BENEDETTI, Vincenzo
Diplomatico francese, nato a Bastia (Corsica) il 29 aprile 1817, morto a Parigi il 28 marzo 1900. Iniziò la sua carriera come console di Francia in Egitto e nel 1848 si trovava in tale qualità a Palermo. Nel 1851 fu inviato come primo segretario a Costantinopoli, e, durante le giornate critiche della guerra di Crimea, ebbe occasione di sostituire l'ambasciatore come incaricato d'affari, riuscendo ad attirare sopra di sé l'attenzione del ministro degli Affari esteri, che lo chiamò a fungere da segretario al congresso di Parigi, dove fu posto in contatto col Cavour, manifestando una schietta simpatia per le aspirazioni italiane. Fu mescolato alle delicate e spinose trattative con le quali Napoleone III, in cambio della protezione accordata al gabinetto di Torino nella sua politica annessionistica, volle assicurare alla Francia Nizza e Savoia. Dopo la morte del Cavour, Napoleone volle manifestare la sua simpatia al giovane regno d'Italia, al quale aveva dovuto negare un formale riconoscimento. Il ministro degli esteri Thouvenel fu indotto dai due rappresentanti officiosi del re Vittorio Emanuele II a Parigi, Francesco Arese e Ottaviano Vimercati, a inviare il B. a Torino come rappresentante dell'imperatore dei Francesi presso il re d'Italia. Il B. giunse a Torino nell'estate del 1861, e il Ricasoli, che era succeduto al Cavour, gli confidò i suoi propositi di riprendere le trattative con la curia romana. Il ministro francese si incaricò di caldeggiare il programma del gabinetto di Torino presso l'imperatore Napoleone III. Reduce da un viaggio in Francia, il B. spiegò nell'ottobre dello stesso anno un'intensa attività diplomatica per trattenere il Ricasoli da ulteriori passi a Roma, che prevedeva infruttuosi. Nell'inverno, il Rattazzi si recò a Parigi, e il ministro inglese a Torino, sir James Hudson, si allarmò dell'intimità dell'ex ministro piemontese con la corte imperiale, accusando, probabilmente a torto, il B. di adoprarsi per sostituire il Rattazzi al Ricasoli alla direzione del ministero italiano. Dal canto suo, il B. sospettava, con altrettanto poco fondamento, che il Ricasoli intrigasse col ministro prussiano a Torino, conte Brassier de Saint-Simon. Lo sbarco minacciato dai garibaldini sulle coste dalmate dava pure occasione nel 1862 a moniti del B., che dovette inoltre intervenire per mandato del suo governo in difesa dei conventi francesi colpiti dalla legislazione italiana. Intanto, nel maggio del 1862 il cardinale Antonelli, segretario di stato del pontefice, respingeva le proposte presentategli dal marchese de La Vallette in nome di Napoleone III per un modus vivendi temporaneo fra la Santa Sede e il nuovo regno d'Italia. Il re Vittorio Emanuele II in quel torno di tempo si recò a Napoli e il B. ve lo accompagnò, sicché un monito fu in tal guisa rivolto da Napoleone III ai partigiani dei Borboni che non rifuggivano dal fomentare l'agitazione nell'Italia meridionale. Il Rattazzi, salito al potere, sembrava tener conto dei consigli amichevoli del B. e la pronta repressione del tentativo armato di Garibaldi a Sarnico dava l'illusione di una ferma resistenza ai moti del partito d'azione. Dopo il nuovo tentativo garibaldino di Aspromonte, Napoleone III credette necessario dar garanzie all'opinione pubblica conservatrice e, ritenendo fallita la sua politica di conciliazione, ne sostituì gli strumenti, fra i quali il B., che per designazione del nuovo ministro degli esteri francese, Drouyn de Lhuys, passò come inviato francese a Berlino. Si trattava di fronteggiare il conte di Bismarck, che, se da un lato comprendeva la necessità di assicurarsi la benevolenza di Napoleone III nello svolgimento dell'audacissimo suo programma di egemonia della Prussia in seno alla confederazione germanica, dall'altro, quando si trattava di precisare i compensi, preferiva a ogni altra soluzione quella dell'annessione alla Francia del regno belga, che avrebbe scavato un abisso fra Napoleone III e l'Inghilterra. Il B. non fu immune dalle illusioni che accecarono il suo sovrano nei rapporti col Bismarck. Quando, nell'estate del 1866, la vittoria militare prussiana si disegnò più completa del previsto, il B. ebbe l'ordine da Napoleone III di raggiungere in Moravia il quartier generale prussiano. Ottenne una sospensione d'armi di tre giorni e seguì Guglielmo I a Nikolsburg, ove fu firmato l'armistizio. Il B. fu incaricato dal Drouyn de Lhuys di insistere col Bismarck per i compensi. Accennò successivamente alla sponda sinistra del Reno, al Lussemburgo e al Belgio, lasciandosi indurre a consegnare al suo interlocutore memoriali di cui poi si valse la diplomazia prussiana per convincere le cancellerie europee dell'avidità di Napoleone III. Dopo essersi così compromesso, il B. vide respinte dal Bismarck l'una dopo l'altra le sue proposte, e dovette tenersi pago di qualche attenuazione delle condizioni imposte dalla Prussia ai piccoli stati germanici e, alquanto più tardi, dell'evacuazione della fortezza del Lussemburgo da parte della guarnigione prussiana. Dopo il nuovo infelice tentativo garibaldino di Mentana, il B., per incarico del suo governo, propose invano a Berlino la riunione di un congresso per trattare la questione romana. L'ambasciata berlinese del B. si concluse, malgrado il suo zelo, in una terribile catastrofe, quando, nel luglio del 1870, incaricato dal suo governo di chiedere al re di Prussia impegni contro la ripresentazione eventuale della candidatura di suo cugino al trono di Spagna, ottenne bensì personalmente da Guglielmo I l'approvazione del ritiro della candidatura, ma si vide giocato dal Bismarck, che presentò quelle conversazioni di Ems come un'ingerenza arbitraria della Francia respinta sdegnosamente dal monarca prussiano. Il B. aveva evitato di dare alle sue conversazioni dirette col re di Prussia ai bagni di Ems il carattere di un ultimatum, ma la pubblicità data dal Bismarck alle ulteriori resistenze del suo sovrano spinsero, come era desiderio del cancelliere prussiano, Napoleone III a dichiarare la guerra. Sin dal 1871 il B., rientrato nella vita privata, pubblicò il libro apologetico: Ma mission en Prusse. Nel 1889 e nel 1891 riprese la penna scrivendo articoli di politica estera nella Revue des Deux Mondes. Più tardi diede alle stampe, nel 1895 e nel 1897, i suoi Essais diplomatiques.