BRACA, Vincenzo
Nacque, probabilmente a Salerno, nel 1566. Il suo nome fu in certo modo riscoperto, nella seconda metà del secolo scorso, allorché vennero successivamente alla luce le due sole raccolte di farse ancor oggi note, che consentirono a Francesco Torraca, nel 1879, di chiarire definitivamente diversi equivoci che erano sorti sull'origine e sulla natura delle farse cavaiole, e al tempo stesso di segnalare all'attenzione degli studiosi il nome del B. come quello dell'autore più vigoroso e più notevole di quel particolare genere letterario.
Un passo di "una satira rarissima" di Giambattista del Pino, l'autore del poemetto sul Trionfo di Carlo V, messo in rilievo dal Torraca (Studi, pp. 91 s.), permise innanzi tutto di escludere alcune fantasiose ipotesi che erano state avanzate dal Napoli Signorelli e dal Palermo sull'origine e sul significato del nome delle farse cavaiole: "Fra Salerno e Napoli - scriveva il del Pino verso la metà del Cinquecento - è una città chiamata la Cava; la gente di questa altro traffico non ha, se non di tesser lino, e di murare castella, palagi, case, e cessi per tutto il regno, e la maggior parte di essi è di sì grossa pasta, ch'un Carnasciale sarebbe assassinato da monna Quaresima se non havesse alcun di loro che comparisse nelle farcze... o almeno chi li contrafacesse, imperò che è cresciuta tanto lor grossa piacevolezza che non sol qui in Napoli, ma per tutto il regno, anzi quasi per tutta Italia, le Comedie che si fanno nel Carnesciale, senza un personaggio, che rappresenti alcun di questi da la Cava, han sapor di rancido, perch'essi son eredi in burgensatico de le Comedie Atelane, che facevano ridere a la sgangherata gli uditori del tempo antico". La scoperta delle raccolte di testi cui sopra si è fatto cenno, inoltre, ha permesso di escludere anche l'ipotesi del D'Ancona che le farse cavaiole fossero soltanto "capricci semi-improvvisati, lazzi senz'arte e senz'intreccio, destinati a sollazzare gli ascoltanti colla vivezza dei motti, la prontezza delle arguzie, i sali del dialetto" (Origini del teatro..., p. 214). Si è visto infatti che le farse cavaiole sono vere e proprie composizioni drammatiche, nelle quali non solamente c'è un intreccio, ma c'è una vera e propria architettura, sia pure rudimentale, una coerenza di sviluppo, una vivacità e freschezza di dialogo quali raramente si trovano in altre composizioni popolari.
Purtroppo restano a noi solo una minima parte di queste farse, che dovettero essere numerose se il genere ebbe vita rigogliosa, come pare, per almeno un secolo e mezzo, fra il Cinque e il Seicento. Ma ne restano molte, e forse le migliori, di quelle scritte dal Braca. Delle due raccolte sopra ricordate - i manoscritti IX. F. 47 e XIV. E. 45 della Biblioteca Nazionale di Napoli - la prima, che ha molte composizioni in comune con la seconda, contiene ben trentotto opere del poeta salernitano ed è probabilmente autografa del B., come afferma una nota, scritta da altra mano, in margine al primo foglio interno del codice: "Originali opere del dottor Vinc.o Braca salernitano, mio cariss.o amico che morì in mia casa ammazzato. Dio lo recogli nella sua s.ta Gloria come spero, essendo morto molto cattolicamente remettendo sempre a quello che lo haueua ammazzato, et ordinò che non se querelasse".
Questa breve nota, che conferma l'attribuzione al B. della paternità delle opere contenute nel primo manoscritto - farse, "sautabanchi", intermedi e altre composizioni di vario genere -, è anche l'unica testimonianza di cui disponiamo sulla tragica fine dello scrittore salernitano. Ignoto è pure l'anno della sua morte. Qualche notizia, benché non sempre sicurissima, abbiamo tuttavia sulle vicende precedenti della sua vita, grazie soprattutto alle pazienti ricerche di uno studioso salernitano, Ettore Mauro, che si è giovato di documenti e testimonianze contemporanei o di poco posteriori al B., ma anche, largamente, dei numerosi spunti autobiografici contenuti nelle sue opere.
Pare che il poeta fosse di umilissima famiglia e che giovanissimo sia rimasto orfano di padre. Ma "ancora fanciullo - scrive il Tafuri - fé mostra di un'indole da concepirsene alte speranze. Appena appresi i primi elementi delle lettere, abbandonata la scuola, si diede, così astretto dalla povertà, a procacciarsi il pane. E perché in quei pochi ritagli di tempo che gli avanzavano, siccome il genio il portava, se la spassava colla lettura di alcuni pochi libri di poesia che aveva, con tanta facilità e fervore si diede a poetare anche improvvisamente, ch'empì d'ammirazione non pure i suoi paesani, ma chiunque ascoltavalo".
Gli interessi, e presto i successi letterari, tuttavia, non impedirono al B. di studiare medicina all'Almo Collegio salernitano, dove, fra il 1593 e il 1596, conseguì il diploma di "artium et medicinae doctor". A quel tempo egli doveva essere già sposato con Angiola Corbellese, e doveva avere già avuto due o forse, quattro figli. Probabilmente fu proprio il matrimonio, come suppone il Mauro, a consentirgli di conseguire la laurea: della quale comunque non può dubitarsi, benché non si sia trovata traccia del suo nome nei registri della Scuola di Salerno, perché nel 1596 il poeta si trovava a Napoli ad esercitarvi la professione di medico, e ancora, nel 1612, era fra i membri ordinari dell'Almo Collegio salernitano.
A Napoli il B. dovette andare fra il 1595 e il 1596, appena presa la laurea. Non prima, se nel 1593 era uno degli "Eletti" della università di Salerno, carica che probabilmente esigeva la residenza nella città. Comunque la sua residenza napoletana sembra che non sia stata molto lunga, ché sullo scorcio del 1603 egli inviava da Pasciano, frazione di Cava, all'amico Laurenzo Franco - l'avvocato fiscale Lorenzo de Franchis - un Pronuosteco e Lunario dell'anno 1603:prima delle sue tre libere composizioni, in endecasillabi con rimalmezzo, che recano quel titolo. E a Cava sembra che, almeno da quel momento, egli abbia fissato definitivamente la sua residenza. S'ignorano tuttavia i motivi che possono averlo indotto a stabilirsi proprio nella città che egli aveva eletto a bersaglio della sua pungente satira, come si ignorano, d'altra parte, i motivi che lo avevano spinto prima ad andare a Napoli, quindi ad allontanarsene. Un'ipotesi, formulata dal Mauro, è che vi sia andato per studiare legge: ma è poco probabile, almeno, che abbia conseguito la laurea, ché nessuna traccia del suo nome è nel Liber Iuramentorum e negli Acta doctorum dello Studio napoletano.
Gran parte delle vicende del B. sopra riferite, ricostruite dal Mauro, spesso con congetture, sulla base di pochi documenti e di testimonianze di antichi scrittori, sembrano trovare conferma in numerosi passi delle sue composizioni, nelle quali il poeta appare di frequente, non soltanto come autore, ma anche come protagonista. Per esempio, in quel singolare Processus criminalis de omnibus delictis et malis che fatt'have in personam regie Cave et suo covierno vrachetta de Saijerno annis elapsis (ms. IX. F. 47, ff. 118-29; ms. XIV. E. 45, ff. 51-60), una delle composizioni più notevoli del B., è sembrato al Mauro di trovare conferma sia della nomina del poeta a "Eletto" della università di Salerno, sia dei suoi studi giuridici a Napoli. Numerosi particolari si potrebbero ancora ricavare da altre opere. Senonché è difficile, in ogni caso, distinguere in ciò che egli dice di sé la verità dall'invenzione scherzosa.
Dileggiatore implacabile di Cava e dei suoi abitanti, il B. aveva cominciato presto a beffarsi non soltanto della presunta dabbenaggine di questi, com'era nella tradizione delle "cavaiole", ma anche e soprattutto delle più o meno comiche e sempre inconcludenti reazioni dei Cavesi alle sue satire sferzanti. Nella maggior parte delle sue opere rappresentative - "sautabanchi", intermedi, Processus criminalis,Allegationes in causa Bracae, ecc. - che si distinguono dalle farse per la mancanza di movimento drammatico, il poeta sembra che si diverta a rappresentare i Cavesi furenti contro di lui, tormentati dall'incubo della sua satirapreoccupati sempre e soltanto di difendersi dalle beffe di cui egli li faceva oggetto.
Nella rappresentazione parodistica di un mondo provinciale in cui il problema più importante pare che sia la fiera rivalità di prestigio con Salerno, alla quale Cava vorrebbe contendere il primato, anche la presenza dell'autore nella farsa ha una funzione puramente caricaturale e satirica.
Prescindendo dalle composizioni non teatrali - Arcadia Cavota,Canzoni, Capitoli, Pronuosteci -, chesono tra le cose meno valide del poeta salernitano, risultati migliori egli raggiunge non tanto nelle farse propriamente dette, o nei "sautabanchi", bensì in alcuni intermedi che lo hanno come protagonista, nelle Concrusones et Cavonensium opiniones Vincentij Braca, nelle Allegationes in causa Bracae, e soprattutto in quel Processus criminalis che è forse la migliore delle sue composizioni.
È la presenza fisica dell'autore che dà vivacità e movimento all'azione scenica, anche quando manca un vero e proprio intreccio drammatico. Ogni operetta è un episodio, ma sempre nuovo, e sempre diverso, di quella guerra implacabile che il B. pare avesse dichiarato ai Cavesi, che spingeva questi a immaginare e mettere in atto tentativi di vendetta che regolarmente fallivano, e dava infine al poeta l'occasione e il pretesto di nuove beffe. Nelle farse propriamente dette, invece, nelle quali manca questo eccezionale motivo di interesse, la storiella ridanciana non acquista valore di satira. La povertà dell'intreccio, la debolezza della struttura - difetti comuni, del resto, alle altre composizioni del B. - vengono qui in evidenza. Sembrerebbe che il poeta scopra i suoi limiti: che sono però, in definitiva, i limiti di quel particolare genere di letteratura, al quale anzi il B., con la sua satira originale, ha saputo dare nelle altre composizioni nuovo e diverso valore.
Sulla cronologia delle opere del B. - ad eccezione, com'è ovvio, di quelle poche che recano la data di composizione - mancano elementi sicuri e sembra difficile accettare le congetture, spesso palesemente incaute, formulate dal Mauro. Prescindendo dalle singole opere, tuttavia, si può ritenere con una certa approssimazione che il periodo più fecondo della sua attività di scrittore sia quello compreso fra l'ultimo decennio del Cinquecento e il primo del secolo seguente, o poco più tardi. Dopo quell'epoca, d'altra parte, mancano completamente notizie del poeta salernitano. L'ultima data certa della sua vita è il 1614, quando scrisse un Pronuosteco e un Buonzegnale (ms. IX. F. 47, ff. 165-170r), dedicati rispettivamente agli amici Pietro De Ruggiero e Francesco Antonio De Luise: non il 18 febbr. 1625, come afferma il Mauro (pp. 38, 190), il quale vorrebbe rivendicare al B. la paternità di tutte le "Opere cavote" di entrambi i manoscritti. Quest'ultima data si legge in calce ad una "Lettera de 'a Cava alla Repubreca de Genua" contenuta nel solo codice non autografo (ms. XIV. E. 45, f. 62), ma nulla prova che questa come le altre due o tre operette contenute nel solo manoscritto XIV. E. 45 e non esplicitamente attribuite a lui siano lavori del poeta salernitano. Sembra quindi infondata l'affermazione del Mauro che il B. fosse certamente ancora in vita nell'anno 1625.
Opere: Le opere del B. contenute nel ms. IX. F. 47 si possono classificare come segue: a) composizioni di natura drammatico-satirica: farse, "sautabanchi", intermedi, Concrusones et Cavonensium opiniones,Processuscriminalis e Allegationes in causa Bracae;b) composizioni di natura idillico-giocosa: Arcadia Cavota e canzoni; c) composizioni di natura didascalico-satirica: capitoli e Pronuosteci. I testi delle farse, di alcuni intermedi, delle Concrusones, dei Processus criminalis e dell'Arcadia Cavota sono riportati nel ms. XIV. E. 45, ma talvolta con notevoli varianti. Va notato infine che nel verso del primo foglio del manoscritto autografo è riportato un indice di "Opere cavote che mancano", che elenca i titoli di tre farse, un "sautabanco", quattro intermedi, "dudeci cartielli de mascherate", "dieci prologhi" e "tre littere amorose".
Delle "Opere cavote" contenute nei tre manoscritti sono state pubblicate fino ad oggi solo tre farse: La Ricevuta dell'Imperatore alla Cava dal Torraca, in appendice al suo lavoro citato; La farza della Maestra, col titolo La maestra di cucito, dal Croce, nell'Arch. stor. per le province napolet., n.s., XIV (1928), pp. 156-89;la Farza cavajola della Scola daG. Trevisani, in Teatro napoletano, I, Parma 1957. Un'edizione critica di tutte le principali opere contenute nei due manoscritti è in preparazione a cura di A. Mango.
Bibl: Sul B. e sulle "farze cavajole" in genere si possono consultare: Napoli, Bibl. Brancacciana, Cronica di D. Camillo Tutini, ms.; L. Allacci, Drammaturgia,divisa in sette indici, Roma 1666; N. Toppi, Biblioteca napoletana et apparato a gli uomini illustri in lettere di Napoli e del Regno, Napoli 1678, pp. 310 ss.; Giornale dei Letterati di Roma, VI (1678), f. 629; A. Minturno, L'arte poetica, Napoli 1725; B. Tafuri, Istoria degli scrittori nati nel Regno di Napoli, Napoli 1770, t. III, II, p. 105; P. Napoli Signorelli, Vicende della coltura nelle Due Sicilie, Napoli 1810, III, pp. 538 ss.; F. Palermo, I manoscritti palatini di Firenze, Firenze 1860, II, p. 590; A. D'Ancona, Origini del teatro in Italia, Torino 1891, III, pp. 95 ss.; E. Malato, La poesia dialettale napoletana. Testi e note, Napoli 1959, I, pp. 51 ss., 493 ss. e passim. Utili elementi si possono ancora trovare nel Novellino di Masuccio Salernitano (nov. XIX) e nella Storia della Cava di V. Adinolfi, Salerno s.d.
Fondamentali, sul B., sono tuttavia il saggio di F. Torraca, Le Farse Cavaiole, pubblicato nel 1879 e poi ristampato nel volume Studi di storia letteraria napoletana, Livorno 1884, pp. 85 ss., 96 ss.; il volumetto di E. Mauro, Un umorista del Seicento: V. B. salernitano - la vita e gli scritti, Salerno 1910; e da ultimo A. Mango, V. B. e la Farsa Cavaiola, in Annali di storia del teatro..., 1966, pp. 13 ss. Utili osservazioni si possono infine trovare nei volumi di B. Croce: Saggi sulla letteratura italiana del Seicento, Bari 1948, pp. 286 s.; I teatri di Napoli dal Rinascimento alla fine del sec. XVIII, Bari 1947, pp. 16 ss.; Aneddoti di varia letteratura, I, Bari 1953, pp. 197 ss.