BERRÒ, Vincenzo
Nato nel 1594 da famiglia bolognese, il 18 apr. 1633 fu ammesso come ufficiale nella compagnia della guardia di Cristina di Savoia, con il solo obbligo di "comparire alle mostre". Nella primavera del 1638 la reggente lo inviò a Parigi con il compito di trattare affari secondari di natura procedurale ma fin dagli inizi del 1639, il B., già guadagnato alle tesi del Richelieu nella vertenza per l'allontanamento del Monod, non temeva di esercitare, in corrispondenza con Filippo d'Agliè, la sua parte di pressioni perché l'influente consigliere della duchessa fosse definitivamente estromesso dalla scena politica. Dal luglio 1642 a disposizione dell'agente speciale di Madama reale, Mondino, fu iniziato convenevolmente alla sottile pratica dei maneggi di corte. La sua fama non doveva essere allora del tutto specchiata, e manifesta era stata durante le controverse relazioni di Cristina con Parigi, nel corso della guerra con i principisti, la sua propensione a farsi portavoce interessato, e talora oltre la discrezione delle ingerenze politiche del cardinale. Il B. era tuttavia uomo cui non facevano difetto, dietro il bel garbo, l'intraprendenza e una certa abilità manovriera, e la reggente, assicuratasene la fedeltà con sostanziosi donativi, si avvalse di lui nel 1643 per saggiare, sulla base del vario atteggiarsi di notabili e dignitari, la misura degli umori contrastanti della corte parigina. Dalla primavera del 1644 lo affiancò a G. Villa nelle trattative a Roma sui preliminari del congresso di Münster; gli affidò poi incarichi di raccordo con i suoi agenti presso le corti italiane, pur evitando d'inserirlo nel vivo del gioco diplomatico. Gentiluomo di bocca di Carlo Emanuele II, il B. trovò modo di rafforzare a Torino la sua posizione personale grazie alla familiarità col giovane duca e alla protezione accordatagli dal marchese di S. Tommaso. Dal giugno 1654 era di nuovo a Parigi a collaborare questa volta con l'abate Amoretti. Tornato questi in Piemonte, il B. fu scelto (febbraio 1655) a succedergli nell'incarico di agente speciale.
Libero infine da impacci e non mortificatoda mandati troppo vincolanti, il B. diede prova di non essere da meno del suo antecessore, riuscendo a crearsi con un abile dosaggio di favori quelle condiscendenze che gli avrebbero permesso, già alla fine dell'anno, di entrare in dimestichezza con lo stesso Mazzarino, da cui era ammesso "pel far suo insinuante… persino nel chiassolino del letto". Aveva agio così di ragguagliare la reggente sui consueti intrighi di fazione e di intrattenerla, con mano più felice, sugli scandali e sui volubili amoreggiamenti del sovrano. Fin dall'inizio il B. aveva accentrato gran parte della sua attenzione sulla parabola ormai discendente della relazione fra Luigi XIV e Olimpia Mancini e, ad avventura conclusa, aveva saputo rappresentare fin dal novembre 1655, con un'accortezza che non doveva dispiacere allo stesso Mazzarino, i vantaggi (in primo luogo la restituzione della cittadella di Torino) cui poteva dar luogo un matrimonio fra la nipote del cardinale e il principe Eugenio di Carignano. Agli sponsali celebrati nel febbraio 1657 il B., a cui Cristina si era appoggiata a preferenza dell'ambasciatore Della Rovere per dare agli approcci un carattere privato, ebbe riconosciuta una posizione di riguardo, dando egli stesso lettura del contratto di matrimonio; il 17 marzo poi fu insignito dell'onorificenza dei SS. Maurizio e Lazzaro. In quell'anno il B. fu al centro, in occasione dell'ingresso dell'ambasciatore d'Inghilterra, di un clamoroso contrasto per ragioni di cerimoniale con il ministro olandese, che lo espose a duraturi risentimenti.
Lasciata Parigi nell'estate del 1659, il B. fu ancora corrispondente da Bologna, Roma e Venezia, e fu anche impiegatò in un breve viaggio di rappresentanza in Inghilterra; il 22 dic. 1661 Carlo Emanuele gli assicurò un posto a corte, con la nomina a gran maresciallo di logis. In tale ufficio organizzò a Chambéry, tra il gennaio e l'aprile 1663, le accoglienze delle autorità locali alla sposa del duca, Francesca d'Orléans. Il B. aveva ottenuto il 26 dic. 1662 una porzione (quella del luogo di Nocetto) del feudo di Ceva, con il relativo titolo marchionale. Più fortunato di tanti altri diplomatici di rango inferiore, riuscì a coronare la sua carriera senza dover far fronte a particolari rancori, coltivando anzi con assiduità l'amicizia di influenti dignitari, quali il San Maurizio e il marchese Francesco Villa, con il quale fino al 1670 intrattenne rapporti epistolari di natura riservata. Il 3 apr. 1677 alienò parte della sua giurisdizione di Nocetto (sulla base della quale, il 2 marzo 1665, era stato accordato il titolo comitale a un suo parente bolognese, Giovanni Agostino) alla famiglia degli Arcelli. Morì nel 1678.
Fonti e Bibl.: Arch. di Stato di Torino, Lettere Ministri Francia, mazzi 62, fasc. 3; 64, fasc. 3; 67. fasc. 5; Lettere Particolari, B, mazzo 49, 1642 in 1669; S, mazzo 32, 1638 in 1639 (lettere del B. al conte Filippo S. Martino d'Aglié); Sezione Riunite, Biglietti Regi, art. 692, reg. 2, 1659 in 1696, f 302; Controllo Finanze,regg.: 1631 in 1632, f. 78; 1632 in 1633, 2, f. 198; 1638, f. 11; 1642, f. 140; 1642 in 1643, f. 106; 1643 in 1644, f. 245; 1651, f. 211; 1661 in 1662, f 70; 1664 in 1665, ff. 220 e 230; 1677, 1, f. 140; Patenti Piemonte, reg. 73, ff. 33 v, 34; Claretta, Storia del regno e dei tempi di Carlo Emanuele II, Genova 1877, I, pp. 209, 211-213, 215-217, 223-226; A. Manno, Il patriz. subalp., Firenze 1906, II, p. 261.