CAPPELLO, Vincenzo
Unico figlio maschio di Domenico (1545-1608) di Vincenzo e di Cecilia di Marcantonio Mocenigo, nacque a Venezia il 29 marzo 1570 e si sposò, senza però avere figli, tre volte: con Maria di Marco di Paolo Contarini il 27 nov. 1591; con Paolina di Alvise di Marcantonio Pisani nel 1603; con Caterina di Girolamo di Paolo Contarini, vedova di Alessandro Molin di Giovanni, il 28 sett. 1616.
Eletto il 31 maggio 1594 savio sopra le Beccarie, il C. risiede a Belluno, in qualità di podestà e capitano, dal 2 luglio 1597 alla fine di marzo del 1599, avendo modo di conoscere il dotto vescovo Luigi Lollino, col quale resterà in contatto epistolare anche in seguito. Nominato, nel 1603, il 19 maggio, provveditore al Cottimo di Damasco, il 6 luglio provveditore alle Biave, il 28 dicembre ufficiale alle Rason vechie e il 27 ag. 1606 dei Dieci savi a Rialto, rifiuta, sempre nel 1606, la podesteria di Chioggia. Eletto a far parte della zonta del Pregadi "stravacante", il 21 sett. 1609 e il 12 febbr. 1612, il 17 marzo 1613 gli viene conferita la luogotenenza della Patria del Friuli, che esercita dall'ottobre del 1613 sino al giugno del 1615.
Nella Relazione (edita a Udine, nel 1863, per nozze C. Cavalli-Cappello-A. Trento, e, di nuovo, in Relazioni dei rettori veneti in Terraferma, a cura di A. Tagliaferri, I, Milano 1973, pp. 129-42), letta in Senato il 12 giugno 1615, il C. si soffermava sul Monte di Udine, che disponeva "fra capitale, et depositi" di circa 100.000 ducati "dispensati" al 4% sull'ospedale che contava su un'entrata di 8.000 ducati devoluti ai "poveri", sul "fontico" ove erano collocati dagli 8 ai 10.000 staia di "formenti" per servirsene "ne' bisogni dei mesi più penuriosi". E poneva all'attivo della sua luogotenenza la drastica diminuzione delle spese connesse al "reggimento", cui sopperivano gli "assignamenti", fissati a Venezia, sulle entrate della "camera fiscale", che riceveva, grazie al "sussidio et affitti de' dazi", sui 30.000 ducati annui; la regolarizzazione introdotta nella circolazione delle monete con la progressiva eliminazione dei "bezzi negri di pessima qualità che si stampavano in Baviera"; la distribuzione delle armi a millecento cadorini, nonostante l'iniziale riluttanza dei valligiani, timorosi non si trattasse d'un espediente per ledere i loro privilegi. Infine il C. faceva presenti le tristi condizioni del paese, suggerendo d'alleviare il carico fiscale con la concessione di dilazioni: "la contadinanza di quella Patria, parte per la sterilità del Paese et parte per la miseria, et dapocaggine de' contadini, è ridotta in istato tale", da non poter far fronte alle "impositioni ordinarie". Un'altra iattura si abbatteva inoltre sul territorio in quegli anni, già denunciata dal C. nelle sue lettere al Pregadi: "questa patria" - aveva scritto - è "molte volte infestata et travagliata da' banditi", i quali penetravano dai "luoghi arciducali" confinanti per commettere "estorsioni, robberie".
Il C., che figura nel 1615 tra i sessanta del Senato, eletto il18ottobre dello stesso anno censore e il 4 ott. 1620 consigliere pel sestiere di Dorsoduro, è nominato, il 25 ott. 1620, capitano di Padova, ove entra il 27 marzo 1621 per rimanervi sino all'8 ag. 1622.
In questo periodo vigila sulle soperchierie commesse dai soldati nel territorio e punisce duramente le "loro male operationi", che avevano suscitato una pericolosa ostilità da parte degli abitanti; in ottemperanza alle disposizioni senatorie compie, nel settembre-ottobre del 1621, "una general revisione et descrittione di tutti gl'huomini delli comuni", compresi tra i diciotto e i quaranta anni, che risultarono circa 18.000. Tra questi egli ne sceglie 2.800, fra i più validi e i meno vincolati da obblighi familiari, e altri 2.000 di riserva per riempire gli eventuali vuoti tra i primi; naturalmente tralascia di "descrivere", oltre gli "essenti e privilegiati", i "cittadini delle castella, nodari et altre persone civili", non ritenendo "conveniente d'annumerarli con la contadinanza", sebbene "l'uni et gl'altri" fossero di "considerabile qualità et quantità ancora". Provvede che queste cernide siano dotate d'armi sì da esercitarsi "nelle mostre generali", e nomina, per ogni cento uomini, un alfiere "con obligo di farsi del proprio denaro l'insegna". Altra sua cura l'"amministratione" della camera fiscale, che gode di un'entrata di 200.000 ducati annui, di cui 32.000 vanno destinati alla "spesa", inclusa "quella che si fa per il studio"; gli altri 168.000 restano a disposizione delle "pubbliche occorrenze". Assai difficile ottenere dal clero una regolare corresponsione delle decime; ha ottenuto solo 10.000 ducati, e "ne restano a riscuotere" più di 20.000. Si mostra infine preoccupato per la fiacca vita dell'Accademia dei nobili e per la diminuita affluenza all'università di studenti tedeschi, a causa della svantaggiosa "rimessa del denaro per occasione delle valute o pur per li travagli di guerra che sono in quelle parti".
Il C. è quindi, nel 1623, uno dei quarantuno elettori del doge Francesco Contarini e dei sessanta del Senato nel 1624, 1626, 1629; rieletto, il 25 nov. 1626, consigliere pel sestiere di Dorsoduro e nominato, il 26 sett. 1628, capo del Consiglio dei dieci, è quindi podestà di Padova dal 26 ag. 1630 al 5 genn. 1632, oberato da "tutto un spinoso cumulo di pene, et di molestie", come afferma nella Relazione (edita a Padova, nel 1862, per nozze Grimani-Pisani) del 7 genn. 1632.
Il C. infatti tenne il reggimento, "in congiuntura la più infelice che potesse provarsi, con l'oppressione della peste", che, manifestatasi nell'autunno del 1630 (fu introdotta a Padova, pare, da un giovane, tal Andrea Tosato, giunto con la "barca" il 14 ott. 1630), scoppiò violentissima nella primavera-estate del 1631, specie nel giugno-luglio, con una falcidie spietata di vittime, riducendo la popolazione "dalli trenta e più mille che soleva essere a 12.122 solamente". Terribili le conseguenze: chiuso a lungo il Monte, lo Studio privato di diciannove dottori leggenti, i dazi diminuiti fortemente, le entrate ridotte ad un terzo, una spesa, per il pubblico erario, di quasi 366.000 ducati, di cui 57.000 destinata ai bisogni più urgenti e 12.000 "impiegati in elemosine". Esausto il contado, quasi privo di cereali, in preda a preoccupanti manifestazioni di brigantaggio; e se due bande erano state sgominate, una operava ancora nella zona di Castelbaldo.
Da non dimenticare, ad ogni modo, che il C. e il capitano Piero Sagredo vennero praticamente esautorati nella lotta contro l'epidemia dal provveditore alla Sanità Giovanni Pisani, a Padova dal 2 novembre del 1630 al 26 luglio del 1631, che aveva su di essi la "superiorità" in quanto investito del compito di "deliberare in tutte le cose spettanti a questa materia". Questo perché il C. e il Sagredo - quando ancora a Padova nella zona circostante, pur "circondata da contagione quasi universale", la peste era apparsa in forma assai limitata - avevano aderito alla richiesta dei deputati della città d'instaurare un blocco per le merci e le persone provenienti da Venezia.
La decisione aveva irritato il Senato, nonostante i due si fossero preoccupati di assicurare che il divieto d'entrata riguardava "la gente bassa et minuta", non già i "soggetti conspicui... et... tutti quelli ancora che, per alcuna conveniente causa, dovessero haver ragionevolmente l'adito in questa città". Di qui, pertanto, l'invio del Pisani. Il C e il Sagredo, pur accettando (e non potevano altrimenti) la sconfessione delloro operato, non senza dignità così lo giustificavano in una lettera del 3 nov. 1630: "non pensino le Eccellenze Vostre" - scrivevano al Pregadi - che il vietato ingresso, che aveva senz'altro ridotte le proporzioni dell'epidemia, abbia "pregiudicata l'ubertà" di Venezia, "come è stato disseminato"; semmai, "doveria anci haver partorito effetto in tutto diverso", ché, restando "libero il transito" per la Dominante, questa non solo continuava a ricevere derrate dal Padovano, ma vedeva affluire, in più, anche le merci che a Padova non potevano entrare.
In un'altra occasione il C. dimostrò un certo spirito di indipendenza: saputa l'intenzione del Senato di concedere una proroga ai benedettini per la "condotta dell'obbligata loro portione de' formenti", scriveva, il 19 febbr. 1631, una vibrante lettera illustrando la "loro opulenza" e ricordando ch'era suo dovere "sostenere continuo e travaglioso pensiero per suplire alla necessaria provisione di grani che ricerca nel presente tempo l'urgente bisogno di questa città". Né bastava reperire qualche quantitativo di grano; era necessario che il C. si preoccupasse anche della panificazione. Addirittura drammatica, a tal proposito, la sua lettera dell'8 sett. 1631, ove fa presente che di ottanta "pistori", solo undici erano ancora in vita privi però "di operarii" ed impossibilitati a produrre "pane che supplisca al bisogno di questi rimasi afflitti popoli".
Il C. è ancora eletto procurator de ultra il 22 apr. 1632 e provveditor "sopra la Piave", con Lorenzo Contarini e Alvise Morosini, il 18 marzo 1638; a lui andarono alcuni voti nel lungo conclave (ben ventitrè scrutini), dell'inizio del 1646, per l'elezione del successore del doge Francesco Erizzo. Morì all'inizio del 1648.
Il testamento del 15 nov. 1646 ce lo mostra ricco, grazie, anche, alle doti delle mogli. Il contratto di nozze con Marietta Contarini, stipulato il 27 giugno 1591, contempla, ad esempio, una dote di 22.000 ducati: 20.000 da versare in contanti, 1.000 entro un anno, e gli ultimi 1.000 con mobilio di tal valore. Al pari del nonno paterno investì il denaro nell'acquisto di terreni agricoli: il 26 nov. 1608 compra, da Alessandro da Mula, centoventi "campi", "arrativi, piantadi et videgadi... posti a S. Donà di Piave".
Fonti e Bibl.: Arch. di Stato di Venezia, Avogaria di Comun, 54 (Libro d'oro nascite, IV), c. 81v; 90 e 91 (Libro d'oro matrimoni, III e IV), rispettivamente alla c. 61r e alla c. 71r; per una controversia, del 1624, tra il C. e un prete, tal Leonardo Vitelli, Ibid., Avogaria di Comun,Civil, busta 27 n. 1; la relazione del C. sul capitanato a Padova, Ibid., Senato. Relazioni, busta 43; le lettere del C. quale rettore a Belluno, luogotenente del Friuli, capitano di Padova, podestà di Padova, Ibid., Senato. Lettere Udene e Friul, filze 6, 7; Senato. Lettere Padova e Padovan, filze 17, 18, 26, 27; Capi del Cons. dei Dieci. Lettere di rettori e altre cariche, buste 88 (nn. 28-107 passim), 89 (nn. 177-291 passim), 153 (nn. 192, 193), 172 (nn. 169-171); l'originale della divisione, del 1º dic. 1613, di alcuni immobili, arbitro Tommaso Cappello, tra il C. e Girolamo Cappello di Vincenzo e l'originale dell'acquisto dei 120 "campi" a San Donà di Piave e copia dei testamenti, del 15 nov. 1646 e del 1º nov. 1647, e gli estremi del contratto di nozze con Maria Contarini del 27 giugno 1591 (non 1691 come è, erroneamente, scritto), Ibid., mss. P.D. C 670/50, 53; 2501/XXI e 2650/4, c. 122v; Relazioni dei rettori veneti in Terraferma, a cura di A. Tagliaferri, II, Milano 1974, pp. LII, 37; Componimenti volgari,et latini di diversi illustri autori..., in onore del C., a cura di G. Sabbadini, Udine 1615; G. Cortone, Alvida,tragedia... recitata in Udine nel regimento dell'ill.mo... V. C., Padova 1615; N. Cantilena, Vincentiados ll. quatuor quibus... V. C. ...herois veneti laudes elegis numeris adumbrantur, Venetiis 1618; Id., Elegiae,epigrammata,et lyrica carmina, Venetiis 1618, pp. 15-22; Id., Rime in varii soggetti et in diverse occorr. composte, Venetia 1618, pp. 7-12; una lettera al C. in B. Barbato, Lettere di complimento, s.l. né d. (pubblicate assieme alle lettere di A. Gabrieli), p. 184 (la stessa lettera in B. Barbato, Lettere, I, Padova 1625, p. 13); Id., Del contagio di Padova..., Rovigo 1640, pp. 6, 13; G. F. Tomasini, Gynmasium Patavinum..., Utini 1654, pp. 222, 223, 348, 445, 450; Acta nationis Germanicae artistarum (1616-1636), a cura di L. Rossetti, Padova 1967, pp. 104, 107; F. Corner, Ecclesiae Venetae, III, Venetiis 1739, p. 294; E. A. Cicogna, Delle Inscrizioni venez., V, Venezia 1842, p. 43; G. Valentinelli, Bibliogr. della Dalmazia e Montenegro, Zagabria 1855, p. 129 n. 804; Id., Bibliogr. del Friuli, Venezia 1861, p. 49 s. n. 302; G. Cappelletti, Storia di Padova, II, Padova 1875, pp. 266, 281; E. di Manzano, Annali del Friuli, VII, Udine 1879, p. 301; G. Sarmede, Compendio de gli honori fatti al sig. ... V. C. dalla magnifica città di Cividale di Belluno nel fine del suo... reggimento (1599) (nozze Spreti-Fagarazzi), Belluno 1883; G. Occioni-Bonaffons, Bibliogr. storica friulana, I, Udine 1883, p. 20 n. 38; G. Soranzo, Bibliogr. veneziana, Venezia 1885, p. 345, nn. 4151-4154; A. Buzzati, Bibliogr. bellunese, Venezia 1890, pp. 28-29 n. 39, 38 n. 62, 40 n. 64 ss., n. 96; [F. Pellegrini], Continuazione della serie dei podestà e capitani di Belluno (nozze L. Ricci-C. Lanfranchi), Belluno 1895, p. 20; M. Borgherini-Scarabellin, La vita privata a Padova nel sec. XVII, Venezia 1917, pp. 5 s., 53; A. Favaro, Saggio di bibliogr. dello Studio di Padova, I, Venezia 1922, pp. 29-30 n. 158; A. Battistella, I vecchi teatri udinesi, in Atti dell'Accademia di Udine, s. 5, VIII (1928-29), p. 93; L. Alpago Novello, La vita e la opere di L. Lollino, in Archivio veneto, XV (1934), p. 273; A. Da Borso, La cronaca bellunese di G. Crepadoni, in Arch. stor. di Belluno,Feltre e Cadore, X (1938), pp. 943, 944; XV (1943), p. 1375; R. Morozzo della Rocca-M. F. Tiepolo, Cronologia veneziana del Seicento, in La civiltà veneziana nell'età barocca, Firenze 1959, p. 283; A. da Mosto, I dogi di Venezia nella vita pubblica e privata, Milano 1960, pp. 373, 378; A. Simioni, Storia di Padova, Padova 1968, pp. 885-886; G. Mazzatinti, Inventari dei mss. delle Biblioteche d'Italia, VII, p. 137.