ISTRIA, Vincentello d'
Secondo di questo nome, nacque agli inizi del XV secolo, figlio di Giovanni di Ghelfuccio e di una donna nota col nome di Imperatrice.
Il padre era stato uno dei più stretti collaboratori del fratello Vincentello (I) d'Istria, conte di Corsica e viceré dell'isola per la Corona d'Aragona nei primi decenni del XV secolo, ricevendo da lui la nomina a castellano di Bastia e a vicario della Banca di giustizia, supremo tribunale corso. Successivi dissapori portarono poi alla sua destituzione e all'esilio in Sardegna, dove lo seguì il giovane I., da poco sposato con Maria De Mari, figlia di Simone, signore di Capo Corso. Proprio in Sardegna, a Porto Torres, Giovanni riuscì a fare prigioniero Vincentello (I), in fuga davanti alla generale ribellione dei signori corsi; il suo tentativo di riottenere da lui il possesso di Bastia fu la causa indiretta della cattura del conte da parte dei Genovesi che nell'aprile 1434 lo giustiziarono. La scomparsa di una figura carismatica quale quella di Vincentello (I) gettò la Corsica nella più completa anarchia, lacerata dalle divisioni e dalle gelosie tra i vari signori e signorotti.
La lotta fu particolarmente aspra all'interno della famiglia degli Istria dove, morto Giovanni a Sassari nel 1435, l'I. e il cugino Giudice d'Istria (che il defunto conte aveva designato nel suo testamento capo della casata) si affrontarono per contendersi la supremazia; l'I. si appoggiò al suocero Simone De Mari, legato a Genova, mentre Giudice cercò di radunare sotto di sé gli antichi partigiani del grande zio, senza però considerevoli risultati.
Per alcuni anni, nonostante i tentativi di convincere Alfonso V d'Aragona a tentare una nuova spedizione in Corsica, gli Istria vennero a trovarsi ai margini della scena politica corsa, costretti ad assistere all'ascesa di ambiziosi personaggi quali i signori Della Rocca e da Leca.
Se Giudice rimase fermo nella sua fedeltà all'Aragona, l'I. si avvicinò invece ai Genovesi e, in particolare, ai Fregoso, una delle quattro famiglie "cappellazze" (con gli Adorno, i Montaldo e i Guarco) che si contendevano tradizionalmente il dogato. Le lotte che opponevano tra loro queste fazioni a Genova e nelle due Riviere interessavano da tempo anche la Corsica, dove soprattutto i "caporali" della cosiddetta Terra di Comune, politicamente e socialmente simili ai cappellazzi, aderivano a questa o a quella fazione. Nell'aprile 1443, sotto la minaccia di una spedizione dei Montaldo (alleati degli Adorno, in quel momento al potere), il governatore genovese Giano Fregoso cercò l'amicizia dell'I. cedendogli il castello di Corte.
Si trattò di un dono assai poco meritato giacché di lì a pochi mesi, dimenticate le precedenti divergenze, egli consegnò il fortilizio al cugino Giudice d'Istria, tornato nell'isola nella speranza di emulare le gesta di Vincentello (I). Da lui l'I. ebbe il possesso del castello del Monte d'Oravo, nella valle del Tavignano, ma la sua fedeltà rimase assai fragile, tanto che di lì a poco, forse deluso nelle sue aspettative, egli si impadronì nuovamente di Corte, gettando Giudice in prigione.
Per cercare di riportare la pace nell'isola, alcuni caporali decisero di rivolgersi alla S. Sede, alla quale fin dall'VIII secolo spettava l'alta sovranità sull'isola. Papa Eugenio IV aderì alla richiesta e nell'agosto 1444 inviò una spedizione militare. L'I. fu tra i primi a fare atto di sottomissione e, anzi, consegnato il castello di Corte al commissario papale Monaldo de Paradisi, guidò a Roma una delegazione di baroni e caporali isolani.
Il papa lo accolse benevolmente e, dopo averlo trattenuto alcuni mesi, il 3 giugno 1445 lo nominò vicario del Popolo (carica tradizionale dell'ordinamento corso), rimandandolo quindi nell'isola col nuovo governatore Iacopo Squaquera, vescovo di Potenza. Questi lo tenne fra i suoi più stretti collaboratori e gli affidò il comando del presidio di Biguglia, che difese con successo dagli attacchi di Rinuccio da Leca, il quale vi trovò la morte. Il governo pontificio fu però sempre estremamente precario, minacciato dalle ribellioni dei caporali e dei baroni; proprio per reazione agli eccessi di questi potenti si ebbe nella Terra di Comune una generale sollevazione dei popolari, il cui capo, Mariano da Gaggio, riuscì a farsi eleggere vicario del Popolo, esautorando di fatto il governatore. Con altri capi isolani l'I. tornò a Roma e riuscì a convincere il papa a inviare una nuova spedizione che, sotto il comando del capitano Marino da Norcia, riuscì a riportare l'ordine. Grazie all'amicizia con il condottiero umbro, l'I. poté tornare in possesso dell'avita signoria d'Istria, riscattandola per 500 fiorini da Orlanduccio Della Rocca, ma l'improvvisa morte di Eugenio IV, nel febbraio 1447, fece nuovamente ripiombare la Corsica nel caos. Marino da Norcia, infatti, su consiglio dell'I. e di altri caporali, pensò di approfittare della situazione per rendersi padrone dell'isola, ma il suo colpo di mano fallì. Intanto era stato eletto papa Niccolò V, il sarzanese Tommaso Parentucelli.
Legato ai Fregoso, nel frattempo rientrati al potere a Genova, il nuovo pontefice si accordò con loro, nominando Ludovico, fratello del doge Giano, nuovo governatore in nome della Chiesa. Questi riuscì ad assumere il controllo del Nord dell'isola e a garantire un certo ordine ma, richiamato a Genova dalla morte del fratello (al quale successe nel dogato), nel febbraio 1449 affidò il governo dell'isola al cugino Galeazzino.
Con il ritorno dei Fregoso, l'I. si ritirò a Istria, dove proprio in quegli anni visse un grande travaglio spirituale che lo portò ad aderire al movimento dei "battuti", diffusosi a opera della predicazione del frate napoletano Nicolò da Luciano. L'adesione agli ideali di povertà e fratellanza cristiana non gli impedì tuttavia di continuare a svolgere un ruolo attivo nelle vicende corse, anche se da allora egli sembrò farsi paladino di ogni soluzione diretta a portare alla Corsica pace e stabilità politica. Così, nel 1451, quando finalmente Alfonso V si decise a rispondere ai ripetuti appelli dei Corsi, l'I. fu tra i primi a giurare fedeltà al viceré Jaime Imbissora, inviato da Napoli, al quale mise a disposizione le sue terre.
Questa nuova parentesi di dominio aragonese ebbe vita breve. Il viceré morì infatti di lì a poco e, su consiglio dell'I. e di Antonio Della Rocca (che erano stati i principali promotori dell'appello al sovrano), gli ufficiali regi e i baroni nominarono successore un omonimo nipote del defunto. Quindi, necessitando di rinforzi per proseguire la lotta, l'I. si recò a Napoli con il cugino Giudice e con Antonio Della Rocca. Ricevuti da Alfonso V, i tre litigarono violentemente tra loro, tanto che il sovrano, sdegnato, li licenziò in tronco.
L'I. continuò tuttavia a sperare nel re di Napoli e nel maggio 1453, trovandosi su una delle galee dell'ammiraglio catalano Bernat de Villamarì, lo convinse a impadronirsi del castello di San Fiorenzo, ricevendolo quindi in custodia. Questo colpo di mano ebbe come conseguenza un più deciso intervento genovese. Già il 23 febbr. 1453, a Lago Benedetto, i deputati della Terra di Comune avevano deliberato di offrire la signoria dell'isola al Banco di S. Giorgio. Questa decisione fu appoggiata anche dal doge Pietro Fregoso, il quale convinse Galeazzino a cedere i suoi diritti al Banco, ottenendo anche la ratifica del papa. Nel giugno, i Protettori di S. Giorgio inviarono nell'isola un forte contingente di truppe. L'I., temendo di essere catturato, abbandonò San Fiorenzo e si rifugiò nel Sud. Raggiunse il castello di Ornano, dove, assediato da Raffaele da Leca, si trovava il viceré napoletano. Questi, ridotto a mal partito, lo pregò di aprire trattative con il Banco di S. Giorgio, per ricevere il suo aiuto. L'I. riuscì a prendere contatti con il vescovo di Mariana che, a nome del Banco, gli promise 2000 lire in cambio della sua fedeltà. Tali accordi furono confermati dal nuovo governatore Salvago de Salvaghi, che l'I. accompagnò nella sua prima spedizione nel "paese di là dei monti", dove ottenne dalla guarnigione napoletana la consegna di Ornano.
Negli anni successivi, per tutto il tempo in cui la Corsica fu retta dal Banco di S. Giorgio, egli fu, forse, il suo principale alleato, partecipando a tutte le campagne che i governatori genovesi dovettero intraprendere contro le continue ribellioni dei baroni e, in particolare, di Raffaele da Leca. Come ricompensa, oltre alla conferma della signoria d'Istria, ottenne i castelli di Ornano e della Rocca di Sia e una pensione annua di 200 lire. La repressione della rivolta fu durissima, toccando inaudite punte di crudeltà da parte genovese, soprattutto durante il governo di Antonio Spinola che procedette alla metodica eliminazione fisica di tutti i capi ribelli. La sua spietatezza finì col guastare i rapporti con l'I., disgustato dalle crudeltà commesse, tanto più che molti dei giustiziati gli si erano personalmente consegnati con la promessa di avere salva la vita.
Temendo di essere anche lui eliminato dallo Spinola, l'I. abbandonò la Corsica, trasferendosi prima a Genova e poi nel castello di San Colombano, a Capo Corso, ospite del nipote Simone (II) De Mari. Qui venne coinvolto nel complotto che andavano organizzando vari caporali per richiamare nell'isola i Fregoso. Nell'agosto 1462, dopo essersi recato a Pisa per incontrare Giocante da Leca e Paolo Della Rocca, da tempo in esilio, egli fece ritorno nell'isola, dove incitò i Corsi alla ribellione, in nome di Tommasino Fregoso, figlio dell'ex doge Giano. Proclamato ribelle, ebbe i suoi beni sequestrati, ma una serie di successi militari sulle milizie del Banco gli consentì di riprendere in poco tempo il possesso di Istria e di Ornano. Il 22 ottobre, tenuto parlamento alla Canonica di Mariana, l'I. e gli altri capi ribelli proclamarono nuovo conte di Corsica Tommasino Fregoso che giunse nell'isola da Genova con aiuti fornitigli dallo zio il doge Ludovico, il quale pagò la sua partecipazione all'impresa del nipote con la destituzione dal dogato a opera del cugino, l'arcivescovo Paolo (gennaio 1463). Il nuovo doge tagliò gli aiuti ai ribelli che però, nonostante gli sforzi militari genovesi, continuarono a guadagnare terreno. Tale situazione e le forti spese sostenute indussero alla fine il Banco a offrire il dominio della Corsica al duca di Milano Francesco Sforza dopo che questi, nella primavera 1464, era divenuto signore di Genova. Il 7 luglio 1464 tra il duca e i Protettori di S. Giorgio fu firmato l'accordo e, ai primi di settembre, sbarcò a San Fiorenzo il commissario sforzesco Francesco Maletta con un corpo di truppe. L'I. rimase fino all'ultimo fedele a Tommasino Fregoso ma, dopo che questi ebbe lasciato l'isola (affidando a lui la cura delle proprie cose), egli - come gli altri capi corsi - andò a fare atto di sottomissione all'inviato ducale e, in novembre, lo seguì a Milano, dove si trattenne fino agli inizi di febbraio 1465. Il duca gli confermò la signoria d'Istria e il castello di Ornano con l'obbligo di fare omaggio, ogni anno, di un cavallo e un cane al governatore ducale.
Tornato in Corsica, l'I. morì di lì a pochi mesi, nello stesso anno 1465.
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