CERVELLO, Vincenzo
Nacque a Palermo il 13 marzo 1854 da Nicolò e da Giuseppina Cianciolo e studiò nella sua città, conseguendovi la laurea in medicina nel 1877. Orientatosi subito verso gli studi farmacologici, certamente sospinto e favorito dal padre titolare della cattedra di materia medica nell'università di Palermo pochi mesi dopo essersi laureato fu nominato assistente presso tale cattedra. Credette però opportuno completare la propria preparazione presso altre sedi universitarie, e si recò dapprima a Torino presso l'istituto di A. Mosso, poi a Strasburgo nel laboratorio di farmacologia di O. Schmiedeberg, ove rimase per tre anni. Conseguita la libera docenza nel 1882, l'anno seguente fu incaricato dell'insegnamento della materia medica nell'università di Palermo, succedendo nella direzione della cattedra al padre Nicolò che aveva chiesto di essere collocato a riposo. Il C., la cui formazione aveva subito una profonda influenza dal contatto con lo Schmiedeberg fondatore della farmacologia sperimentale, iniziò allora i corsi di materia medica secondo un indirizzo nuovo e personale per quell'ambiente medico-scientifico: pur non distaccandosi dalla clinica e dalle finalità terapeutiche, infatti, valorizzò la sperimentazione dei farmaci in laboratorio e l'importanza dell'identificazione dei loro principî attivi, in piena aderenza ai concetti che avrebbero di lì a non molto ispirato la moderna ricerca farmacologica in Sicilia. Con lui e con la sua scuola l'interesse per questi studi cominciò a concentrarsi sui farmaci come tali e sull'azione da questi esercitata sugli organi e sull'intero organismo, prima che sulla loro possibile applicazione pratica.
La ricerca farmacologica in Sicilia era stata fino ad allora fiorentissima: in particolare, un notevole impulso avevano avuto gli studi di farmacognosia, e le conoscenze sui farmaci di origine vegetale, sulle droghe, sulla loro azione si erano notevolmente arricchite. Tuttavia la farmacologia moderna era ancora lontana dall'affermarsi con il suo indirizzo scientifico radicalmente rinnovato, che dallo Schmiedeberg in poi l'avrebbe resa una disciplina autonoma, del tutto indipendente dalla medicina pratica e applicata. Il termine stesso con il quale allora si designava la disciplina, materia medica, bene ne metteva in evidenza quelle obbligate aderenze alla clinica e quei presupposti di ordine terapeutico, che dovevano divenire inammissibili per la nuova scienza farmacologica, esclusivamente sperimentale e di laboratorio. L'opera del C. segnò veramente una svolta nell'evoluzione della materia medica verso i nuovi indirizzi della ricerca: egli non riuscì, è vero, a distaccarsi completamente dalla mentalità clinica e conseguentemente dalla valutazione delle possibili applicazioni terapeutiche dei farmaci che studiava, ma i suoi metodi di analisi, le osservazioni di ordine strettamente fisiologico che conduceva sull'effetto esercitato dalle sostanze in esame su vari organi, l'assoluta preminenza attribuita all'attività di laboratorio rappresentarono i momenti fondamentali del nuovo corso che dette all'insegnamento. Tale fu la sua opera: e anche se non ne derivarono scoperte o acquisizioni di rilievo teorico o pratico, non v'è dubbio che essa contribuì in modo decisivo alla nascita della nuova scienza farmacologica in Sicilia. Tra i vari lavori pubblicati dal C., basterà ricordare, a tale proposito, Sul principio attivo dell'Adonis vernalis, in Arch. per le scienze med., V(1881), pp. 161-175, eseguito quando era ancora a Strasburgo, presso il laboratorio dello Schmiedeberg: le sue conclusioni fanno pur sempre riferimento alle possibili applicazioni terapeutiche dell'intera pianta o del glucoside che ne aveva isolato, e che aveva chiamato adonidina, ma il metodo di studio è sorprendentemente moderno. Dopo aver descritto il metodo di preparazione chimica del glucoside, il C. ne illustra gli effetti esercitati sul cuore, sulle fibre muscolari striate e sulla pressione sanguigna delle rane: le esperienze, condotte con tecniche fisiologiche e documentate dalla riproduzione dei tracciati ottenuti col chimografo, sono descritte con assoluta precisione e riccamente corredate di dati, così da apparire perfettamente riproducibili. L'adonidina isolata dal C. risultò in seguito non essere una sostanza pura, e l'uso che alla fine del secolo XIX e all'inizio del XX se ne fece in terapia per le sue proprietà cardiotoniche si è poi grandemente ridotto. Numerose furono le sostanze studiate dal C. in riferimento a un loro possibile impiego clinico: i cloruri di ferro, il ferro medicinale, il rame. Di maggiore interesse fu l'introduzione in terapia della paraldeide come narcotico (Recherches cliniques et physiologiques sur la paraldéhyde, in Arch. ital. de biol., VI [1884], pp. 113-134): il farmaco risultò un ottimo narcotico, poco tossico e di comodo impiego, ed ebbe per un certo tempo una discreta fortuna nella pratica clinica, mentre attualmente l'uso ne è assai limitato. Le lunghe ricerche sue e della sua scuola sui metalli pesanti furono concluse dal C. con la formulazione della teoria di un potere ematogeno posseduto da tali sostanze e non esclusivamente dal ferro, cui sarebbero dovuti i presunti buoni risultati ottenibili nel trattamento di quella particolare forma di anemia allora comunemente definita clorosi con la somministrazione di rame, di zinco, ecc. (I metalli pesanti come ricostituenti della emoglobina, in Ricerche di fisiologia e scienze affini dedicate al prof. L. Luciani nel XXV del suo insegnamento, Milano 1900, pp. 377-379);in realtà gli studi successivi e le osservazioni dei più accreditati ematologi non hanno consentito di confermare le asserzioni del C. e sono mancate sicure dimostrazioni dell'efficacia terapeutica dei suddetti metalli nelle anemie, a eccezione beninteso del ferro.
La carriera universitaria del C. proseguì con fortuna: nel 1885, vinto il regolare concorso, divenne ordinario di materia medica nell'università di Catania; nel 1887 venne trasferito, come titolare dello stesso insegnamento, nell'università di Palermo, ove creò il laboratorio di ricerche farmacologiche; negli anni accademici 1886-87 e 1888-90 ebbe anche l'incarico dell'insegnamento della clinica medica. Nel giugno del 1889, inoltre, su parere della commissione sanitaria fu nominato medico primario dell'ospedale civico. Anche in campo clinico il C. si distinse per le brillanti qualità didattiche: dettò interessanti lezioni e fu autore di numerose osservazioni sulla fisiopatologia cardiaca, sulle cisti idatidee, sui tumori del mediastino, sulle epatiti. In modo particolare concentrò la sua attenzione sui problemi terapeutici e profilattici riguardanti la malattia tubercolare, alla soluzione dei quali il C. apportò un contributo determinante.
In tale settore il C. si segnalò infatti sia per aver introdotto in terapia un nuovo medicamento, sia soprattutto per aver promosso la realizzazione del sanatorio e del dispensario di Palermo. L'idea di una efficace terapia chimica della tubercolosi fu ispirata al C. dalla lettura di alcuni lavori di autori stranieri sul potere disinfettante dei vapori di formaldeide. Egli, in una serie di tentativi, elaborò un particolare apparecchio, che chiamò vaporogeno, in grado di dar luogo allo svolgimento graduale e progressivo dei vapori di formaldeide, cui per renderla più tollerabile erano aggiunte piccole quantità di cloralio e di iodoformio. Alla composizione chimica così ottenuta dette il nome di igazolo, e dopo aver condotto vari esperimenti terapeutici sui malati ricoverati nell'ospedale della Guadagna, dette la comunicazione ufficiale dell'introduzione in terapia del nuovo farmaco somministrabile per via inalatoria nella seduta del 29 apr. 1899 all'Accademia di medicina di Palermo. Il medicamento, la cui efficacia nella cura della tubercolosi sarebbe dipesa secondo il C. dalla proprietà della formaldeide di esercitare un'azione ossidante sui bacilli tubercolari e di indurre fenomeni di autoossidazione sui loro prodotti, non ebbe però fortuna: i risultati che se ne ottennero furono meno che modesti, e nonostante le speranze suscitate dai presupposti teorici il suo impiego venne presto abbandonato. Sul piano organizzativo, invece, di grande valore fu l'opera del C. nella lotta antitubercolare in Sicilia: per suo merito il comune di Palermo riuscì a reperire i fondi necessari per la costruzione del sanatorio, che venne ufficialmente inaugurato dallo stesso C. il 28 novembre 1909; a lui la città fu ancora debitrice della realizzazione del dispensario, che, sorto col contributo del Banco di Sicilia, fu inaugurato nel luglio 1913. In breve, il C. dette un impulso vigoroso alla lotta antitubercolare in Sicilia e con lui ebbe inizio nell'isola la programmata e razionale azione profilattica e terapeutica contro quello che era allora uno dei più temibili flagelli dell'umanità.Il C. si distinse ancora per l'opera prestata in occasione delle epidemie di colera che infierirono in Sicilia: a Catania, a Messina, a Palermo. Fece parte della commissione nominata dal governo per la periodica revisione della farmacopea ufficiale del regno, fu presidente della R. Accademia delle scienze mediche e della R. Accademia di scienze, lettere e arti di Palermo; fu componente del consiglio sanitario provinciale e assessore per l'igiene al consiglio comunale di Palermo. Nel 1893 fondò il periodico Archivio di farmacologia e terapeutica, di cui fu anche direttore per molti anni.
Il C. morì a Palermo il 4 dic. 1918.
Bibl.: Necrologi, in Riv. san. sicil., VI(1918), pp. 15 s.; in Boll. delle scienze med., XC (1919), pp. 94 s.; C. Lazzaro, Commemoraz. del prof. V. C., in Atti della R. Acc. di scienze med. in Palermo, 1918-19, pp. XIII-XXVI; L. Manfredi, V. C. nel X anniversario della sua morte(4 dicembre 1928), in Riv. san. sicil., XVII(1929), pp. 33-40, e in La cult. med. mod., VIII (1929), 1, pp. 16-22; C. V., in Diz. dei sicil. illustri, Palermo 1939, p. 116; V. Fici, V. C., in La celebrazione dei grandi medici sicil., Palermo 1940, pp. 74-80; A. Imbesi, La materia medica in Sicilia, in Galeno. Riv. di arte e di storia della farmacia, XVI (1968), pp. 3-21; I. Fischer, Biograph. Lexikon der hervorragenden Ärzte [1880-1930], I, p. 233. Per i brevi cenni all'evoluzione della farmacologia e della farmacognosia tra la fine del XIX sec. e l'inizio dell'attuale, si veda P. Di Mattei, Farmacologia, in Enc. del Novecento, II, pp. 897 ss.