CAMPI (Campo), Vincenzo (Vincenzo Antonio)
Terzo figlio di Galeazzo, fratello di Giulio e Antonio, documentato dal 1563 al '91; l'anno di nascita si deve porre induttivamente nella prima metà del quarto decennio del secolo. Sulla giovinezza dell'artista sono preziose le testimonianze dirette del Vasari, che scrive nel 1566: "E Vincenzo anch'egli... avendo assai imparato da Giulio, come anco ha fatto Antonio, è giovane d'ottima aspettazione"; e del fratello Antonio: "Vi è Vincenzo mio fratello minore, il quale non manca col continuo operare, di procacciare fama a sé e alla patria, ove sono le sue opere non meno pregiate di quello che si siano in Milano e infiniti altri luoghi d'Italia, e anco in Spagna, dove molte ne sono state mandate".
La prima notizia del C. si riferisce ai ritratti dei principi (allora fanciulli) Rodolfo ed Ernesto d'Austria che sostarono a Cremona il 21 ott. 1563. Nell'ottobre del 1564 il C. è documentato a Milano (Annali della Fabbrica del duomo, IV, Milano 1881, p. 56) fra 0 artisti giudicati idonei a eseguire le ante dell'organo, al pari del fratello Antonio e di Bernardino Campi; verosimile che egli lavorasse come aiuto di Antonio e Giulio (proprio allora attivi in S. Paolo). Verso il 1568, d'altra parte, il C. avrebbe lavorato come aiuto di Bernardino a Soncino (Lamo). Incontriamo le prime opere datate nel 1569: la Deposizione del Foppone (S. Facio) in Cremona e il Ritratto di Giulio Boccamallon dell'Accademia Carrara di Bergamo. Forse di poco precedenti sono la Deposizione dei SS. Siro e Sepolcro (disegno preparatorio all'Albertina) e i SS. Cosma e Damiano di S. Vito (che conosciamo solo grazie a una copia del Rosino a Torre de' Picenardi). Del 1573 sono i dieci tondi con Profeti (affreschi) nel coro del duomo di Cremona (pagamenti del 18 settembre e del 7 dicembre: Lucchini); e la pala (dispersa) con S. Francesco che riceve le stimmate in S. Spirito di Mantova (copie a Monchio e Desenzano); del 1575 è una Crocifissione ricordata dalla Perotti (1932) a Monza in casa Annoni.
Nel primo tratto del percorso artistico del C. l'eredità manieristica, nella sua complessa accezione cremonese, prevale su alcune precoci aperture naturalistiche che trovano sbocco nel genere del ritratto (il Boccamallon appare più vicino alla ritrattistica del Moroni che a quella - più sottile e insinuante - dell'Anguissola). Ben presto tuttavia, in parallelo alle espenenze di Antonio, il C. si converte radicalmente ad una ricerca di concretezza naturalistica, sulla traccia dei pittori bresciani (nel caso suo, Savoldo soprattutto). Il rinnovamento del pittore, annunciato dal Cristo sorretto dagli angeli di Bordolano e dalla pala della certosa di Pavia con Cristo che sta per essere crocifisso (1575), si manifesta in pieno nel Cristo inchiodato alla croce del Prado (1577), nella Deposizione del Museo di Cremona e nel dipinto con S. Orsola, la Madonna e s. Anna della chiesa della Maddalena (1577). Come e più che in Antonio si colgono in questi dipinti acerbi anticipi di Caravaggio (l'"efficacia dei moti subitanei...", la "violenza fisica nell'azione": Longhi), intrecciati con irriducibili sedimenti romanistici. Tali caparbi tramandi sostanziano l'affresco con i Santi pontefici Fabiano e Sisto eseguito nel coro di S. Sisto a Piacenza dopo il 1576 (data del rifacimento del coro). Poco dopo il C. è attivo a Busseto, dove dipinge due pale: la Trinità con le ss. Apollonia e Lucia (1579), nell'oratorio della Trinità, e L'Annunciazione in S. Maria (1581).
La presenza del C. nei territori farnesiani è significativa perché lascia sospettare la conoscenza dei dipinti di J. Beuckelaer nelle collezioni farnesiane del palazzo del Giardino di Parma. Proprio in quegli anni si apre, infatti, il capitolo della produzione di genere del C., che costituisce il problema chiave della sua personalità. Che in Cremona la pittura fiamminga fosse familiare al punto che la città lombarda può apparire in quel secolo "una piccola Anversa" (Longhi) si spiega non solo con i rapporti diretti con le Fiandre (in Anversa avevano la loro sede più importante i banchieri cremonesi Affaitati; sia Cremona che i Paesi Bassi erano sotto il dominio della casa d'Austria), ma anche con il possibile passaggio di maestri fiamminghi (ad esempio Frans Floris) per Cremona, dove erano - e in parte ancora sono - presenti numerosissimi dipinti nordici (Museo civico). Il C., verosimilmente stimolato anche dai Beuckelaer spediti a Parma da Alessandro Farnese (ora a Capodimonte), s'impegna a innestare sul ceppo del naturalismo lombardo tale cultura fiamminga, sperimentando fatti che saranno ricchi di conseguenze in Italia (Passerotti, Annibale Carracci) e in Spagna (dove l'artista spedì molte opere, anche se forse non vi si recò). Mentre le fonti sottolineavano concordemente la valentia del C. nella pittura di genere (dal Baldinucci, all'Arisi al Lanzi), la ricostruzione di tale aspetto del C. è scoperta critica recente, dovuta soprattutto al De Logu (1931), che riunì un gruppo di cinque tele nel castello Fugger di Kirchheim (Baviera) e due dipinti consimili di Brera. Le tele di Kirchheim furono commesse dal principe Hans Fugger e giunsero in Baviera - via Venezia - nel 1581 (Lill, 1908). Una recente ricognizione (Zamboni, 1965) ha eliminato alcuni persistenti dubbi, chiarendo che quattro dei cinque dipinti sono firmati e due datati (1580 e 1581; la data di un terzo è mutila). I dipinti di Brera (Fruttarola e Pescivendolo)provengono dal monastero di S. Sigismondo, come anche la Cucina dell'Accademia di Brera (Inventario Luccasetti, 1798; Zamboni, 1970) e i Mangiatori di ricotta del Museo di Lione (Bruyn, 1952; altra versione in collezione privata cremonese: Puerari, 1968; una terza versione, al Prado, è, forse replica non autografa). Da accostare al gruppo, la Cuciniera della collezione di A. Marchini (Roma), Cristo in casa di Marta e Maria della Gall. Estense di Modena, la Cuciniera della Gall. naz. di Parma (1589: copia dalla Cuciniera di J. Beuckelaer a Vienna, Kunsth. Museum; v. anche quella nella Gall. Rissi a Sestri Levante; catal. a cura di G. V. Castelnovi, Genova, s.d., p. 133 ill. 13), il dipinto di Frutti e fiori di collezione milanese (Zamboni, 1965; unica natura morta senza figure che ci sia giunta del C.), i Contadini che mangiano del Museo delle Belle Arti di Budapest (Haraszti Takács 1972). Più problematico, il riferimento al C. della Macelleria dei Musei civici di Milano.
Tra le opere di genere disperse ricordate come Vincenzo - o come Campi - negli antichi inventari mette conto menzionare: "quattro teste che ridono con un gatto del pittore da Campo in tavola..." (Inv. Aldobrandini 1603; D'Onofrio 1964); I selvatici nel monastero di S. Sigismondo (Inventario Luccasetti, 1798); Una Fruttaiola in casa Sommi Picenardi a Cremona (Grasselli, 1818); "Campi Vincenzo: un ortolano con frutta ed erbe" nella coll. Salina di Bologna (G. Giordani, 1865): forse lo stesso citato come "Una fruttaiola di Giulio Campo" in una coll. bolognese dal Sacchi (1872); "Campi, Antoine... La Marchand de poulets... La Marchand de fruits" nella coll. Molinari di Cremona (Catalogue..., 1885).
Nel dicembre del 1583, in occasione dei festeggiamenti per l'elezione a cardinale di Niccolò Sfondrati, Vincenzo ornò la sua casa con le insegne degli Sfondrati e con una allegoria di Cremona (Cremona Fedelissima, pp. LXV).
L'ultima impresa del C. è la decorazione ad affresco della chiesa di S. Paolo in Milano (1588). Nelle due volte (quella della chiesa anteriore e quella del coro delle monache) il C. ha immaginato l'Ascensione di Cristo e l'Assunzione della Vergine al centro di un'architettura dipinta di logge, comicioni e balaustre aperta sulla vastità del cielo (alcuni disegni preparatori nella raccolta del Gabinetto disegni e stampe degli Uffizi).
Una serie di apostoli si agita in scorci che ricordano il Correggio. Evidente è il rinnovarsi delle esperienze del Boccaccino, di Giulio e di Bernardino in S. Sigismondo, nella dilatazione illusionistica di uno spazio di chiarezza rinascirnentale. Ma tutti questi motivi di cultura sono rifusi in un discorso impetuoso e originale, senza dubbio da annoverare fra gli esiti più alti del manierismo nell'Italia settentrionale. Gli affreschi portano nella volta della chiesa interna la scritta "Vincentius Campus Cremonensis Pinxit AMLXXXVIII" (Mezzanotte, 1936) che lascia immaginare una decisa prevalenza dell'artista sulla pur probabile collaborazione di Antonio (morto tuttavia nel gennaio 1587). Le fonti, in realtà, accomunano il nome dei due fratelli come autori degli affreschi (Torre, 1674).
Non conosciamo opere del C. più tarde del ciclo di S. Paolo. Il S. Matteo nella chiesa di S. Francesco a Pavia, che porta una data dubbia (1588), potrebbe essere di qualche anno prima.
Il C. morì a Cremona il 3 ott. 1591 (Zaist) lasciando erede - in mancanza di figli - la moglie Elena Luciani; dopo la sua morte, cinque dipinti del C. su pietra di paragone (forse le ultime opere) furono venduti a beneficio dell'Ospedale Maggiore.
Aveva ereditato la casa del padre Galeazzo in contrada Favagrossa (oggi Pallavicino). Il Maisen (1866) ricorda in un ambiente a piano terra alcuni suoi dipinti a fresco, non si sa se gli stessi che lo Zaist ricorda come di Giulio (ad esempio un Ecce Homo). Un affresco sulla facciata con Giove che fulmina i giganti (perduto) era riferito genericamente dalle fonti ai fratelli Campi (Panni). Tra gli allievi del C. è ricordato Luca Cattapane.
Fonti e Bibl.: G. Vasari, Le vite..., a cura di G. Milanesi, VI, Firenze 1881, pp. 497 s.; A. Lamo, Discorso intorno alla pittura... (1584), in G. B. Zaist, Notizie istoriche..., Cremona 1774, I, p. 75; A. Campo, Cremona fedelissima..., Cremona 1585, pp. XLV, LIV, LXV; G. Borsieri, Ilsupplimento della nobiltà di Milano, Milano 1619, p. 21; C. Torre, Il ritratto di Milano, Milano 1674, p. 67; F. Baldinucci, Notizie dei professori del disegno (1681-1696), II, Firenze 1846, pp. 486 s.; Cremona, Bibl. statale, ms. Aa-2-16: D. Arisi, Accademia de' pittori scultori ed architetti cremonesi (inizi XVIII sec.), cc. 105-108; A. M. Panni, Distinto rapporto delle dipinture…, Cremona 1762, pp. 17, 29, 64, 119, 133, 135, 140; G. B. Zaist, Notizie istoriche de' pittori cremonesi, Cremona 1774, I, pp. 179-186; G. Aglio, Le pitture e le sculture... di Cremona, Cremona 1794, pp. 27, 117, 122, 125; Archivio di Stato di Milano, Fondo di Religione P. M., cartella 1793, Invent. del monastero di S. Sigismondo; J. A. Ceán Bermúdez, Diccionario Histórico…, Madrid 1800, I, p. 205; G. Grasselli, Guida st. sacra... di Cremona, Cremona 1818, p. 191; P. Vitali, Le pitture di Busseto, Parma 1819, p. 14; P. Zani, Enc. metodica... delle Belle Arti, I, 5, Parma 1820, pp. 252, 350; B. De Soresina Vidoni, La pitt. cremonese, Milano 1824, pp. 91 s.; G. Grasselli, Abecedario biogr., Milano 1827, pp. 51 s., 227 s.; G. Giordani, Catal. de' quadri a varie scuole raccolte per una Gall. particolare in Bologna, Bologna 1865, p. 17; P. Maisen, Cremona illustrata, Milano 1866, pp. 134, 171, 175, 177, 326; F. Sacchi, Notizie pittoriche cremonesi, Cremona 1872, pp. 85, 91-94, 250-252 (testam. 8 apr. 1587), 258-273 passim; Catalogue de Tableaux formant la Galerie... Molinari de Crémone, Milano 1885, p. 62; L. Lucchini, Il duomo di Cremona, Mantova 1894, II, pp. 110 s.;Ph. G. Lill, Hans Fugger und die Kunst, Leipzig 1905, pp. 136-138; R. Longhi, Quesiti caravaggeschi (1928-29), in Me Pinxit e Quesiti caravaggeschi, Firenze 1968, pp. 129 s.;G. De Logu, Pittori minori liguri lombardi piemontesi del Sei e del Settecento, Venezia 1931, pp. 159-161, 167 s.;A. Perotti, Ipittori Campi da Cremona, Milano 1932, pp. 57-68, 103 s.; A. Venturi, Storia dell'arte italiana, IX, 6, Milano 1933, pp. 887-900; P. Mezzanotte, La chiesa claustrale di S. Paolo in Milano, in Per l'arte sacra, XIII (1936); A. Puerari, La Pinacoteca di Cremona, Firenze 1951, pp. 91 s.; I Fiamminghi e l'Italia (catalogo), Venezia 1951, pp. 20, 43 s.; Mostra del Caravaggio e dei caravaggeschi (catal.), Milano 1951, p. 4; J. Bruyn, Un tableau de V. C. au Musée des Beaux-Arts de Lyon, in Bull. des Musées et mon. Lyonnais, I (1952), pp. 45-50; A. Puerari, Due dipinti di V. C., in Paragone, IV (1953), 37, pp. 41-45; G. A. Dell'Acqua, La pittura a Milano dalla metà del XVI sec. al 1630, in Storia di Milano, X, Milano 1957, pp. 715-717; Antichi disegni e stampe dell'Accademia Carrara di Bergamo, catal. a cura di C. L. Ragghianti, Bergamo 1963, pp. 5 s.; P. Sanchez Canton, Museo del Prado. Catalogo, Madrid 1963, pp. 109-110; R. Roli, in La natura morta italiana (catal.), Milano 1964, pp. 16 s., 23; C., D'Onofrio, Inventario dei dipinti del card. Pietro Aldobrandini compilato da G. B. Agucchi nel 1603, in Palatino, VIII (1964), p. 204; S. Zamboni, V. C., in Arte antica e moderna, 1965, 30, pp. 924-947 (con ulteriore bibliografia); F. Bologna, Natura in posa (catal.), Bergamo 1968, scheda n. 7; A. Puerari, A. M. Panni e G. B. Zaist nella storia della critica artistica di Cremona (II), in Paragone, XIX (1968), 225, pp. 32, 42 s.; S. Zamboni, V. C.: La "Cucina" di S. Sigismondo, in Atti e mem. dell'Accademia Clementina di Bologna, IX (1970), pp. 31-33; A. Puerari, Il duomo di Cremona, Milano 1971, p. 176, figg. 258-61, 266-67; Disegni di manieristi lombardi (catal.), a cura di G. Bora, Vicenza 1971, pp. 32, 47; D. Posner, Annibale Carracci, London 1971, I, pp. 10-12 e passim; M. Haraszti Takács, Un gruppo di pittori di genere lombardo nella seconda metà del Cinquecento, in Actes du XXIIe Congrès int. d'hist. de l'art, Budapest 1969, Budapest 1972, II, pp. 759-64; U. Thieme-F. Becker, Künstlerlexikon, V, p. 47.