CHIARUGI, Vincenzio (Vincenzo)
Nacque ad Empoli il 17 febbr. 1759 dal medico Anton Gregorio, di famiglia mercantile d'origine pratese, e da Margherita Conti, che morì per il parto. S'iscrisse molto giovane alla facoltà medica di Pisa, dal momento che si addottorò summa cum laude appena ventenne (1779), per passare poi all'ospedale fiorentino di S. Maria Nuova per compiere il periodo di pratica richiesto per l'abilitazione alla professione, che ottenne nel giugno del 1780. Come si vede, l'intera sua formazione medica, teorica e clinica, si svolse entro la cultura e l'assetto istituzionale della medicina toscana (anche in seguito non sono attestati suoi viaggi d'un qualche rilievo); ed è perciò in relazione ad essa che va misurato il contributo innovativo del C., mentre raffrontarlo in termini astratti ed assoluti a quelli di altri contemporanei sulla base d'un generico terreno "illuministico" può portare a giudizi di superficie e fuorvianti. Probabilmente, conseguita l'abilitazione, il C. restò a S. Maria Nuova, dato che nel 1782 vi fu nominato medico astante (straordinario), e poco dopo sovrintendente per il reparto maschile; nel 1785, quando all'ospedale fiorentino fu aggregato quello di S. Dorotea, riservato ai malati di mente, egli vi fu distaccato.
Il governo di Pietro Leopoldo, partecipe anche in questo del generale moto culturale ed istituzionale illuministico, aveva promulgato fin dal 1774 la "legge sui pazzi", documento legislativo tra i primissimi in Europa in cui il riformismo razionalistico approda ad una codificazione dei rapporti tra la società ed il malato mentale e dei modi del suo ricovero. La codificazione giuridica della forma moderna dell'istituzione psichiatrica non aveva però comportato immediatamente una sua netta qualificazione sanitaria e di recupero: quando il C. vi andò, S. Dorotea, come la quasi totalità delle istituzioni analoghe in Europa, era essenzialmente un reclusorio, con i degenti tenuti in cella in condizioni tali che determinavano una mortalità elevatissima. Questo è il fondo ambientale da cui emergerà la riforma chiarugiana, che, mentre tende a precisare la nosografia psichiatrica sulla base dell'organicismo della medicina toscana con le sue ascendenze iatromeccaniche e rediane, distaccandola così da connotazioni animistiche e superstiziose, attua coerentemente l'estensione di questo atteggiamento alla pratica clinica, vedendo nel disturbato mentale esclusivamente un malato e puntando ad una netta caratterizzazione ospedaliera dell'istituto psichiatrico.
Il C. svolse il suo incarico a S. Dorotea nel triennio 1785-88, durante l'allestimento dell'ospedale Bonifazio, e nel maggio 1788 assunse la direzione di quest'ultimo (costituito, con denominazione significativa d'un clima di transizione, in "Ospedaledella carità per dementi") col titolo di primo infermiere. La maggiore spaziosità e salubrità dei locali, con annessi anche spazi verdi, e l'autonomia conseguita consentirono al C., pur nella ristrettezza dei mezzi (l'organico dei dipendenti comprendeva cinque persone), di impostare un vero programma clinico per i circa centocinquanta degenti iniziali. I suoi compiti erano resi complessi anche dal fatto che il Bonifazio era stato destinato a "pazzi e inguaribili", cioè ad una totalità eterogenea di malati accomunati dalla sola estraneità dei fatti morbosi ai mezzi curativi dell'epoca, e perciò esclusi da un "normalità" clinica. Tra gli inguaribili predominavano gli affetti da dermatosi croniche, in particolare da malattie veneree e da altre a sfondo nutritivo e socioeconomico, come la pellagra, per la quale il C. fu tra i primi a sostenere e realizzare in parte l'internamento sistematico. L'accostamento, nel Bonifazio, di malati mentali ad altri organici determinò la tipica dualità dell'opera del C., che per la quasi totalità consta di scritti psichiatrici o dermatologici, e consentì al suo sguardo affinato all'osservazione psichiatrica di cogliere determinate manifestazioni psichiche di affezioni organiche come la sifilide o la pellagra. Il quadro organizzativo della sua azione fu esposto nell'ampio Regolamento dei Regi Spedali di S. Maria Nuova e di Bonifazio, da lui redatto su richiesta governativa (Firenze 1789).
Il complesso di innovazioni contenute nel Regolamento non fu elaborazione originale del C., ma corrisponde a spinte che in quegli anni venivano affermandosi in varie zone d'Europa; per questo è stato opportunamente notato che quesiti assoluti del tipo "chi per primo tolse i ceppi ai malati mentali" o "chi per primo eliminò le punizioni corporali" rappresentano questioni malposte, in quanto vedono in singole iniziative e nei loro autori degli agenti storici primari e non i punti d'emergenza d'un processo graduale e diffuso. Ciò spiega anche come alle numerose rivendicazioni italiane della priorità del C. nell'adozione di criteri umanitari e sanitari se ne siano contrapposte altre estere, indicanti iniziative analoghe e forse precedenti alle sue, particolarmente in Inghilterra. Comunque è certo che, su un piano ampio di storia ospedaliera e, ancora più latamente, su quello della costituzione di una moderna figura pubblica del malato mentale il Regolamento del C. rappresenta il primo testo in cui il riformismo settecentesco giunge a permeare di sé un'area della vita associata rimasta a lungo ancorata a consuetudini prescientifiche. Nel concreto, il testo afferma come prioritario, ai fini sia etici sia immediatamente terapeutici, il rispetto del malato sotto l'aspetto fisico e psicologico; da ciò trae il divieto dello sfruttamento lavorativo e delle pene corporali, sotto specie punitiva o equivocamente curativa. La finalità sanitaria è fortemente accentuata rispetto a quella cautelativo-detentiva: se risulta che il C. ricorse ancora a legamenti diurni per i malati più agitati, e conservò come normali per tutti quelli notturni, anche per l'esiguità del personale di sorveglianza, egli eliminò pratiche quali l'immersione in acqua fredda e soprattutto rese obbligatoria e continua la presenza nel nosocomio di un medico e la sorveglianza dei sanitari sul comportamento del personale, l'igiene degli impianti e la qualità dei pasti. Stante l'accennata eterogeneità dei casi ricoverati nel Bonifazio, il C. li divise in reparti (incurabili, invalidi, dementi, malati cutanei), distinguendo i pazienti psichiatrici in classi di trattamento differenziate per censo ed anche, sembra, in gruppi ordinati secondo i criteri nosologici che egli stesso veniva elaborando.
La suddivisione dei pazienti in gruppi con sintomatologia affine, premessa all'effettivo intervento terapeutico, sposta il discorso dall'aspetto clinico-organizzativo del lavoro del C. a quello propriamente scientifico. Questo si rinviene nell'opera in cui tentò di sistematizzare l'esperienza maturata al Bonifazio, i tre volumi del Della pazzia in genere ed in specie. Trattato medico-analitico con una centuria di osservazioni (Firenze 1793-94; una seconda edizione fiorentina, limitata al primo volume, si ebbe nel 1808; ugualmente ristretta al primo volume più l'appendice di casi clinici l'unica traduzione, quella lipsiense del Weigel del 1795, alla quale vanno principalmente ricondotte le scarse reminiscenze estere del lavoro del C. nella psichiatria dell'Ottocento): l'opera può ritenersi il primo trattato di psichiatria modernamente inteso, in quanto mirante ad una sintesi complessiva su di una pura base osservativa ed articolato sui piani psicologico, fisiologico, nosologico e clinico.
Dei tre volumi del trattato, il primo considera i caratteri generali dell'alienazione mentale, studiandosi di distinguerla da alterazioni momentanee d'altra origine ed inquadrandola in una psicologia di base eclettica e sostanzialmente tradizionale; il secondo considera gli aspetti clinici, ed il terzo comprende la nosologia e cento storie di pazienti. Lo stesso carattere globale dell'opera porta il C. ad esaminare la precedente letteratura, che gli pare rapsodica e inaccurata, quando non del tutto aliena da un concreto approccio ai fenomeni; c'è quindi in lui la consapevolezza di trovarsi al momento storico di maturazione dell'istanza osservativo-sperimentale per una particolare classe di affezioni. Attraverso una analisi delle operazioni mentali che dipende, per l'aspetto propriamente psicologico, da categorizzazioni aristoteliche e, quanto alla fisiologia, da un franco meccanicismo derivante sia dalla tradizione iatro-meccanica pisana sia dall'impronta materialistica lasciata da A. Cocchi nella scuola di S. Maria Nuova (fatto salvo il presupposto di un'anima semplice ed immortale come agente proprio di volizione ed intellezione), il C. giunge ad una definizione della "pazzia" che è differenziale rispetto a forme transitorie di delirio indotte da stati organici macroscopici e noti: essa consiste in "errori di giudizio e di raziocinio, procedenti da una affezione idiopatica del sensorio comune, senza accompagnamento di febbre primitiva, o di affezione comatosa". Di tale alterazione durevole riconosce tre forme essenziali mutuate dalla tradizione medica (ed in particolare, per sua stessa dichiarazione, dal Cullen, i cui lavori neurologici erano noti nella scuola di S. Maria Nuova), ma che egli tende a riempire di contenuti osservativi più precisi, modificandone dei tratti ed avviandone lo spostamento dal piano speculativo a quello empirico: melanconia, mania e amenza. Una certa storiografia rivendicativa e nazionalistica ha teso a lungo ad identificare queste entità morbose con quelle riconosciute dalla moderna tipologia, vedendone così nel C. la scoperta o l'intuizione, mentre è stato opportunamente notato che esse, pur riferendosi ad aree comportamentali corrispondenti a quadri morbosi oggi ammessi (così si possono istituire paragoni tra "melanconia" e forme depressive paranoidi, "mania" e ciclotimia), non sono loro esatti equivalenti. Si tratta piuttosto, com'è storicamente comprensibile, di tentativi classificatori su base empirica ma per un verso legati alla tradizione, per l'altro condizionati da concezioni neurologiche e particolarmente psicologiche a carattere ancora generico ed aprioristico e di matrice per lo più filosofica. L'importanza del tentativo del C. non sta quindi nell'ottenimento di risultati oggi riconosciuti validi ma nell'essere un primo esplicito passo verso la costituzione di una nosologia psichiatrica autonoma.
Il suo lavoro va giudicato in riferimento a una precisa matrice storica, quella della cultura medico-scientifica toscana, del secondo Settecento. Quest'ultima era erede, in senso sia tecnico sia ideologico, del galileismo biologico e della iatrofisica tardosecenteschi, ma sul piano propriamente medico-fisiologico non aveva puntualmente seguito certi progressi europei ed italiani; filosoficamente, poi la netta dissociazione tra "fisico" e "mentale" esistente, fors'anche per cautele religiose, nella iatrofisica italiana fin dal Borelli aveva dissuaso dall'estensione al mentale del materialismo medico, così come la ridotta penetrazione dell'empirismo (in particolare lockiano) aveva consentito la sopravvivenza didattica di forme di psicologia sostanzialistica, giungenti fino all'ammissione chiarugiana dell'anima spirituale come centro proprio dell'attività intellettuale Quell'ammissione contrasta col suo organicismo ed ostacola l'estensione di principio dell'approccio medico al fatto psicotico, costringendo il C. ad adottare soluzioni compromissorie nella prassi clinica. L'impasse ravvisabile nel C. è dunque lo sbocco di vari fili evolutivi dipanatisi nel suo ambiente intellettuale, e non attribuibile a demeriti o incertezze soggettivi.
I limiti propriamente tecnici dell'anatomo-fisiologia chiarugiana si colgono sia nell'opera maggiore sia negli scritti medici, quasi tutti posteriori: dalle Lettere sopra un caso di mal venereo (Firenze 1783) al Saggio teorico-pratico sulle malattie cutanee sordide osservate nel R. OspedaleBonifazio di Firenze (ibid. 1799; 2 ediz., 1807), ai tre volumi di La fisica dell'uomo,ossia corso completo di medicina ad uso degli Ufficiali di Sanità (ibid. 1811-12), uno dei primi manuali italiani di medicina costruiti in modo sistematico ed abbracciante, anche se su un piano didattico più che di ricerca, l'intera estensione della cultura medica dell'epoca. A questi lavori è infine da aggiungere il Saggio di ricerche sulla pellagra (ibid. 1814), che contiene spunti verso l'interpretazione di questo male come dovuto, nelle manifestazioni osservate dal C. in Toscana, a monodieta da mais.
In tutti questi scritti è cospicuamente assente l'anatomia microscopica, e in genere la fisiologia dell'autore vi risulta ferma ad autori come Haller e J. Brown, anteriori di qualche decennio. Ciò può spiegarsi solo in parte con la natura prevalentemente clinica degli interessi del C., e traccia comunque dei limiti oltre i quali le sue proposte non possono estendersi. I fatti accennati consentono d'impostare in una corretta luce storica il problema del ruolo da lui esercitato nella genesi del pensiero psichiatrico moderno, e particolarmente quello del rapporto logico e cronologico del suo lavoro con quello del Pinel in Francia, che con esiti anche fuorvianti ha costituito il topos degli studi critici. La discussione su questo rapporto, che ha storia più che secolare (se ne veda una ricostruzione nello scritto della Berti Bock) assunse già nell'Ottocento un aspetto essenzialmente rivendicativo da parte italiana, accentrato sulla constatazione che buona parte delle iniziative e concezioni del Pinel, il cui Traité médico-philosophique sur l'aliénation mentale è del 1801, si trovano in vario modo anticipate dal Chiarugi. Ed è certo che la scarsa diffusione estera dell'opera chiarugiana contribuì a far vedere nel lavoro del Pinel un salto assoluto di qualità che si fa meno evidente ove si tenga conto del contributo del Chiarugi. Naturalmente in questa diversa risonanza giocò il diverso potenziale culturale complessivo dei paesi cui i due autori appartenevano, e più ancora la diversa dinamicità del loro ruolo nell'interscambio culturale e nell'evoluzione civile. Va però notato che non solo dietro il Pinel v'era una tradizione fisiologico-medica in linea generale più avanzata, ma che egli si situava in un ambiente di maggior respiro europeo, nel quale la scepsi filosofica era approdata ad interpretazioni tendenzialmente operazionali e dinamiche, e non sostanzialistiche, delle facoltà intellettuali ed alla negazione del principio animistico, strumenti questi più duttili di quelli chiarugiani ai fini di una psicologia medica. Si comprende perciò come sul terreno sia teorico che clinico al Pinel fosse più facile una vera interpretazione somatica del fatto psicotico, cui, come detto, il C. era incline per empirismo medico, ma che gli era ardua per la separazione categoriale del mentale dal fisico mutuata dalla tradizione. Ne segue che nel Pinel è assai più netto che nel C. l'abbandono dei concetti cardine della psicologia classico-medievale, come quello di "sensorio comune" cerniera del rapporto mente-corpo, alle cui disfunzioni il toscano imputa l'influenza perturbatrice sull'anima; congiuntamente, è in lui più netta la tesi della possibilità ed importanza della cura "morale" delle psicosi (un misto tra l'intervento educativo, il convincimento e la conquista della fiducia del paziente), che nel C. affiora come opzione umana e mezzo sussidiario, ma che non trova veri appigli giustificativi nei suoi capisaldi medico-psicologici. La stessa carica umanitaria, che si potrebbe porre come comune terreno illuministico per i due autori, si mostra all'analisi come un tessuto le cui trame s'intessono con fili diversi: nel C. parla il riformismo illuministico senza vere accentuazioni verso il politico o il sociale, e in lui l'istanza liberatoria del malato si giustifica sul terreno stesso dell'opportunità sanitaria, mentre nel Pinel è palese il legame con il complesso delle istanze rivoluzionarie. Sul preciso terreno biografico e dell'influenza personale, poi, analisi recenti sembrano smentire l'impressione d'una dipendenza degli interessi e di certe soluzioni del Pinel dalla lettura dell'opera del C., in quanto mostrano che le sue impostazioni più tipiche affiorano in scritti comparsi anteriormente al Della pazzia.
Le vicende personali e familiari del C. sono scarsamente documentate. La sua vita pare essersi concentrata nel lavoro al Bonifazio ed in altre incombenze mediche, e manifesta una sicura ascesa professionale e un'assidua partecipazione ad attività accademiche (fu membro ordinario dei Georgofili, della Colombaria, dell'Accademia fiorentina, di quella delle scienze di Siena, e corrispondente di altre a Pistoia, Lucca, Venezia, Padova, Parma, ecc.). Nel 1797 fu invitato a formulare un regolamento per l'asilo psichiatrico veneziano di S. Servolo, il che prova l'interesse destato dal Della pazzia e dalle riforme presso il Bonifazio (nella seconda edizione del libro scriverà che l'ospedale era meta di visitatori italiani e stranieri, tra i quali diversi sovrani); non sembra, però, che a Venezia i suoi suggerimenti avessero applicazione sostanziale. La carriera del C. fu costellata da incarichi di crescente prestigio, cui si possono connettere consulti pubblici, relazioni al governo, comunicazioni accademiche. Queste ultime, comparse numerose negli Atti dei Georgofili, concernono argomenti non solo medico-biologici, ma anche di storia e amministrazione sanitaria, igiene pubblica ed economia (da ricordare le Osservazioni georgiche sulla cultura delle adiacenze di Firenze, negli Atti, s. 5, I [1804], pp. 242-249, ristampate da F. Rodolico in La Toscana descritta dai naturalisti del Settecento, Firenze 1945, pp. 127 ss.). Si riferiscono poi agli interessi di venereologia presenti, già nell'età giovanile e nel Saggio teorico-pratico sia la lettera a L. Frank Sull'uso esterno dell'oppio (Firenze 1797, ripresa in Obbiezioni del nuovo metodo di somministrare l'oppio esternamente per frizione, ibid. 1798), sia la cronistoria della sezione dermatologica del Bonifazio (Istoria delle malattie afrodisiache,e di quelle malattie ostinate e non guarite dall'arte medico-chirurgica venute nel R. Osp. di Bonifazio negli anni 1802 e 1803, Firenze 1804). Sono una testimonianza dell'affermazione del C. nel mondo medico toscano l'ammissione nel Collegio medico fiorentino, una docenza onoraria conferitagli a Pisa e una lettura generale di fisiologia e medicina per i perfezionandi a S. Maria Nuova, dai cui appunti derivò La fisica dell'uomo; non è chiaro se fu una specificazione o un'integrazione di questa lettura quella di "malattie cutanee e perturbamenti intellettuali" tenuta dal 1805, che sotto la denominazione eclettica appare uno dei primi corsi ad esplicito contenuto psichiatrico in Italia ed Europa. Egli sarà infine il medico di Elisa Bonaparte, granduchessa di Toscana dal 1809. Come membro del Collegio medico, il C. fu inserito nelle commissioni di studio sulle epidemie febbrili del 1804 e 1817 (a quest'ultima si riferiscono le sue Istruzioni per la disinfezione e isolamento dello spedale,per la disinfezione delle case e suppellettili dei malati della febbre regnante, in Pareri e osservazioni mediche sulla malattia febbrile manifestatasi in diverse parti della Toscana, pubbl. a Firenze nel 1817), e divenne anche "medico delle epidemie" nel dipartimento dell'Arno, ciò che gli consentì di compiere le osservazioni sulla genesi carenziale della pellagra esposte nel Saggio sulla pellagra. A questo aspetto della sua attività va collegato il Parere espresso sugli effetti climatico-sanitari della trasformazione in salina d'una zona paludosa costiera presso Tarquinia (in Pareri di molti celeberrimi fisici e chimici toscani sopra le saline di Corneto, Roma 1803, pp. 5-7), in cui si rivela erede della tradizione toscana di bonifica idraulica, smentendo timori diffusi nella popolazione locale circa l'insalubrità d'interventi d'ingegneria del territorio che ne modificassero l'assetto.
Le vicende politiche del periodo napoleonico non paiono aver inciso su di lui, privatamente o professionalmente; come l'intera tradizione scientifico-medica toscana egli tendeva ad un riformismo razionalistico, ma qualificato più in senso tecnico che politico-sociale. Se nella dedica della Fisica dell'uomo a Elisa la dirà sorella "del più grande dei monarchi" (e la stessa nomina a suo medico mostra che il nuovo governo doveva vederlo confavore), i suoi servigi saranno richiesti anche dopo la Restaurazione. Nel 1818, dopo un periodo in cui aveva tenuto a titolo provvisorio la sovrintendenza di S. Maria Nuova, questa gli venne conferita a titolo definitivo, unitamente alla presidenza dei corsi di perfezionamento per neolaureati; favorì allora una riforma dei corsi e dei relativi esami, promulgando il Regolamento per gli esami che devono precedere il conseguimento della rispettiva matricola in medicina,chirurgia e farmacia (Firenze 1819). Di quest'anno, ultimo suo scritto, è la lettera a G. Tommassini Sopra una supposta specie di ermafroditismo, edita a Firenze, in cuiè correttamente descritto un caso di pseudoermafroditismo maschile.
Il C. morì a Firenze il 22 dic. 1820.
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