell'analoga composizione di poco anteriore in S. Giacomo a Crema, ripresa ancora più tardi nella tavola di Lovere, del 1539. Per l'attività in provincia non andranno dimenticati anche i perduti affreschi, segnalati dal Calvi (1861), nel coro della parrocchiale di Romano Bergamasco, raffiguranti "la vita dell'apostolo San Giacomo con l'Assunta". La fama dell'artista, ormai consolidata in patria, fa sì che egli divenga pittore ufficiale della città di Crema e si veda commissionare l'11 genn. 1518 dai consoli della matricola dei mercadanti la pala per l'altare del Braguti in duomo per 29 ducati d'oro più altro compenso a lavoro finito (Caffi, 1883, p. 337). La tavola, con i SS. Sebastiano,Rocco e Cristoforo, firmata e datata 1519, reca evidenti segni del progressivo affermarsi nel linguaggio del C. di citazioni dal Romanino. Altro intervento di particolare impegno fu l'esecuzione dell'organo del duomo di Crema, pagato nel 1523, che valse al pittore fama anche di abile scultore "per l'invenzione dell'ornamento e dell'intaglio" e di "prospetico ed insigner" per l'ingegnoso congegno di chiusura senza cardini (Ridolfi; Michiel, p. 146). Sempre nel 1523, secondo il Braguti (in Ferrari, 1919, p. 17), affrescò le Storie di s. Bernardino nella cappella omonima in duomo, distrutte all'inizio del Seicento con il rifacimento della cappella. Nell'anno 1524 il C. venne chiamato a Palazzolo sull'Oglio per opere di pittura, tra cui il polittico a più scomparti per l'altare maggiore della antica prevostura, con la Madonna in trono e santi, nella predella Storie della Vergine e del Battista, siglato, firmato e datato 1525, entro ricca cornice policroma (sostituita nel 1840 con altra dorata nel corso di un incauto restauro, che smembrò il complesso per l'adattamento alla nuova parrocchiale).
L'assimilazione di dati veneti, di ascendenza romaniniana, soprattutto per l'arricchimento cromatico, trova qui un momento di particolare incidenza, con aperture anche in direzione di Lotto, interpretato peraltro molto superficialmente; permane comunque ancora il sostrato lombardo nelle sottigliezze chiaroscurali e di affettazione sentimentale di stampo leonardesco.
Particolare importanza nella sua carriera pittorica dovette avere la "camera tutta dipinta", nel 1526 (Braguti in Ferrari, 1919, p. 18 nota 1), ricordata dal contemporaneo Michiel, "in casa de Madonna Ippolita Vilmarcà" a Crema (palazzo Vimercati Carioni) che rappresentava nell'altissimo fregio, in quindici riquadri, fatti mitologici e "alcune vaghissime figure di uomini, donne, fauni, satiri quasi di naturale che fiancheggiando i quadrati del fregio sembrano sostenerlo" (Caffi, 1883, p. 340). Il ciclo, scialbato ad inizio secolo, interpretato da storici e conoscitori ottocenteschi come testimonianza, oggi inattendibile, di influsso toscano, peruginesco e da Giulio Romano, costituì certo un grosso sforzo di aggiomamento culturale operato dall'ormai anziano artista in direzione degli imperanti orientamenti figurativi del manierismo lombardo.
Nelle opere tarde il suo linguaggio si presenta infatti profondamente alterato verso forme dilatate e più sommarie, già adottate nella tela con il Transito di Maria nel Museo di belle arti di Budapest, firmata e datata 1531, proveniente dalla cappella della Misericordia nel duomo di Crema. Nel 1532 viene registrata per l'ultima volta la presenza del C. a Brescia, donde è richiamato per effettuare in Lodi, il 16 giugno, insieme con il milanese Giacomo Trezzo, una stima dei dipinti del Piazza nella cappella di S. Giovanni Battista all'Incoronata di Lodi (Caffi, 1881 p. 339). Durante questo soggiomo il C. avrebbe dipinto un Cristo morto, conservato nel locale liceo classico, e le ante dell'organo con l'Annunciazione nella chiesa di S. Francesco (Panazza, 1963, p. 986). Nel 1535, rientrato a Crema, il pittore collauda una tavola di Callisto Piazza per la chiesa della Trinità ed è nominato in un atto notarile nella stessa città (Ferrari, 1919, pp. 19, 27). La sua attività non conosce ancora sosta: nel 1539 finna e data il Battesimo di Gesù per i padri romitani di S. Agostino di Crema, conservato nella Pinac. Tadini di Lovere con la coeva Madonna in trono tra i ss. Stefano e Lorenzo, firmata (già commissionata dai rettori della distrutta chiesa di S. Marta). Nello stesso anno il C. firma e data la Pietà in S. Giovanni sopra Lecco ed il polittico ligneo scolpito e dipinto della parrocchiale di Caiolo in Valtellina, il prototipo più rappresentativo della sua non secondaria attività di scultore, costante riferimento per la tradizione d'intaglio bresciana e delle vallate alpine (Peroni, 1962).
Alla sua mano di scultore sono stati riconosciuti il monumentale S. Pantaleone sull'altare omonimo nel duomo, la Vergine addolorata, con stemma della famiglia Terni sul piedistallo, in collezione Ermentini ed il Cristo sotto la croce, ad essa connesso, della parrocchiale di S. Pietro, tutti a Crema.
Ancora problematica e poco studiata è l'attività ultima del pittore, solitamente definita come stanca e ripetitiva, spesso confusa con quella di Carlo Urbino, con cui collaborava. Intorno al 1540 andranno ricordati, in Crema, gli affreschi in pal. Zurla (Ferrari, 1919, p. 23 nota), il grande dipinto per la famiglia Terni con la Discesa di Gesù agli Inferi, entro ricca cornice intagliata, descritto con ammirazione dal Braguti (in Ferrari, 1919, p. 22) e dato per disperso dal Caffi e la tela con l'Assunzione di Maria, giànell'"arco verso sera" della cappella di Maria Vergine nel duomo di Crema, ricordata nel 1743 nello Zibaldone delRonna in pessime condizioni, presso il conte Sanseverino (Caffi, 1881 p. 341 n. 1). Ultima sua opera la grande tela oggi nell'abside della cattedrale, frutto della collaborazione del C. per la parte dell'Assunta e dell'Urbino per gli Apostoli, con interventi anche del Picenardi. In data 24 luglio 1544 il pittore, vecchio e infermo, sottoscrive il proprio testamento presso il notaio Nicolò Doldo di Crema (Ferrari, 1919, pp. 27 s.). Il C. abitava allora nella parrocchia di S. Benedetto, nella vicinia del Tolli in Porta Ripalta, presso l'ospedale. Morì a Crema e fu sepolto nella chiesa di S. Giacomo dinnanzi all'altare maggiore.
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