CASTRUCCI, Vincenzo
Nacque a Lucca alla fine del sec. XV da Giovan Battista e Caterina di Giusfredi Cenami.
La famiglia Castrucci, originaria di Pietrasanta, aveva ottenuto con Battista, un pannaio, la cittadinanza lucchese nel 1424. Da questo momento i Castrucci avevano cominciato, sia pur con lentezza e per gradi, a partecipare, sempre più attivamente, alla vita politica della città: nel 1453 Silvestro era stato eletto nel Consiglio generale, mentre il figlio Giovan Battista, nel 1491, aveva ottenuto, primo nella famiglia, la carica di anziano. Giovan Battista, che probabilmente aveva contribuito a rendere più solida la posizione dei Castrucci imparentandosi nel 1480 con i Cenami, moriva prima del 1513. A questa data, infatti, la moglie Caterina agiva in veste di capofamiglia ed allivellava alcune terre poste in Massaciuccoli.
Il C. ottenne la prima carica pubblica nel 1524 con l'elezione nel Consiglio generale. In seguito sarebbe tornato ad occupare questa carica ad ogni biennio, fino al 1542. Nel 1526, per la prima volta, venne creato anziano e, negli anni successivi ricoprì questo incarico per ben sei volte. Nel 1538, infine, toccò l'apice della sua carriera politica, quando per i mesi di maggio-giugno ottenne il gonfalonierato.
Il peso assunto dal C. nella vita politica, tuttavia, non gli impedì di ribellarsi alle autorità. Nel 1542, infatti, contribuì alla evasione dal carcere di fra' Girolamo da Pluvio, imprigionato come eretico.
A dare un nuovo corso alle opinioni religiose del C. probabilmente aveva contribuito la presenza a Lucca, in quegli anni, di Celio Secondo Curione, col quale il C. aveva stretto rapporti di amicizia, tanto che il Curione, in una lettera del 1543 a Giovan Battista Bernardini, lo ricordava come "bonus plane et cordatus homo, et amantissimus mei" (Opuscoli e lettere..., II, p. 238). Non è da escludere, tuttavia, che il C. sia stato in contatto anche con altri studiosi che si ispiravano ai principi della Riforma, e allora residenti a Lucca, come Costantino da Carrara, Pietro Martire Vermigli ed il vicario di S. Agostino, Girolamo da Pluvio.
Il 22 sett. 1542 un manipolo di cittadini capitanato dal C. penetrò nella prigione e fece fuggire attraverso il solaio fra' Girolamo. Il colpo di mano, avvenuto sotto gli occhi della Signoria, perché il vicario era "in carceribus palatii Magnificorum Anzianorum",riuscì perfettamente e tutti i componenti del gruppo poterono allontanarsi indisturbati. L'inchiesta, che iniziò il 23 settembre, si concluse il 3 ottobre con un processo nel quale il C., riconosciuto come l'ideatore del disegno, venne condannato a morte in contumacia. Fuggito da Lucca, il C. trovò rifugio ad Anversa dove diede vita ad una compagnia di esportazioni insieme con Simone Turchi e col nipote di questo, Giuseppe. Il 20 aprile del 1546 il Senato lucchese decise di concedergli la grazia ed il permesso di tornare liberamente in patria. Il 20 luglio 1546 il C. partì con due compagni diretto a Lucca. Il 3 sett. 1548 fece testamento, su rogito di Michele Serantoni; nominava usufruttuaria la moglie Angela, figlia di Giovan Paolo Gigli, sposata nel 1526, e lasciava eredi i figli Castruccio, Giovan Battista e Vincenzo, confidando che questi ultimi avrebbero provveduto a fornire di dote Lucrezia e Caterina.
Morì probabilmente a Lucca nel 1551.
Alla sua morte, Angela ed i tutori dei figli, Vincenzo di Girolamo dal Portico e Vincenzo Zegrini, erano costretti a "vendere la casa dove presentemente abitano" ed il podere di Monsagrati in quanto "gravati da debiti". La situazione finanziaria della famiglia, probabilmente già minata durante gli anni dell'esilio, continuò a deteriorarsi: nel 1558Castruccio era costretto a vendere appezzamenti di terra; nel 1562per la dote di Lucrezia, sposata a Francesco Diversi in quello stesso anno, e per i debiti erano alienati altri appezzamenti del patrimonio. Infine la dote pagata nel 1580 a Michele Guinigi sposo di Caterina doveva costituire un ulteriore salasso per le dissestate finanze della famiglia. Ad ulteriori indebolimenti del patrimonio, Castruccio cercava di porre rimedio con la creazione nel 1584 di un fidecommesso.
Fonti e Bibl.: Arch. di Stato di Lucca, Arch. Cittadella-Castrucci, n. 10, ins. 40: "Diario di Vincenzo Castrucci di ritorno da Anversa, 20 luglio-9 agosto 1546"; Ibid., n. 6; Ibid., Consiglio Generale, n. 41, cc. 96-96; n. 43, c. 43; Ibid., Anziani al tempo della libertà, n. 766, c. 195; Inv. dell'Arch. di Stato di Lucca, I, a cura di S. Bongi, Lucca 1872, p. 352; Lucca, Bibl. governativa, ms. 2945: L. Trenta, Libro di memorie (sec. XVI), c. 182; Ibid., ms 1109: G. V. Baroni, Notizie geneal. delle famiglie lucchesi (sec. XVIII), cc. 841-871; Opuscoli e lettere di riformatori italiani del Cinquecento, a cura di A. Paladino, Bari 1927, II, pp. 238 s.; G. Sforza, Un epis. poco noto della vita di Aonio Paleario, in Giornale stor. della lett. ital., XIV (1889), pp. 50-71; F. Tocchini, Note su la Riforma a Lucca dal 1450 al 1565, in Boll. stor. lucchese, IV(1902), p. 113; M. Mazzolani, S. Turchi, storia di un delitto famoso e commento ad una novella del Bandello, ibid.,VIII(1936), p. 140; A. Mancini, Storia di Lucca, Firenze 1949, pp. 230-234; M. Berengo, Nobili e mercanti nella Lucca del '500, Torino 1965, pp. 415 s., 436.